Gino Luzzatto
Gino Luzzatto è un personaggio di prima grandezza nella storiografia italiana del Novecento. La sua produzione si sviluppa, senza soste e interruzioni, dagli inizi del secolo fino agli anni Sessanta, ed è caratterizzata, pur nella varietà e molteplicità dei contributi, da interessi tematici e orientamenti interpretativi chiaramente definiti che ne rafforzano l’unitarietà e la coerenza. Sono i fenomeni economici a porsi al centro della sua ricerca, che a buon diritto viene ricordato da Delio Cantimori (1971, p. 270) come il maggior rappresentante della storia economica italiana. Occorre però al contempo guardarsi dal chiudere la personalità di Luzzatto nel ghetto di un rigido specialismo disciplinare: fare storia dell’economia è per Luzzatto fare storia di una realtà più vasta e complessa, e a sua volta la storiografia non è un sapere in sé concluso, ma l’espressione di un impegno etico-politico che sollecita Luzzatto a intervenire, con discrezione ma con continuità, nel discorso pubblico della tormentata Italia del suo tempo.
Gino Luzzatto nasce il 9 gennaio 1878 a Padova, figlio di Giuseppe, goriziano, e di Amalia Salom, veneziana. Si iscrive nel 1894 alla facoltà di Lettere della sua città, laureandosi nel 1898 con una tesi dedicata a un autore del Seicento, lo storico Girolamo Brusoni. Più che dai docenti della sua facoltà, però, il giovane Luzzatto sembra trarre stimoli intellettuali da cultori di altre discipline, che egli non mancherà di ricordare, quali l’economista Achille Loria, i cui corsi Luzzatto ascolta ancora studente liceale, e lo storico del diritto Nino Tamassia.
Dopo la laurea, Luzzatto si dedica all’insegnamento nella scuola secondaria in diverse sedi, da Potenza a Grosseto, a Urbino, a Perugia, a Pisa, affiancando all’insegnamento una costante e intensa attività di ricerca, che fa tesoro degli archivi locali volta a volta disponibili. Particolarmente fecondi sono gli anni della sua permanenza nelle Marche (dal 1901 al 1905). A Urbino prende una seconda laurea in giurisprudenza.
Nel 1910 Luzzatto viene nominato professore straordinario di storia del commercio presso l’Istituto superiore di commercio di Bari e nel 1914 esce il primo volume della sua Storia del commercio. Alla ricerca storiografica Luzzatto unisce un’intensa attività pubblicistica: contribuisce alla fondazione del settimanale «L’Unità» (dando inizio a un duraturo sodalizio con Gaetano Salvemini) e vi collabora fino alla cessazione della testata, nel 1920.
Dopo gli anni della guerra, cui partecipa come tenente, Luzzatto viene chiamato, nel 1921, all’Università di Trieste e poi, nel 1922, all’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Venezia. Da questo momento Venezia diviene il polo di gravitazione della sua attività didattica e scientifica, restando fermo al contempo il suo impegno civile.
Avverso al fascismo, nel maggio 1925 Luzzatto aderisce al crociano Manifesto degli intellettuali antifascisti e paga ben presto le conseguenze della sua scelta: eletto direttore dell’istituto veneziano nel marzo di quello stesso anno, in novembre viene dato per ‘dimissionario’ ed è costretto a rinunciare all’incarico. Sempre in contatto con gli ambienti dell’antifascismo militante, nel 1928 viene arrestato e detenuto per un mese a Milano.
Negli anni del regime, Luzzatto, docente a Venezia, si dedica a un’intensa attività didattica e scientifica (svolgendo, fra l’altro, una funzione di grande rilievo nella redazione della «Nuova rivista storica»). Il suo magistero veneziano viene però bruscamente interrotto, nel 1938, dal varo delle leggi razziali. Collocato a riposo e sostituito da Amintore Fanfani, Luzzatto accentua il suo impegno, nell’infuriare della persecuzione antisemita, entro la comunità ebraica veneziana, tenendo lezioni, insieme alla sorella, per i giovani ebrei estromessi dalle scuole pubbliche e adoprandosi per organizzare l’espatrio dei perseguitati verso l’America o la Palestina. Dopo il 25 luglio 1943 il Consiglio dell’istituto decide di provvedere alla reintegrazione dei docenti espulsi, ma la situazione precipita con l’occupazione tedesca e Luzzatto è costretto a cercare rifugio a Roma presso Raffaele Ciasca, docente di storia economica a Genova.
