ROSSI, Gino
Pittore, nato a Venezia il 6 giugno 1884, morto a Treviso il 16 dicembre 1947. I frequenti viaggi in Francia (Parigi e Bretagna), dove ebbe compagni A. Martini e T. Garbari, lo posero a contatto con un ambiente di cultura figurativa ricco e fermentante, che stimolò la sua creatività: la prima volta, nel 1907, lo interessò la pittura dei fauves; l'ultima, nel 1918, il cubismo. Una grave vicenda sentimentale, la guerra, la prigionia, l'incomprensione che circondava la sua arte lo condussero alla pazzia. Ricoverato in manicomio nel 1924, vi rimase fino alla morte.
La pittura del R., appena adesso riconosciuta, si svolge in poco più di un decennio. Durante il suo primo soggiorno parigino subì l'influsso di Gauguin (La fanciulla del fiore, 1908) e Van Gogh (L'uomo del canarino, 1912), creando una serie di opere nelle quali l'intensità del sentimento lirico si esprime, in una sfera di gusto espressionistico, mediante stesure piatte di colore smaltato circoscritte da marcati profili di contorno (Marina di Douarnenez, 1910, Gall. int. d'arte mod., Venezia). Successivamente, nel drammatico dipinto Maternità, del 1913, compare una ricerca di sintetiche e chiuse strutture formali: su questa via si svolgono le sue ultime creazioni (Costruzioni di natura morta), tra il 1919 e il 1922, di ispirazione cubista. Il valore della sua opera, che include alcune compiute realizzazioni poetiche, risiede nel tentativo, anticipatore rispetto al tempo e all'ambiente, di inserirsi, superando i limiti della provincia italiana, nel vivo della cultura figurativa europea contemporanea.
Bibl.: G. Marchiori, G. R., in Emporium, LXXXI, 1935, pp. 280-86 (con bibl.); C. L. Ragghianti, in La Critica d'Arte, IV, 1939, p. 20 seg.; G. Marchiori, G. R., in Boll. n. 10 della Gall. Arcobaleno, Venezia 1939 (con bibl.); N. Barbantini, G. R., Venezia 1943 (con bibl.); G. Marchiori, G. R., Milano 1946 (con bibl.); Omaggio a G. R., scritti di G. Marchiori, C. Comisso, B. Geiger, N. Barbantini, in Lettere ed Arti, II, 1946, 9-10, pp. 2-29 (con bibl.); U. Apollonio, in Ulisse, II, 1948, pp. 713-15.