GUASCONI, Gioacchino
Nacque a Firenze il 9 luglio 1510 da Raffaello di Gioacchino e da Ginevra di Bernardo di Lutozzo Nasi, sposatisi nel 1502. Il G., battezzato con il nome di Gioacchino Giusto, ebbe sette fratelli: Lorenzo e Giovan Battista, dediti alla carriera militare (il primo nel 1562 divenne cavaliere di Malta); Bernardo, che nel 1548 sposò Alessandra di Matteo Covoni, Pier Francesco, Ruberto, Alessandro e Francesca, che nel 1524 sposò Giovanni di Bernardo Taddei.
Il G. apparteneva a un'antica famiglia dell'oligarchia fiorentina legata alle tradizioni repubblicane che, al tempo dell'instaurazione a Firenze del primo regime mediceo, aveva pagato con l'esilio la sua posizione. Notizie, peraltro assai frammentarie, sulla vita del G. sono fornite soprattutto dagli scrittori e dalle cronache di storia coevi: scarsi sono infatti i riferimenti documentari, legati in particolare ai contatti che egli ebbe con gli Strozzi, soprattutto Piero e Roberto, e con altri pochi compagni in esilio.
Nel 1530 il G. entrò a far parte dell'esercito cittadino costituito in difesa della Repubblica assediata dalle truppe imperiali: l'8 luglio fu eletto capitano della milizia per il "gonfalone" Drago nel quartiere S. Spirito, nomina ratificata dal Consiglio degli ottanta. Durante quel servizio fu protagonista di un episodio riguardante uno dei comandanti delle truppe fiorentine, Malatesta Baglioni, che tentava di accordarsi con gli Imperiali per arrivare a una tregua; vi furono però dei tumulti in quanto una parte della popolazione era contraria: il G. si pose con i suoi armati alla difesa del palazzo della Signoria, dichiarandosi pronto a intervenire contro il Malatesta se gli fosse stato comandato.
In seguito alla capitolazione di Firenze, il 12 ag. 1530, e alla resa della città a Carlo V, che segnò la crisi delle istituzioni repubblicane, il G. fuggì a Venezia insieme con altri compagni, come Dante e Lorenzo (Cencio) Castiglione.
La Balia eletta il 20 agosto, nella quale prevalse nuovamente la fazione medicea, decretò nel novembre seguente la condanna del G. al confino e alla confisca dei beni. Il 27 ott. 1531 il G. fu dichiarato ribelle, ma alla madre Ginevra e ai fratelli fu concessa una composizione di 200 scudi d'oro. Lontano dalla patria, dove non sarebbe più rientrato, il G. iniziò a peregrinare unendosi al numeroso gruppo di fuorusciti fiorentini sparsi tra Venezia, la Romagna e l'Italia centrale, che speravano di ottenere appoggi per abbattere il regime di Alessandro de' Medici, designato da Clemente VII e da Carlo V al governo di Firenze.
La speranza dei fuorusciti, condivisa dal G., era che il cardinale Ippolito de' Medici, cugino di Alessandro, potesse favorire a Firenze l'instaurazione di un regime "popolare". L'occasione per ridiscutere l'assetto istituzionale della città si presentò in seguito alla morte di Clemente VII, avvenuta il 25 sett. 1534, e all'elezione al pontificato di Alessandro Farnese, con il nome di Paolo III, non più legato a interessi di parte medicea. Vi fu un primo contatto con Carlo V a Barcellona tra le due anime del fuoruscitismo, costituite dagli esponenti "aristocratici", come Piero Strozzi, Bernardo Salviati e Lorenzo Ridolfi, e i rappresentanti degli esuli del "popolo", fra i quali Galeotto Giugni, Paolantonio Soderini e Antonio Berardi. L'incontro ufficiale fu rimandato a Napoli dopo il ritorno di Carlo V da Tunisi e nell'attesa si decise di inviare il G., che allora si trovava a Napoli, per tutta l'Italia, al fine di convogliare quanti più fuorusciti possibile a Roma per definire il piano sul nuovo assetto istituzionale da dare a Firenze, affidando al cardinale Ippolito la presentazione all'imperatore.
Nel giugno del 1535 furono delegati sei fuorusciti, tra i quali il G., ad accompagnare il cardinale Medici presso l'imperatore e convincerlo ad accettare il progetto di riforma dello Stato fiorentino.
La delegazione doveva in realtà avere lo scopo di sorvegliare il cardinale nel timore che questi mirasse ad accordarsi con il cugino Alessandro per tutelare la propria posizione, anziché difendere la libertà di Firenze restituendola a coloro che per questo fine avevano combattuto. Tuttavia, come è noto, la petizione a Carlo V non ebbe l'esito sperato, anche per la morte repentina di Ippolito de' Medici, avvenuta il 10 ag. 1535.
Dalle registrazioni delle lettere del G. si possono conoscere, seppure in maniera lacunosa e in alcuni casi incerta, le località in cui egli soggiornò negli anni successivi. Da questa corrispondenza si evince anche che il G. era definitivamente passato al servizio degli Strozzi in esilio e, in particolare, del priore di Capua Leone Strozzi, fratello di Piero e Ruberto. Costoro avevano raccolto l'eredità politica del padre Filippo, preso prigioniero a Montemurlo e forse morto suicida in cella, e gravitavano nell'orbita francese sperando in un intervento del re Francesco I in Toscana.