È nel luglio del 1945 che Luzzatto può riprendere le sue attività a Venezia, dove viene eletto rettore dell’Università di Ca’ Foscari. Come sempre, egli unisce ai tanti oneri scientifici e accademici un altrettanto rilevante impegno politico, prima nel Partito d’azione e poi nel Partito socialista unitario, divenendo assessore alle finanze nella giunta comunale di Venezia dal 1946 al 1951.
Collocato a riposo nel 1953, Luzzatto continua a svolgere un’intensa attività di ricerca. È ancora in grado di dare alle stampe, nel 1963, il primo volume di L’economia italiana dal 1861 al 1914 e di portare avanti la preparazione del secondo volume, ma non di condurlo a compimento. Muore a Venezia il 30 marzo 1964.
La produzione di Luzzatto è vastissima (la più aggiornata bibliografia registra quasi ottocento titoli; cfr. Caracausi, in «Ateneo veneto», 2005, pp. 161-225) e non è possibile ripercorrerla da vicino. È possibile solo accennare alle prospettive di fondo e ad alcuni dei grandi temi cui essa è riconducibile. Certo, Luzzatto ha sempre diffidato delle solenni dichiarazioni teoriche e metodologiche, a suo modo partecipe del ‘concretismo’ del suo amico Salvemini. Ciò non gli ha impedito però di esprimere, con il suo stile sorvegliato e chiaro, una precisa visione del ‘mestiere dello storico’. Luzzatto chiede molto alla storiografia. Non gli bastano l’erudizione e la scrupolosa documentazione. Fino dai suoi anni giovanili sente il bisogno di allargare l’orizzonte, di definire in modo più complesso l’oggetto della ricerca. È questo il senso del suo precoce interesse per l’insegnamento di Loria: fare dello studio del passato uno strumento di comprensione della società nel suo complesso (Cattini, in «Ateneo veneto», 2005, p. 39).
È in questa prospettiva che il giovane Luzzatto coltiva interessi apparentemente disomogenei, ma in realtà fra loro coerenti e destinati a incidere in maniera durevole sulla strumentazione della sua ricerca: l’interesse per la geografia, per le istituzioni giuridiche, per l’economia.
La passione giovanile per la geografia si traduce in una precisa consapevolezza del carattere situato, spazializzato, territorializzato dei fenomeni storico-sociali e diviene una componente importante della sua ricerca, confortata dalla frequentazione di autori come Carlo Maranelli e Friedrich Ratzel.
Anche il suo interesse per il diritto è precoce (ne offre una testimonianza il suo apprezzamento per Tamassia, storico del diritto) ed è destinato ad approfondirsi nel corso del tempo. Laureatosi in giurisprudenza a Urbino con un lavoro su Le origini dell’organizzazione finanziaria dei Comuni italiani, Luzzatto partecipa successivamente a un concorso per la cattedra di storia del diritto italiano presso l’Università libera di Perugia e ottiene infine la libera docenza, nel 1910, presso l’Università di Padova (Moretti, in «Ateneo veneto», 2005, p. 123). Al di là di queste contingenti vicende accademiche, l’interesse per i fenomeni istituzionali è costante, e motivato dalla convinzione di dover cogliere le molteplici articolazioni della realtà sociale per tentare di comprenderla in tutta la sua complessità.
Certo, la geografia e la storia giuridico-istituzionale restano, per Luzzatto, strumenti e non fini della ricerca storiografica, che semmai trova il suo filo conduttore nello studio dei fenomeni economici. A rigore, però, nemmeno l’economia assurge al ruolo di un esclusivo e autosufficiente oggetto di indagine: essa piuttosto vale come la principale chiave di accesso per la comprensione della società nel suo complesso, che è la realtà che a Luzzatto preme indagare.
