MARTINOLI, Gino.
– Nacque a Firenze, il 19 marzo 1901, da Giuseppe Levi e da Lidia Tanzi (Gino Levi modificò il suo cognome in Martinoli, in seguito all’entrata in vigore delle leggi razziali nel 1938).
Il padre, discendente di una famiglia della borghesia israelitica triestina, era allora assistente alla cattedra di anatomia umana presso l’Università di Firenze, ed ebbe altri quattro figli: Paola, Mario, Alberto e Natalia.
Terminato il liceo, il M. si iscrisse al Politecnico di Torino dove scelse il corso di studi in chimica industriale dopo che il padre lo aveva dissuaso dall’intraprendere la carriera di chimico puro, essenzialmente per motivi economici. Al Politecnico conobbe Adriano Olivetti, con il quale instaurò un rapporto di amicizia che durò fino alla morte di quest’ultimo; sempre con Olivetti – che aveva preso a frequentare assiduamente casa Levi dove aveva conosciuto la sorella del M., Paola, sua futura moglie – tra il settembre 1923 e il giugno 1924 frequentò il corso allievi ufficiali di complemento e assolse il servizio di leva, terminato il quale discusse la tesi di laurea. Nello stesso 1924 Camillo Olivetti, padre di Adriano, proprietario dell’omonima fabbrica di macchine da scrivere e amico di famiglia dei Levi – anche in virtù della fede socialista che lo accomunava a Giuseppe –, propose al M. di lavorare per qualche tempo nella sua officina come operaio apprendista. Il M. accettò l’offerta, si trasferì a Ivrea e rimase alla Olivetti fino alla fine del secondo conflitto mondiale, portandovi a termine la sua formazione e avendo la possibilità di affrontare la prima esperienza dirigenziale. Nel 1926 sposò Piera Cheli, da cui ebbe nel 1934 il figlio Arturo.
A Ivrea il M. si trovò a operare in un’azienda in fase di lenta trasformazione: Camillo, progettando di dare vita a quella che sarebbe divenuta la Officina meccanica Olivetti (OMO), per produrre in proprio, e quindi aggiornare, le macchine utensili necessarie alla fabbrica, aveva inserito nell’organico i primi ingegneri e soprattutto aveva spinto il figlio Adriano a compiere, insieme con il capo officina D. Burzio, un viaggio di aggiornamento tecnico negli Stati Uniti.
Nel quadro del piano di ristrutturazione dell’azienda, sia tecnica sia amministrativa, successivo a questo viaggio, nel 1932 il M. fu nominato direttore tecnico della Ing. Camillo Olivetti & C., divenuta, da società in accomandita semplice, società anonima, di cui Adriano aveva assunto la direzione generale. Il M. si trovò, dunque, a dirigere il processo di ristrutturazione produttiva dell’azienda, orientato a introdurre sistemi di organizzazione scientifica del lavoro e ad avviare, compatibilmente con la tecnologia del tempo, processi di produzione in serie.
L’innovazione riguardò sia i singoli prodotti, meglio studiati dal punto di vista funzionale ed estetico, sia il processo produttivo nel suo complesso: si introdussero nuovi sistemi di studio scientifico delle mansioni per scomporle e parcellizzarle, e le varie operazioni furono ridisposte lungo lo stabilimento in funzione del montaggio finale; furono introdotti, altresì, un nuovo sistema di incentivi e un nuovo metodo di calcolo dei tempi di lavoro. Tali cambiamenti, basilari per il successo della Olivetti negli anni Trenta e Quaranta, portarono a ridurre di circa un terzo i tempi di montaggio e furono realizzati nell’ambito di un più ampio ripensamento di tutta la struttura organizzativa, volto a rendere maggiormente flessibili le comunicazioni interfunzionali tra le varie componenti. Nella pratica ciò fu realizzato attraverso la predisposizione di un complesso sistema di modulistica che permise di dare vita a routines, le quali, nelle parole dello stesso M., rendevano possibile un equilibrato bilanciamento della «tendenza conservativa» espressa dalla produzione con l’opposta «tendenza innovativa» espressa invece dal settore commerciale (G. Levi, Rapporti fra la direzione della produzione e l’ufficio tecnico in una industria di serie, in L’Organizzazione scientifica del lavoro, VIII [1933], 7-8, p. 337).
