VERMICELLI, Gino
VERMICELLI, Gino. – Nacque a Novara il 21 aprile 1922, ultimo di due figli, da Rinaldo, operaio specializzato e falegname presso la Manifattura Tosi, e da Ida Dalleolle.
Nel 1929, dopo la prematura scomparsa del padre, la famiglia lasciò l’Italia per raggiungere alcuni parenti emigrati in Francia, a Bezons, una cittadina a dieci chilometri a nord-est di Parigi. Qui la madre si guadagnò da vivere facendo la lavandaia e la magliaia a domicilio, nonché preparando i pasti per un piccolo gruppo di muratori italiani, molti dei quali socialisti e comunisti. Il fratello maggiore Italo morì annegato nella Senna nel 1932, a sedici anni, privando la famiglia di un importante sostegno economico.
Terminate le scuole dell’obbligo nel 1935, Vermicelli iniziò a lavorare prima come muratore, poi come fabbro, e venne precocemente a contatto con gli ambienti antifascisti dell’emigrazione italiana e con i sindacati, nel clima dominato dalla nascita e dalla vittoria elettorale del Fronte popolare. La sua militanza si concretizzò dapprima nell’Unione popolare italiana, un’organizzazione di massa dell’emigrazione a orientamento prevalentemente comunista nata nel 1937, quindi in un circolo giovanile di lingua italiana, di cui divenne segretario, infine nei gruppi di lingua italiana del Partito comunista francese (PCF), nell’estate del 1939, dopo il Patto Molotov-Ribbentrop.
Al sopraggiungere della guerra sul fronte francese, e dopo l’ingresso dell’Italia nel conflitto, perse il lavoro e si adattò a impieghi molto vari: manovale all’aeroporto di Le Bourget, raccoglitore di barbabietole, cavatore di tufo, bracciante agricolo in una fattoria in Bretagna. Nell’autunno del 1942, al suo rientro a Parigi, gli venne proposto di diventare funzionario di partito, come responsabile dei giovani comunisti italiani nella regione parigina, con il falso nome di Edouard Raoux, appartenente in realtà al figlio di un’anziana donna conosciuta in Bretagna, il quale si era rifugiato in Inghilterra.
Con quel ruolo partecipò all’attività clandestina di propaganda, di reclutamento e di sabotaggio messa in opera dal PCF. Dopo il 25 luglio 1943 venne fatto rimpatriare in Italia, a Novara, con lo scopo di collaborare alla ricostituzione della federazione del Partito comunista italiano (PCI) e al lavoro del Comitato di coordinamento dei partiti antifascisti, ovvero l’organismo germinale del futuro Comitato di liberazione nazionale. Dopo l’8 settembre divenne responsabile militare della federazione e, nelle settimane successive, prese contatto con Vincenzo Moscatelli (Cino) per organizzare le prime bande partigiane in Valsesia, sul monte Briasco. In seguito si aggregò alla formazione di Filippo Maria Beltrami, nella valle Strona, con il nome di battaglia di Edoardo, insieme a Gaspare Pajetta.
Il 13 febbraio 1944 questa banda si scontrò con i tedeschi nella tragica battaglia di Megolo, nella quale, oltre agli stessi Pajetta e Beltrami, persero la vita anche Antonio Di Dio, Gianni Citterio (Redi) e altri otto partigiani. I superstiti, tra cui Vermicelli, ripararono nuovamente in Valsesia, a Rimella, da Moscatelli, che decise di costituire un nuovo distaccamento garibaldino intitolato a Beltrami, da inviare in Ossola. Il ruolo di commissario politico del distaccamento venne affidato a Vermicelli medesimo, mentre il comando militare, dopo alcune assegnazioni temporanee, fu assunto da Andrea Cascella.
La riorganizzazione e l’ampliamento delle formazioni partigiane condussero Vermicelli a diventare commissario politico della brigata Rocco e infine vicecommissario politico della divisione Garibaldi Redi, comandata da Aldo Aniasi (il commissario politico fu Pippo Coppo). Partecipò all’esperienza della Repubblica dell’Ossola senza rivestire particolari funzioni politiche o amministrative: in seguito scrisse che questa fu una scelta deliberata, giacché riteneva preferibile che il governo della zona libera fosse affidato direttamente alle popolazioni locali.
Dopo la liberazione, che lo vide presente a Milano con la sua formazione, divenne funzionario del PCI, dapprima a Novara, come rappresentante comunista nel Fronte della gioventù, e in seguito a Milano e a Roma, tra il 1946 e il 1947, con incarichi ispettivi e di coordinamento del settore giovanile. Nel 1947 venne inviato in Sicilia con il compito di seguire le elezioni per l’Assemblea regionale e per il primo Parlamento repubblicano. Qui, nelle province di Agrigento, di Caltanissetta e di Enna, conobbe la realtà delle zolfatare: un’esperienza che lo impressionò fortemente e che descrisse con tinte vivide in alcuni articoli pubblicati su Vie Nuove e Il siciliano nuovo tra il 1947 e il 1950. Venne a contatto anche con il fenomeno della mafia: infatti, dopo la scomparsa di Placido Rizzotto, fu inviato a Corleone a organizzare la campagna elettorale nell’imminenza delle elezioni politiche del 1948.