Agisce su di lui l’influsso della scuola economico-giuridica e storico-economica tedesca «di cui tutti i suoi scritti appaiono imbevuti» (Lanaro, in «Ateneo veneto», 2005, p. 51). Alla cultura tedesca, peraltro, Luzzatto resta durevolmente legato, facendosi promotore di traduzioni di opere di Werner Sombart, Walther Rathenau, Friedrich Naumann (mentre Max Weber non sembra attirare la sua attenzione). La lezione di metodo della scuola economico-giuridica (basti tener presenti i nomi di Giuseppe Salvioli, Romolo Caggese, Gioacchino Volpe) consiste appunto nell’invito a cogliere l’interdipendenza dei fenomeni economici e giuridici e la loro costitutiva storicità.
Luzzatto, dunque, per un verso contribuisce in modo determinante allo sviluppo di una storiografia economica in Italia, ma per un altro verso non perde mai di vista il carattere integralmente storico dell’economia e della teoria economica, e riconduce entrambe a momenti di una storia sociale cui va la sua prevalente attenzione.
Nasce da questa prospettiva (precocemente sviluppatasi e sempre confermata nel corso del tempo, come dimostrano il suo articolo Per un programma di lavoro, «Rivista di storia economica», 1936, 3, pp. 181-98, e le sue lezioni pisane del 1956) il rifiuto di separare la teoria economica dalla storiografia e la convinzione della loro indispensabile sinergia. Sensibile allo storicismo di Friedrich List, di Karl G.A. Knies, di Karl Bücher, di Gustav von Schmoller, Luzzatto diffida della ‘pura’ teoria, ma al contempo si rende conto che l’analisi storiografica non può fare a meno di modelli e concetti per venire a capo del suo oggetto (Caizzi, in «Nuova rivista storica», 1965, p. 92).
Senza indulgere a proclami metodologici altisonanti, Luzzatto persegue ostinatamente l’obiettivo di una conoscenza il più possibile ‘integrale’ della realtà storico-sociale, mirando a superare, da un lato, la falsa antinomia fra ‘teoria’ e ‘storiografia’ e, dall’altro lato, prendendo le distanze da una concezione eccessivamente ‘individualizzante’ della storiografia.
Quest’ultimo fronte viene precocemente individuato da Luzzatto in un articolo (Un tentativo di storia psicologica, «La scienza sociale», 1903, pp. 80-86) dedicato alla presentazione di una vasta opera di Karl G. Lamprecht (Zur jüngsten deutschen Vergangenheit, 3 voll., 1902-1904). Luzzatto trae spunto dagli scritti dello storico tedesco per sottolineare l’importanza di una storiografia che non si concentri sulle singole individualità, sui ‘protagonisti’ della storia, ma si interessi alla folla dei personaggi anonimi e si sforzi di ricondurre le azioni individuali all’interazione sociale complessiva. Al contempo, però, egli non manca di criticare Lamprecht per aver presentato come forze motrici della storia i fenomeni psichici collettivi, anziché gli interessi concreti, i bisogni vitali e il conflitto fra le classi.
È il materialismo storico il quadro teorico dal quale Luzzatto viene durevolmente impressionato. Il lascito di Karl Marx si traduce però non in un rigido apparato categoriale entro il quale forzare il divenire storico, ma coincide con una lezione di ‘realismo’, con l’avvertenza di cogliere negli interessi e nei conflitti il motore dell’interazione sociale.
Assumere l’economia (e quindi la storia economica) come la via più diretta per una comprensione il più possibile integrale della realtà storica; mantenere desto l’interesse per gli snodi istituzionali della dinamica sociale; diffidare di un’applicazione meccanica della teoria al divenire storico, ma non rinunciare ai servigi che la scienza economica può offrire alla ricostruzione del passato; superare l’approccio eccessivamente ‘individualizzante’ della tradizione storicistica e mirare a una comprensione della dimensione sociale e collettiva dei mutamenti storici, a partire dal ruolo delle classi e dalla dinamica dei loro conflitti: sono queste le linee-guida che sorreggono l’inesausta attività storiografica di Luzzatto e che trovano verifiche, approfondimenti, conferme in una produzione ricchissima di analisi minuziose e mirate, ma al contempo capace di grandi affreschi e di ricostruzioni complessive.
È comprensibile, alla luce di queste coordinate, che il centro focale di tanta produzione luzzattiana sia il problema della genesi storica del capitalismo.