Antifascista come tutta la sua famiglia – i fratelli Mario e Alberto avevano subito procedimenti penali per la loro partecipazione al movimento di Giustizia e libertà e lo stesso M. era stato arrestato e ammonito nel corso del 1934 –, il M. rimase tuttavia a Ivrea continuando a lavorare in fabbrica. Nei primi mesi del 1944, quando, per il precipitare degli eventi bellici, Adriano Olivetti passò in Svizzera, il M., insieme con altri due alti funzionari della Olivetti, G. Enriques e G. Pero, si trovò a dirigere l’azienda.
Il M. ed Enriques facevano già parte del Comitato di liberazione nazionale (CLN) interno alla Olivetti; la fabbrica, dichiarata dai tedeschi «stabilimento protetto», in quanto produceva materiale utile al Reich, divenne il vero e proprio centro della vita di Ivrea: al suo interno si provvide al vettovagliamento della popolazione, al reperimento di armi, a mantenere i contatti con le formazioni partigiane di stanza sulle montagne circostanti, a garantire rifugio agli antifascisti e a stampare clandestinamente i lasciapassare tedeschi. Nel gennaio 1945, quando il comando tedesco di Vercelli dette ordine di minare la fabbrica, il M. ed Enriques, offrendo una cospicua somma in denaro a un ufficiale, riuscirono a procrastinare il provvedimento, salvando lo stabilimento dalla distruzione e restituendo così nelle mani di Olivetti un’azienda che conservava ancora integre le sue capacità produttive.
Nel corso del 1945, nel quadro del rinnovo della dirigenza verificatosi dopo il rientro di Adriano in Italia, il M. lasciò l’azienda; fece, quindi, parte del Consiglio industriale Alta Italia (CIAI), trasformato, nei primi mesi del 1946, nella Sottocommissione industria Alta Italia (SIAI) collegata alla neonata Commissione centrale industria, alle dipendenze del ministero dell’Industria e del commercio. Contemporaneamente cominciò a lavorare a Napoli, come direttore tecnico alla Navalmeccanica, azienda del gruppo IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) che abbandonò pochi mesi dopo quando si trasferì a Milano in qualità di ispettore incaricato del servizio tecnico centrale IRI, con compiti di supervisione sulle industrie meccaniche dell’Italia settentrionale: Alfa Romeo, Filotecnica Salmoiraghi, Motomeccanica e Stabilimenti S. Eustachio. In questo stesso periodo, dagli inizi del 1946 alla fine del 1947, dopo aver compiuto una serie di ispezioni nelle aziende poste sotto la sua supervisione, decise, insieme con un altro ingegnere dipendente dall’ispettorato centrale, S. Leonardi, di dare vita a un Ufficio organizzazione aziende meccaniche IRI.
Il primo nucleo di questo ufficio si formò in relazione alla proposta di realizzare uno studio volto alla definizione di nuovi sistemi di incentivazione del lavoro; successivamente ci si rese conto che proporre una semplice revisione dei tempi e dei cottimi non sarebbe bastato. Per giungere a determinare tempi e metodi di lavoro secondo criteri «scientifici» si sarebbe dovuto, infatti, procedere nel senso di rilevanti trasformazioni sul piano dei processi produttivi e dell’organizzazione degli stabilimenti. Da queste considerazioni era nata, dunque, l’esigenza di creare un Ufficio organizzazione che avrebbe dovuto svolgere attività di consulenza in favore delle direzioni aziendali facenti capo al settore meccanico dell’IRI.
I frequenti contrasti con la direzione centrale, determinati dalle proposte di riforma avanzate dall’Ufficio organizzazione, portarono, però, il M. ad abbandonare l’IRI per tornare a lavorare, nel 1948, per un’industria meccanica privata: la Vittorio Necchi spa di Pavia, produttrice di macchine da cucire.
