PEPOLI, Gioacchino Napoleone
PEPOLI, Gioacchino Napoleone. – Nacque a Bologna il 10 ottobre 1825, secondogenito del marchese Guido Taddeo e di Letizia Murat, figlia di Gioacchino, già re di Napoli, e di Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone.
Dall’unione tra Guido Taddeo e Letizia nacquero altre tre figlie: Carolina, Elisabetta e Paolina.
Discendente del ramo marchionale della famiglia Pepoli, Gioacchino Napoleone si formò alla scuola di due illustri maestri: il poeta senigalliese Giovanni Marchetti e il barnabita bolognese Paolo Venturini. Il 5 dicembre 1844 sposò a Sigmaringen (allora nel principato di Hohenzollern-Sigmaringen, oggi nel Baden-Württemberg) la cugina Federica Guglielmina di Hohenzollern-Sigmaringen (1820-1906), ultimogenita di Karl e di Marie Antoinette Murat, figlia di Pierre, fratello di Gioacchino. Dalla loro unione nacquero tre figlie: Letizia (1846-1902), Antonietta (1849-1887) e Luisa Napoleona (1853-1929).
Esponente dell’aristocrazia patriottica bolognese con terre nel Ferrarese, di convinzioni, oltre che di sentimenti, liberal-bonapartisti, Pepoli fu tra i promotori e uno dei 1753 firmatari della supplica inviata nel giugno 1846 al camerlengo Tommaso Riario Sforza e ai cardinali riuniti in conclave al fine di esporre «con dignità e moderazione i gravi mali che hanno sofferti fin qui i sudditi delle Legazioni» e di chiedere «quelle concessioni fatte ormai troppo necessarie a queste popolazioni» (E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, I, Bologna 1960, p. 63).
Capitano della 1ª compagnia del I battaglione, poi colonnello facente funzioni di comandante in capo della guardia civica di Bologna durante la rivoluzione del 1848, Pepoli si distinse l’8 agosto tra i combattenti della battaglia della Montagnola. Dal 10 ottobre 1848 rivestì la carica di vicepresidente del Circolo felsineo di Bologna (poi trasformatosi nel democratico Circolo nazionale bolognese), e dal successivo 30 novembre quella di presidente del più moderato Circolo popolare, espressione dei sostenitori dell’idea federale declinata secondo il modello neoguelfo giobertiano.
Lontana dall’orizzonte politico del giovane Pepoli era dunque la prospettiva della «formazione di un regno dell’Alta Italia con l’annessione al Piemonte del Lombardo-Veneto e dei Ducati, mostrandosi favorevol[e] piuttosto al programma di una Lega fra gli stati italiani, indipendentemente da favoritismi e interessi dinastici» (Natali, 1938, p. 190). Pepoli recava tuttavia su di sé tutto il peso del nome della madre e delle rivendicazioni dei Murat al trono di Napoli.
Dopo la caduta della Repubblica Romana e il ripristino del potere pontificio, si recò in esilio volontario a Pistoia. Nei tre anni di permanenza nella città toscana soggiornò presso il mecenate e patriota Niccolò Puccini, che aveva inserito Napoleone Bonaparte nel pantheon degli «uomini illustri» ai quali era dedicato un busto nel grande parco-giardino della sua villa, costruito fra gli anni Venti e Quaranta. Nel 1852 Pepoli rientrò a Bologna per prendere attivamente parte ai lavori del movimento liberale cittadino. Nel 1853 effettuò il suo primo viaggio a Parigi, dove il cugino Charles-Louis-Napoléon Bonaparte era riuscito a imporsi quale imperatore con il nome di Napoleone III e aveva richiamato intorno a sé tutti i membri della grande famiglia bonapartista, tra i quali Pepoli spiccò per la spregiudicatezza del lavoro diplomatico in favore della causa italiana. Nel 1856, si recò nuovamente nella capitale francese, dove ottenne dall’imperatore la sostituzione dell’ambasciatore a Roma Alphonse de Rayneval, strenuo sostenitore dei diritti pontifici, con il più moderato Antoine de Gramont. Non altrettanto felice fu l’esito di un’ulteriore missione ufficiosamente delegata a Pepoli dal governo sardo, al fine di sostenere presso il monarca francese l’ipotesi di sostituzione dei Murat, nella persona del principe Lucien, alla dinastia dei Borbone sul trono di Napoli.
Fu probabilmente a seguito di quest’episodio che Pepoli maturò il passaggio dal muratismo alla causa piemontese, l’unica evidentemente in grado di assicurare l’indipendenza delle Romagne, portandovi così «il consenso di una grande casa e della parentela con l’imperatore» (Zangheri, 1986, p. 6). «Imbarazzante e pericolosa» (Marcelli, 1980, p. 101) è stata nondimeno definita l’opposizione personale di Pepoli alla Società nazionale italiana, fondata da Daniele Manin e da Giorgio Pallavicino Trivulzio, passata poi sotto la guida di Giuseppe La Farina.