Comprendere il capitalismo significa per Luzzatto andare alla ricerca delle sue radici storiche: dal ruolo del mercante nell’Italia medievale e protomoderna ai profili economici e giuridici della finanza pubblica tre-quattrocentesca, alle caratteristiche del commercio internazionale. Studiare le origini del capitalismo facendo leva su questi profili implica a sua volta concentrare l’attenzione su un ‘luogo’, insieme fisico, politico-istituzionale e socioeconomico, di determinante importanza: la città.
Luzzatto prende a studiare intensamente il fenomeno cittadino negli anni del suo soggiorno marchigiano: si pensi, ad es., alle varie ricerche dedicate alla cittadina marchigiana di Matelica (in partic. Le finanze di un castello nel secolo XIII, «Vierteljahrschrift für Sozial- und Wirtschaftsgeschichte», 1913, 1-2, pp. 45-128) e alla citata tesi di laurea in giurisprudenza, Le origini dell’organizzazione finanziaria dei Comuni italiani, un lavoro (memore delle suggestioni della scuola economico-giuridica) che gli permette di cogliere un fondamentale punto di collegamento fra diritto ed economia e sviluppare un interesse tematico che continuerà a produrre frutti nella sua successiva attività storiografica (Cammarosano 1993, p. 130).
La città come luogo di concentrazione e di espressione di nuove forze economiche; la città come momento di connessione fra dinamiche sociali e istituzioni giuridiche; la città come teatro ed epicentro di conflitti sociali: sono questi i temi che Luzzatto individua studiando i Comuni marchigiani, e sono ancora questi i temi che ritrova studiando per lunghi anni una realtà peculiare: Venezia.
Venezia, fra Medioevo e prima modernità, è per Luzzatto l’emblema di un dinamismo che ha come protagonista, ancora una volta, il mercante, il quale è però al contempo un membro del patriziato e come tale è capace di creare un’inedita sinergia fra spirito commerciale e pratica di governo. Un importante frutto delle analisi dedicate da Luzzatto al mercante veneziano è consegnato a un suo celebre saggio (Les activités économiques du patriciat vénitien), pubblicato nel 1937 dalle «Annales».
Non è peraltro sorprendente che il contributo di Luzzatto venga ospitato dalla rivista francese. Molte delle linee programmatiche da essa enunciate – l’attenzione al nesso fra economia e società, il superamento di un approccio ‘individualizzante’, l’anteposizione della storia economico-sociale alla famigerata histoire bataille – erano destinate a incontrarsi spontaneamente con gli interessi e il metodo di Luzzatto, la cui produzione viene tenuta presente e valorizzata dai redattori delle «Annales» (Aymard, in «Ateneo veneto», 2005, pp. 12-14).
Agli storici francesi come a Luzzatto interessa capire le origini e la dinamica del capitalismo commerciale, e Venezia riveste, in questa prospettiva, un’importanza indiscutibile. Non è dunque casuale che per Venezia e per la sua storia Luzzatto nutra un interesse costante, che si sviluppa per un quarantennio – dalla prolusione veneziana del 1922 fino agli anni Sessanta – e si traduce in esplorazioni puntuali come in lavori di sintesi.
Non è peraltro solo alla storia veneziana che Luzzatto dedica lavori di largo respiro. Ai tanti studi che scavano in profondità in aree circoscritte Luzzatto ha sempre accompagnato opere dedicate a una rappresentazione complessiva dei fenomeni socioeconomici. La prima opera di sintesi redatta da Luzzatto, la Storia del commercio, risale al 1914; nel 1932 esce il primo volume della Storia economica dell’età moderna e contemporanea (seguito, nel 1938, da un secondo volume); nel 1963 viene pubblicato, poco prima della morte dell’autore, il primo volume di L’economia italiana dal 1861 al 1914. Sollecitati anche da esigenze didattiche, questi scritti offrono una visione d’insieme della storia economica entro un amplissimo arco temporale, e sono rimasti a lungo un punto di riferimento obbligato per la storiografia economica italiana.