Due diverse annotazioni, relative a una lettera inviata dal G. il 29 maggio 1544 a Roma a Luigi Del Riccio - anch'egli fuoruscito, residente a Roma come agente del banco degli Strozzi e degli Ulivieri e come procuratore di Roberto Strozzi -, lo attestano sia a Venezia sia a Lione. Il 21 ag. 1546, da Venezia, scrisse ancora al Del Riccio a Roma; il 1° genn. 1548 scrisse da Parigi a Ruberto Strozzi e ancora a lui a Roma, da Lione, il 2 ottobre seguente. Nel 1552 si trovava a Venezia, dove il 6 febbraio ricevette una lettera di Simone Guiducci da Roma.
Lo scoppio delle ostilità per la conquista dello Stato senese da parte di Firenze coinvolse anche il G., al seguito di Piero Strozzi: quest'ultimo, nominato maresciallo di Francia, nel dicembre del 1553 fu inviato con un contingente di truppe francesi a riarmare e preparare Siena alla guerra che si preannunciava. Le operazioni, successive al primo attacco fiorentino sferrato nel gennaio 1554, videro il G. impegnato come comandante a Chiusi dove, nel marzo, fu messo al corrente di una congiura ordita dal vice comandante della fortezza, Sante Borri da Cutigliano, detto Santaccio, fuoruscito pistoiese, che era in segrete trattative per consegnare la città ai Medicei dietro adeguato compenso. Ascanio Della Cornia, comandante al servizio di Cosimo de' Medici, dopo aver appreso le intenzioni del Santaccio, che conosceva bene avendogli salvato la vita a Roma, gli fece ottenere, in cambio della consegna di Chiusi, la promessa del perdono e di una lauta pensione da parte del duca. Il Santaccio, tuttavia, aveva messo al corrente dell'intrigo anche il G. e il capitano Flaminio Orsini dell'Anguillara, che avvertirono a loro volta Piero Strozzi, il quale fece confluire in Val di Chiana tutte le guarnigioni presenti in quel territorio, cogliendo così di sorpresa i Fiorentini e lo stesso Della Cornia, che fu fatto prigioniero.
Nel maggio del 1554 il G., su disposizione dello Strozzi, fu messo con la sua compagnia in difesa del monastero di Ognissanti, dentro Siena; il 20 giugno, insieme con lo Strozzi, partecipò nel territorio lucchese alla conquista di alcune importanti postazioni fiorentine, fra cui Pescia, Montecatini e Montecarlo: di quest'ultima fortezza il G. assunse il comando con 300 fanti e diversi pezzi di artiglieria. Vani furono i tentativi di Cosimo de' Medici di riprendere la città, dal momento che il G. disponeva di una valida difesa e di un buon vettovagliamento assicurato da frequenti scorrerie fino ad Altopascio. Dopo la dura sconfitta dei Senesi e dei loro alleati a Marciano, il 2 ag. 1554, anche il G. dovette abbandonare Montecarlo, nella notte del 10 agosto, riparando con le sue truppe in Lucchesia.
Al riguardo è registrata un'annotazione non datata, ma di poco posteriore alla riconquista di Montecarlo da parte dei Fiorentini, in cui si dice che Alessandro Bolognese, al servizio del G., aveva passato informazioni al segretario di Cosimo, Lorenzo Pagni, su quella fortezza. Il 30 nov. 1554 il G. scrisse da Roma a Piero Strozzi, che si trovava a Grosseto, giustificando il proprio operato e la decisione di abbandonare Montecarlo. Nel febbraio del 1557, il segretario di Cosimo de' Medici, Bartolomeo Concini, fu inviato a Gaeta per consegnare al duca d'Alba, Fernando Álvarez de Toledo, viceré di Napoli, alcuni documenti riservati in cui si diceva che Ancona era divenuta un covo di fuorusciti fiorentini capeggiati dal G. che tentavano accordi segreti con i Francesi. Dato il rischio che la città potesse divenire un caposaldo in mano ai Turchi, Cosimo chiese al duca d'Alba di mettersi in contatto con alcuni fuorusciti che per denaro si erano offerti di consegnare Ancona alle truppe napoletane.
Non sono noti il luogo e la data di morte del Guasconi. Le ultime notizie derivano da due lettere da lui scritte nel 1561: la prima inviata da Tolosa al cardinale Lorenzo Strozzi alla corte francese il 1° febbraio, l'altra diretta a Ruberto Strozzi a Roma, il 25 giugno, da Béziers.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 44, c. 330; Tratte, reg. 81, cc. 190r, 216v, 218r; Firenze, Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore, Registri dei battesimi, Maschi, 7, ad annum; Capitani di parte, numeri rossi, 92, c. 28v; Carte Strozziane, s. I, 95, cc. 281-282; s. III, 96, cc. 108v, 116v-117r, 145v, 204r, 207r; 97, cc. 1r, 5v; Manoscritti, 125: Diario di Francesco Settimanni, pp. 75, 323, 326; 352: dell'Ancisa, c. 104v; B. Segni, Storie fiorentine… dall'anno 1527 al 1555, Augusta 1723, pp. 365, 376; G. Cambi, Istorie, XXIII, Firenze 1786, p. 88; A. Sozzini, Diario dellecose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 al 28 giugno 1555, in Arch. stor. italiano, II (1842), pp. 235, 254, 528; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, II, Firenze 1843, pp. 409, 467, 500, 522; III, ibid. 1844, pp. 103, 112; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, II, Firenze 1858, p. 250; G. Busini, Lettere a Benedetto Varchisopra l'assedio di Firenze, a cura di G. Milanesi, Firenze 1861, pp. 8, 193, 236, 239 s., 258, 260; R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena 1962, pp. 204, 250, 278, 539; P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato. Paolo Del Rosso "fiorentino eletterato", Milano 1990, p. 26.