Alla caduta del governo pontificio, Pepoli entrò nella giunta provvisoria di governo nominata dall’amministrazione municipale bolognese, incaricato della sezione degli Affari esteri. Il 15 luglio 1859 Massimo d’Azeglio, commissario straordinario inviato dal governo sardo a Bologna, istituì un governo provvisorio delle Romagne, designando Pepoli quale gerente della sezione delle Finanze e degli Affari esteri. La pubblicazione delle condizioni per gli accordi preliminari dell’armistizio di Villafranca spinse Pepoli a Torino, dove, dopo un animato colloquio con il cugino Charles-Louis-Napoléon, ottenne dall’imperatore l’impegno a non intervenire a favore di una restaurazione del governo papale nelle ex Legazioni pontificie a patto che si mantenessero l’ordine pubblico e la tranquillità. Ritiratosi d’Azeglio, il 2 agosto 1859 i membri del governo provvisorio, su indicazione di Napoleone III e con la mediazione di Pepoli, nominarono governatore delle Romagne una figura di salde convinzioni bonapartiste come Leonetto Cipriani.
Sancita l’unione delle ex Legazioni con i ducati di Modena e Parma nel nuovo governo delle province dell’Emilia presieduto da Luigi Carlo Farini, Pepoli entrò nel gabinetto quale ministro delle Finanze.
L’11 ottobre 1859 aveva intanto visto la luce il Corriere dell’Emilia, fondato e ispirato da Pepoli e diretto da Pasquale Cuzzocrea. La linea del giornale emerse chiaramente fin dal primo numero: l’unica possibile scelta fu individuata «nell’unificazione sotto lo scettro del leale e magnanimo nostro Re Vittorio Emanuele». A più di un decennio di distanza dalla sua comparsa sulla scena politica bolognese, il marchese Pepoli consumava così la sua definitiva conversione da una primitiva opinione federalista a un’esplicita soluzione annessionistica sabaudista.
Dopo il plebiscito emiliano, Pepoli sedette ininterrottamente in Parlamento, prima alla Camera, dove fu eletto deputato per quattro legislature a partire dall’aprile 1860 per il secondo collegio di Bologna, poi al Senato, dove fu ammesso il 12 marzo 1868. Alla Camera Pepoli si collocò vicino a Urbano Rattazzi, tra le fila dello schieramento che all’epoca era definito terzo partito, per distinguerlo da quello dei moderati e dalle correnti dei progressisti e dei radicali. Dal 12 settembre al 30 dicembre del 1860 rivestì la carica di commissario generale straordinario per le province dell’Umbria, e dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia e la scomparsa del conte Camillo Benso di Cavour, nel marzo 1862 entrò nel primo governo Rattazzi con la delega al ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. In quella carica, il suo nome rimase legato all’intervento unificatore nel campo della moneta.
A seguito del riconoscimento ufficiale del Regno d’Italia da parte dell’Impero russo, Pepoli fu inviato straordinario e ministro plenipotenziario a San Pietroburgo dal 12 febbraio 1863 al settembre 1864. Al suo rientro in patria, data la sua parentela con l’imperatore e con il principe Napoléon Eugène, Pepoli fu coinvolto da Marco Minghetti, allora presidente del Consiglio, nelle trattative che nel 1864 portarono alla stipula della cosiddetta convenzione di settembre fra l’Impero francese e il Regno d’Italia. Il 28 febbraio 1866 Pepoli fu nominato sindaco della sua città natale. In vista dell’annessione del Veneto, il 18 luglio 1866, fu inviato a Padova quale commissario straordinario, carica che ricoprì fino al 10 dicembre dello stesso anno. Il 20 maggio 1868 lasciò la carica di sindaco di Bologna per assumere quella di inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Vienna, dove rimase dal 12 marzo 1868 al 7 marzo 1870.
Ritiratosi in Italia, anche in ragione della conclusione dell’esperienza napoleonica in Francia, e cessata la carriera diplomatica, Pepoli fu più volte eletto al Consiglio provinciale di Bologna e di Ferrara, rivestendo, inoltre, la carica di assessore e consigliere comunale di Bondeno, piccolo comune della provincia di Ferrara.
Dopo le disastrose alluvioni nel Polesine del 1872 e del 1879, Pepoli si adoperò per promuovere iniziative a favore delle popolazioni inondate e, in generale, per la creazione di istituzioni di assistenza, collocamento e previdenza per le classi operaie, con una concezione della solidarietà, propria di una parte della classe aristocratica, che si espresse attraverso il paternalismo e la filantropia. Nel 1875 istituì una divisione femminile della Società artigiana bolognese, sodalizio da lui fondato il 1° gennaio 1864 dopo la scissione dalla Società operaia maschile, della quale pure era stato uno dei soci fondatori nel 1860. Bruscamente estromesso nel 1879 dalla presidenza della Società artigiana, creò una nuova associazione denominata Fraternità di mutuo soccorso.
Morì a Bologna il 26 marzo 1881, colpito dal pemfigo, una rara malattia della cute e delle mucose.