È dunque una cospicua eredità intellettuale che Luzzatto lascia alle generazioni successive. Pur senza poter contare sul tramite di una ‘scuola’ consolidata, l’insegnamento luzzattiano non ha mancato di impressionare la storiografia successiva: basti pensare al grande tema della città come snodo determinante della vita economico-sociale e alla sua ‘ripresa’ nei lavori di Marino Berengo (Chittolini 2003).
A rendere tuttora suggestiva l’opera storiografica di Luzzatto contribuisce, oltre alla limpidezza e alla pulizia dello stile e all’acribia della ricerca documentaria, la coerenza dell’impianto complessivo, sorretto, da un lato, da precise e nitide coordinate metodologiche e, dall’altro lato, dall’insistenza su un campo tematico precisamente definito, pur nella complessità della sua articolazione.
L’attività storiografica costituisce il principale segno distintivo della personalità di Luzzatto, ma non la esaurisce. La vocazione scientifica trae senso e completezza da un’esigenza altrettanto profonda e radicata: l’esigenza di agire in prima persona sulla scena pubblica partecipando attivamente al dibattito politico. La sua passione civile non è un fuoco di paglia, un’accensione sporadica, ma resta viva in tutto l’arco della sua esistenza. Lavoro di ricerca e attività pubblicistica non si presentano, in Luzzatto, come attività separate o solo occasionalmente collegate, ma procedono di pari passo, si sostengono e si illuminano a vicenda, a dispetto dell’apparente distacco delle ricerche erudite dall’immediatezza del conflitto politico.
Guardare al passato sollecitati dai problemi imposti dal presente e tornare al presente rafforzati e illuminati dalla comprensione delle sue radici: è questo un atteggiamento di fondo che rende Luzzatto idealmente vicino a Carlo Cattaneo, per una sorta di affinità elettiva più che per una precisa condivisione dell’una o dell’altra tesi (Berengo 1964, p. 892), e pone le basi dell’amicizia e della collaborazione con Salvemini.
In Salvemini, Luzzatto può agevolmente ritrovare la manifestazione dell’esigenza che egli stesso prova: l’esigenza di una connessione forte e motivata fra impegno politico e analisi storiografica. Nasce quindi sulla base di una notevole convergenza di interessi e di prospettive la loro collaborazione, che si concretizza nella continuativa partecipazione di Luzzatto a «L’Unità». Le posizioni dei due intellettuali tuttavia non coincidono meccanicamente, e non mancano accenti e valutazioni differenti su singole questioni. È forte in entrambi l’avversione al nazionalismo che alimenta la guerra di Libia; è ‘salveminiana’ l’indignazione che Luzzatto esprime nei confronti dei prefetti giolittiani e delle loro indebite interferenze nelle elezioni in Puglia (Tagliacozzo, in «Nuova rivista storica», 1965, pp. 121-36); è condiviso da entrambi il rifiuto del centralismo statualista.
Non mancano però divergenze. Un esempio è offerto dal problema del decentramento: se Luzzatto valorizza a questo scopo la regione, Salvemini diffida del suo carattere ‘artificiale’ e concentra la sua attenzione sulle realtà municipali. Anche la posizione nei confronti del Partito socialista è simile, ma non del tutto collimante. Come Salvemini, anche Luzzatto si distacca dal partito (si era iscritto nel 1906 e ne esce nel 1913, pur continuando a collaborare nel dopoguerra alla «Critica sociale»): egli condivide con Salvemini un giudizio negativo sulla politica socialista, ma non lo segue nella condanna radicale dello strumento ‘partito’, che continua ritenere una componente importante della democrazia (Berengo 1964, p. 890).
Insoddisfatto delle scelte dei socialisti italiani, Luzzatto resta comunque fedele a un socialismo di ispirazione umanistica e democratica che fino dagli anni della sua formazione era stato il suo ideale punto di riferimento. Come egli stesso ebbe a dichiarare in una sua pubblica «confessione» (Collettivismo e lotta di classe, L’Unità», 18 aprile 1913, p. 283), il socialismo teorico, da un lato, aveva offerto una chiave di lettura dei fenomeni storici mostrando «i veri moventi dell’azione politica» e, dall’altro lato, aveva richiamato l’attenzione sulla lotta di classe, che Luzzatto interpreta come esperienza di solidarietà e strumento di giustizia (Berengo 1964, p. 891).