Il M. fu assunto come direttore generale tecnico con il compito di sviluppare la produzione per fronteggiare le richieste del mercato nazionale in espansione e, soprattutto, per affrontare i nuovi mercati internazionali, in primis quello statunitense. La sua iniziale decisione di aumentare la manodopera portò a un accrescimento della produzione tout court, ma comportò anche un parallelo calo della produttività. Il recupero di quella iniziale flessione del rendimento e la ristrutturazione degli stabilimenti al fine di aumentare la produttività dei reparti furono raggiunti nel corso dei successivi cinque anni, agendo sull’innovazione del prodotto, sul rinnovamento dei processi produttivi e sulla trasformazione organizzativa; in tal modo l’azienda arrivò a triplicare il numero di macchine prodotte quotidianamente.
In certo qual modo, nella riorganizzazione della Necchi il M. riprese e sviluppò il processo di innovazione iniziato a Ivrea, sul quale egli aveva avuto modo di riflettere nel corso dei mesi passati all’IRI. Sul piano tecnico, una volta studiato il prodotto si ridisegnò per intero il processo produttivo, acquistando nuove macchine utensili e nuove attrezzature che permisero di automatizzare la gran parte degli spostamenti delle macchine per cucire lungo le linee di lavorazione fino al montaggio finale, attuato per la prima volta mediante l’uso della catena. Fondamentali furono, poi, le innovazioni del profilo organizzativo mirate a realizzare quel coordinamento delle funzioni della cui necessità il M. e i suoi collaboratori si erano resi conto già nel periodo tra le due guerre e che negli anni Cinquanta fu uno dei cardini della campagna produttivistica messa in atto dall’amministrazione statunitense, parallelamente allo European Recovery Program.
Nel corso del 1956, a causa di contrasti sorti con la vecchia direzione e con la proprietà, il M. abbandonò la Necchi e tornò a Milano dove diede vita alla Società italiana progettazioni assistenze industriali (SIPAI), azienda dell’IRI che avrebbe dovuto svolgere attività di consulenza per il gruppo, concorrendo a gare internazionali per la fornitura di impianti «chiavi in mano», sfruttando le molteplici competenze presenti all’interno dell’IRI stesso. Dopo circa un anno lasciò anche la SIPAI perché chiamato da E. Mattei a ricoprire la carica di amministratore delegato dell’Agip nucleare, neonata società dell’Ente nazionale idrocarburi (ENI), che progettò e curò, attraverso la Società italiana meridionale per l’energia atomica (SIMEA), la messa in opera della prima centrale del gruppo a Latina. L’esperienza del M. nel nucleare terminò, tuttavia, nel corso del 1960 quando Mattei decise un ridimensionamento dell’azienda: la centrale di Latina passò successivamente all’ENEL, l’Agip nucleare fu fusa con la Società nazionale metanodotti (Snam) e la SIMEA fu posta in liquidazione (Conversando…, p. 88). Successivamente il M. tornò a occuparsi di problemi legati all’energia nucleare in quanto membro, per alcuni anni, del consiglio d’amministrazione del Comitato nazionale energia nucleare (CNEN). Sempre nel 1960 fu assunto come direttore generale della Compagnia generale di elettricità, un azienda appartenente alla General Electric Company che lasciò dopo neanche un anno di permanenza, in favore di un lungo pensionamento.
Di fatto, dal 1961 il M. si dedicò prevalentemente ai problemi della formazione, un campo d’interesse che era stato, negli anni precedenti, intrinsecamente connesso con la sua attività di organizzatore della produzione. Se all’inizio si era occupato di formazione del personale all’interno delle aziende nelle quali era stato impiegato, già dalla metà degli anni Cinquanta aveva incominciato a rivolgere i suoi interessi al cruciale problema del rapporto esistente tra crescita dei livelli formativi e sviluppo socioeconomico. L’ampliarsi dei suoi interessi in questo settore fu accompagnato da un’attenzione sempre maggiore ai problemi della preparazione dei quadri dirigenti e del top management, lungo una direttiva che lo avrebbe portato a occuparsi di formazione universitaria e postuniversitaria.