Dopo le esequie, celebrate il 29 marzo 1881 nella chiesa di S. Bartolomeo, fu sepolto nel cimitero della Certosa.
Scritti e discorsi. Pepoli fu anche scrittore, poeta e compositore di commedie e drammi: Opere teatrali del marchese G. N. P., I-II, Bologna 1855; Cenni biografici sulla vita di Lodovico Ariosto, Ferrara 1875. All’interno di una produzione politico-pubblicistica molto ampia, si segnalano: L’ordine del giorno del generale Garibaldi. Lettera di G. P. a’ suoi elettori del secondo collegio di Bologna, Torino 1860; L’istruzione elementare nel comune di Bondeno. Relazione al nono Congresso pedagogico italiano, Ferrara 1874; Discorsi del marchese G. P. senatore del Regno, Roma 1877; Il benservito di Vittorio Emanuele. Bozzetto di G. P., Bologna 1878; Il diritto elettorale. Conferenza tenuta al circolo fra i tipografi ed esercenti arti affini in Firenze, Firenze 1880; Discorsi sul diritto elettorale pronunziati dall’onorevole senatore G. P. ai comizi di Bari (1° agosto) ed a quello di Valenza (15 agosto) 1880, Bologna 1880; Re e popolo. Discorsi, lettere, scritti, I-II, Bologna 1880-81; Scritti politici ed economici, Bologna 1882.
Fonti e Bibl.: Il fondo personale di Pepoli è conservato presso l’Archivio di Stato di Bologna; nella stessa sede sono reperibili il testamento e l’inventario legale dei beni redatto dopo la sua scomparsa (Archivio del notaio Eugenio Vecchietti, 1881, voll. 180/48-49); alla Biblioteca del Museo del Risorgimento di Bologna, sotto l’intestazione Carte Pepoli, si raccolgono invece autografi, stampe, fotografie, ritagli di giornale e una piccola parte di documentazione concernente il mandato di Pepoli quale ministro degli Affari esteri del governo provvisorio delle Romagne. Per una descrizione del Fondo Pepoli e delle Carte Pepoli si vedano: S. Alongi, «In quanto a me non desidero che di scrivere». Le carte di G. N. P. all’Archivio di Stato di Bologna, in Percorsi storici, s. Atti, II (2012), 1, http://www.percorsistorici. it/numeri/13-numeri-rivista/serie-atti-numero-1/54-salvatore-alongi-le-carte-di-gioacchino-napoleone-pepoli.html (6 febbraio 2015); Id., L’archivio del Commissariato generale straordinario nelle provincie dell’Umbria, in L’Umbria nella nuova Italia. Materiali di storia a centocinquant’anni dall’Unità, II, a cura di E. David - S. Maroni - M. Pitorri, Perugia 2011, pp. 4-5; Id., «Qui il governo non sta colle mani in mano». Le carte ritrovate del Ministero degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne (1859), in Strenna storica bolognese, LXII (2012), pp. 13-29. Le memorie autobiografiche di Pepoli furono pubblicate postume da L. Carpi, G. P., in Il Risorgimento italiano. Biografie storico-politiche d’illustri italiani contemporanei, III, Milano 1887, pp. 371-426; un ampio profilo encomiastico ne fu tracciato da G. degli Azzi Vitelleschi, P. G. N., in Dizionario del Risorgimento nazionale. Dalle origini a Roma capitale, III, Fatti e persone, a cura di M. Rosi, Milano 1933, pp. 839-841; meno datati sono i contributi di A. Appari, G. N. P., in Il Parlamento italiano 1861-1988, IV, Milano 1989, pp. 57 s.; A. Albertazzi, I sindaci di Bologna: G. N. P., in Strenna storica bolognese, XXXX (1990), pp. 19-27; M. Calore, G. N. P. drammaturgo, ibid., XLI (1991), pp. 85-102. Inoltre, su alcuni passaggi della biografia politica di Pepoli: G. Natali, I circoli politici bolognesi nel 1848-49, in Rassegna storica del Risorgimento, XXV (1938), 2, pp. 179-224; U. Marcelli, Le vicende politiche dalla Restaurazione alle annessioni, in Storia dell’Emilia Romagna, a cura di A. Berselli, Bologna 1980, pp. 67-126; R. Zangheri, L’unificazione, in Bologna, a cura di R. Zangheri, Bologna 1986, pp. 3-61; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/gioacchino-napoleone-pepoli-18251010/bpr#noNav (4 febbraio 2015); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9. senato.it/Web/senregno.NSF/P_l2?OpenPage (4 febbraio 2015). Studi recenti sono stati specificamente dedicati ai rapporti intercorsi fra Pepoli e tre presidenti del Consiglio d’origine piemontese: S. Alongi, Il marchese e l’avvocato. Politica e affetti nel carteggio tra G. N. P. e Urbano Rattazzi, in Studi piemontesi, XLI (2012), 1, pp. 193-208; Id., La diplomazia italiana sotto i governi Menabrea e Lanza: G. N. P. ministro del re a Vienna, ibid., XLII (2013), 2, pp. 377-389.