Nel 1950 tornò a Roma per frequentare la scuola del partito di Frattocchie e per lavorare nella commissione quadri. Nel 1951 si sposò con Pina Morena, una dipendente del PCI; dalla loro unione nacquero Laura, nel 1958, e Maura, nel 1962.
In quello stesso 1951 fece ritorno nel Novarese, come dirigente della Camera del lavoro di Verbania e come responsabile dell’organizzazione della CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) del capoluogo. Dal 1956 al 1961 fu segretario della federazione di Novara del PCI. Negli anni successivi rivestì importanti incarichi all’interno dell’ARCI (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana) e della Lega delle cooperative.
Nel 1969 si dimise dal PCI per aderire al gruppo del Manifesto. Tra il 1972 e il 1995 collaborò in modo continuativo con il giornale del gruppo. Negli stessi decenni scrisse molti articoli per La classe operaia e per Resistenza unita, su argomenti riguardanti la storia e la memoria della Resistenza, ma anche il terrorismo e la politica internazionale. Nel 1984 pubblicò il romanzo Viva Babeuf!, una narrazione in chiave pedagogica della sua vicenda resistenziale dal marzo all’ottobre del 1944, caratterizzata da uno stile diretto e asciutto, con lo scopo di mettere in luce nella loro essenzialità le scelte, i valori e la moralità dei partigiani e delle popolazioni alpine che li ospitarono. Nel 1990 il romanzo fu tradotto in tedesco. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta si impegnò costantemente in un’opera di testimonianza pubblica sul valore della Resistenza, in particolare tra i giovani e nelle scuole. Tra il 1985 e il 1990 scrisse anche una serie di racconti a sfondo ambientalista, pubblicati sulla rivista Microprovincia, al fine di denunciare l’eccessivo sfruttamento umano delle risorse naturali della Terra. Nel 1997 rilasciò una serie di testimonianze orali ad alcuni ricercatori dell’Istituto novarese per la storia della Resistenza, che vennero raccolte e pubblicate postume nel volume Babeuf, Togliatti e gli altri. Racconto di una vita. Morì a Verbania il 21 maggio 1998.
Opere. Viva Babeuf!, prefazione di R. Rossanda, Roma-Verbania 1984; Babeuf, Togliatti e gli altri. Racconto di una vita, prefazione di V. Parlato, Verbania 2000. Suoi scritti sono pubblicati nelle riviste e nei periodici con i quali ha collaborato: Vie Nuove (1947), La lotta (1947-1961), Il siciliano nuovo (1950), Resistenza unita (1971-1997), Il manifesto (1972-1995), Circolo 70 (1974-1985); La classe operaia (1979-1982), Il VCO (1984-1985), Microprovincia (1985-1990) e Scintilla (1997-1998).
Fonti e Bibl.: P. Secchia - C. Moscatelli, Il monte Rosa è sceso a Milano. La Resistenza nel Biellese nella Valsesia e nella Valdossola, Torino 1958, ad ind.; La guerriglia in Italia: documenti della resistenza militare italiana, introduzione di P. Secchia, Milano 1969, pp. 150-152; M. Giarda, La Resistenza nel Cusio Verbano Ossola, Milano 1975, pp. 28 s.; P. Bologna, La battaglia di Megolo, Borgosesia 1979, pp. 27-37, 59-66, 81 s.; M. Macchioni, Filippo Maria Beltrami “il Capitano”. La Resistenza nel Cusio dal novembre ’43 al febbraio ’44, Milano 1980, pp. 80-84, 193-235; E. Massara, Antologia dell’antifascismo e della resistenza novarese. Uomini ed episodi della lotta di liberazione, Novara 1984, pp. 578-598, 795 s.; V. G., in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, VI, Milano 1989, p. 354; F. Omodeo Zorini, La formazione del partigiano. Politica, cultura, educazione nelle brigate Garibaldi, Borgosesia 1990, ad ind.; C. Bermani, Pagine di guerriglia. L’esperienza dei garibaldini della Valsesia, I-IV, Borgosesia 1995-2000, ad ind.; S. Lorenzetti, G. V. tra Resistenza e scrittura, tesi di laurea triennale, Università degli studi del Piemonte orientale, a.a. 2006-07, pp. 1-83; Ead., Ricordare e raccontare. Memorialistica e resistenza in Val d’Ossola, tesi di laurea specialistica, Università degli studi del Piemonte orientale, a.a. 2009-10.