Già nell’aprile 1956, al Convegno sui problemi dell’automatismo organizzato a Roma dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), il M. aveva presentato una comunicazione volta ad analizzare la relazione esistente tra progresso tecnologico e livello di preparazione culturale della manodopera; in seguito aveva partecipato a un lavoro di studio promosso dal ministro della Pubblica Istruzione, G. Medici, nella primavera del 1959. L’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno (Svimez), in accordo con il ministero, aveva dato vita a due commissioni di studio, una delle quali presieduta dal M., con l’obiettivo di approfondire i compiti che le varie strutture formative avrebbero dovuto assolvere negli anni successivi in termini quantitativi e qualitativi. Lo studio, pubblicato nel corso del 1961, ebbe una vasta eco e in base a esso fu avviato il Progetto regionale mediterraneo, con il proposito di estendere il campo di indagine a Grecia, Jugoslavia, Portogallo, Spagna e Turchia; la Svimez fu incaricata di redigere la parte italiana del piano, poi sostituta dal Centro studi investimenti sociali (Censis) che lo portò a termine nel corso del 1965. Il M., attraverso questi due enti, partecipò fin dall’inizio al progetto, avviando così una lunga serie di collaborazioni inerenti i problemi formativi a livello internazionale e nazionale. Per citarne solo due: nel 1962 fece parte della Commissione di indagine sullo stato e sullo sviluppo della Pubblica Istruzione in Italia, un organismo costituito dal primo governo di centro-sinistra con il compito di prefigurare le linee di sviluppo del sistema educativo italiano. Nel 1967 fu nominato membro del Comitato nazionale per la formazione e l’utilizzazione del personale scientifico e tecnico, gruppo di studio creato dal ministero della Pubblica Istruzione, con lo scopo di studiare possibili ipotesi di riforma delle istituzioni cui era delegata la formazione politecnica, il quale giunse a prefigurare una riforma della facoltà di ingegneria su tre livelli, solo dopo molti anni affermatasi in Italia.
Il M. continuò anche a occuparsi di formazione dei quadri dirigenti: dal 1956 al 1975 diresse la Rivista di organizzazione aziendale; nel contempo partecipò direttamente alla creazione di due scuole di management: nel 1961 fu chiamato a Napoli da G. Pastore, allora a capo del Comitato dei ministri per il Mezzogiorno, a presiedere il Centro residenziale di formazione e studi della Cassa per il Mezzogiorno (Formez); successivamente, a distanza di una decina di anni, fu direttamente coinvolto nella fondazione a Varese dell’Istituto studi direzionali (Istud).
L’interesse per i problemi formativi andò per il M. di pari passo con la sua attenzione per i fenomeni sociali. Il suo impegno in questo ambito ebbe inizio con la già ricordata collaborazione ai lavori della Svimez, proseguendo, successivamente, con la creazione del Censis, nel 1964, insieme con G. De Rita e P. Longo.
Scopo dichiarato del Censis era quello di continuare il lavoro della sezione sociologica della Svimez, dalla quale De Rita e Longo provenivano, relativamente ai problemi della programmazione scolastica ed extra scolastica, senza limitare l’attenzione al Mezzogiorno ma allargando l’orizzonte degli studi e delle ricerche a livello nazionale. In seguito, ampliandosi ulteriormente i campi di indagine, il M. continuò a seguire le attività del Censis, divenuto Fondazione nel 1973, e di cui egli assunse la presidenza nel 1980.
Il M. morì a Ivrea il 25 dic. 1996.
Rimasto vedovo, il M. si era risposato con la sorella minore di Adriano Olivetti, Silvia.
Tra i lavori del M., relativi soprattutto alla sua attività nel campo della promozione della cultura manageriale e della formazione, si ricordano: Criteri fondamentali per l’organizzazione della produzione, Milano 1954; L’Università nello sviluppo economico italiano, Roma 1962; Tecnica, sviluppo economico, scuola, Milano 1962; La formazione sul lavoro, Bari 1964; L’Università come impresa, Firenze 1967; Il dirigente oggi: un mestiere difficile, Milano 1971; Le previsioni scolastiche: rendiconto di una esperienza, Roma 1978; Presente inquieto. Avvenire incerto, ibid. 1979; Istruire non basta: per un recupero della funzione educativa, Milano 1992; Un secolo da non dimenticare. Riflessioni e fantasie di un testimone novantacinquenne, ibid. 1996.
Fonti e Bibl.: L’arch. personale del M. è conservato a Roma, presso la Fondazione Censis. Per l’esperienza presso la Olivetti, qualche traccia è recuperabile a Ivrea, Arch. stor. Olivetti, nei carteggi dei fondi Camillo Olivetti e Adriano Olivetti. Sul periodo passato all’IRI e alla sezione meccanica della SIAI: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero dell’Industria, del commercio e dell’artigianato, Commissione centrale industria, SIAI (1945-1949); Enti pubblici e società, Ist. per la ricostruzione industriale, Arch. secondo, Copialettere, ad nomen. Per la posizione politica del M. e della sua famiglia durante il fascismo: Ibid., Ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, Fascicoli personali, Levi, Mario; Levi, Alberto; Levi, Giuseppe e Gino; Casellario politico centrale, f. Levi, Giuseppe; Levi, Mario. E ancora: Roma, Arch. stor. ENI, Fondo Mattei, Agip Nucleare (2 cart.). Per una ricostruzione autobiografica cfr. l’intervista Conversando con G. M., a cura di C. D’Amicis - M. Fulvi, Milano 1991; per gli anni della formazione: il libro della sorella Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Torino 1963 e, più in generale sulla Torino degli anni Venti e Trenta: A. D’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino 2000, pp. 275, 295. Per inquadrarne l’attività nell’ambito delle contemporanee trasformazioni tecnologiche e organizzative: G. Sapelli, Organizzazione, lavoro e innovazione industriale nell’Italia tra le due guerre, Torino 1978; Id., Gli «organizzatori della produzione» tra strutture d’impresa e modelli culturali, in Storia d’Italia (Einaudi), Annali 4, Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, Torino 1981, pp. 589-696 e D. Bigazzi, Modelli e pratiche organizzative nell’industrializzazione italiana, Annali 15, L’industria, a cura di F. Amatori et al., ibid. 1999, pp. 895-994. Sulle trasformazioni alla Olivetti negli anni tra le due guerre e, in particolare, sul rapporto con A. Olivetti: V. Ochetto, Adriano Olivetti, Milano 1985, pp. 35-159 e, più in generale tutta la serie 1 (1937-43) del bimestrale olivettiano Tecnica ed organizzazione. Sulla Necchi: la rivista aziendale Necchi macchine per cucire (annate 1951-58) e S.H. Wellisz, Studies in the Italian light mechanical industry, II, The sewing machine industry, in Riv. internazionale di scienze economiche e commerciali, 1957, n. 12, pp. 1161-1182. Sull’Agip Nucleare e l’evoluzione del settore in Italia: M. Silvestri, Il costo della menzogna. Italia nucleare 1945-1968, Torino 1968, ad ind. e B. Curli, Energia nucleare e Mezzogiorno. L’Italia e la Banca mondiale (1955-1959), in Studi storici, XXXVII (1996), pp. 317-351. Sulle scuole di management cui il M. fu legato e sull’attività al Censis: S. Zoppi, Il Sud tra progetto e miraggio. Problemi e prospettive di una trasformazione, Catanzaro 1993, ad ind.; A. Musacchio, Il Formez tra il 1961 e il 1975, in Scuole di management, a cura di G. Gemelli, Bologna 1997, pp. 259-293; F. Nahum, Origine, storia e modelli dell’Istud - Ist. studi direzionali, ibid., pp. 387-435; L’Italia dopo la grande trasformazione. Trent’anni di analisi Censis 1966-1996, a cura di F. Casula, Roma 1999, ad indicem.