È l’idea della lotta di classe come motore della storia e veicolo di progresso forse il principale lascito che Luzzatto accoglie dalla tradizione socialista, la discriminante sulla base della quale distinguere «tra socialismo e non socialismo» (Costantini 1980, p. 33). La stessa cauta apertura di credito che Luzzatto continua a offrire al Partito socialista nasce dalla convinzione che esso sia comunque l’espressione, ancorché imperfetta, di un conflitto di classe destinato a promuovere lo sviluppo delle forze produttive.
Socialismo non significa per Luzzatto il salto rivoluzionario in una società radicalmente diversa. Il suo ‘concretismo’ di sapore salveminiano è in naturale sintonia con un riformismo che si attende dal conflitto non una subitanea palingenesi, ma una progressiva, graduale razionalizzazione dell’esistente sistema produttivo. Nascono da questa ispirazione di fondo, da una parte, il dichiarato rifiuto del collettivismo e dello statalismo, e, dall’altra, la principale battaglia ideologico-politica di Luzzatto: la battaglia contro il protezionismo. Per Luzzatto la storia moderna trova nella rivoluzione industriale, nella diffusione del commercio, nell’avvio del libero scambio i suoi principali elementi propulsivi, che egli (ancora partecipe dell’ottimismo positivistico e socialistico tardo-ottocentesco) vede destinati a un sicuro trionfo.
Interviene però presto la dura smentita della guerra che, come nota acutamente Paolo Cammarosano (1993), coglie Luzzatto di sorpresa e suona come una dura smentita delle sue previsioni. Ben presto le forze progressive cui egli attribuiva una sicura capacità espansiva saranno frenate dagli interessi tanto degli Stati quanto delle grandi concentrazioni economiche. La lotta contro il protezionismo assume quindi, in Luzzatto, una valenza più generale e diviene rifiuto di quel nazionalismo e di quello statalismo destinati a trovare nel fascismo una roboante amplificazione.
Tanto il suo antifascismo quanto il suo impegno politico nel secondo dopoguerra sono coerenti svolgimenti (pur in contesti profondamente mutati) di quell’ispirazione ideale che nel citato articolo del 1913 Luzzatto così riassumeva:
Nel gioco della politica, noi seguitiamo sempre a vedere un urto o una combinazione di interessi di classe; e nella formazione di una coscienza combattiva nelle classi più oppresse e dimenticate, noi vediamo sempre l’arma migliore per combattere i privilegi, i parassitismi e gli abusi, e per dare un nuovo indirizzo, nell’interesse di tutti, alla politica del nostro paese (cit. in Berengo 1964, p. 891).
Cenni intorno alla vita e alle opere storiche di Girolamo Brusoni, «Ateneo veneto», 1898, 2, pp. 273-306, e 1899, 1, pp. 6-26 e 226-44.
Storia individuale e storia sociale. A proposito di alcune recenti discussioni sul metodo storico, «La scienza sociale», 1901, pp. 198-212.
Le sottomissioni dei feudatari e le classi sociali di alcuni comuni marchigiani (sec. XII e XIII), «Le Marche», 1906, 1, pp. 114-45, poi in Dai servi della gleba agli albori del capitalismo. Saggi di storia economica, Bari 1966, pp. 353-93.
Storia del commercio, 1° vol., Dall’antichità al Rinascimento, Firenze 1914.
Storia economica dell’età moderna e contemporanea, 1° vol., L’età moderna, Padova 1932.
Per un programma di lavoro, «Rivista di storia economica», 1936, 3, pp. 181-98, poi in Per una storia economica d’Italia, Bari 1967, pp. 81-108.
Storia economica, a cura di G. Luzzatto, Torino 1936.
Les activités économiques du patriciat vénitien (Xe-XIVe siècle), «Annales d’histoire économique et sociale», 1937, pp. 25-57, poi in Studi di storia economica veneziana, Padova 1954, pp. 125-65.
Storia economica dell’età moderna e contemporanea, 2° vol., L’età contemporanea. Puntata prima. Il secolo XVIII, Padova 1938.
Per una storia economica d’Italia. Progressi e lacune, Bari 1957.
Storia economica di Venezia dall’XI al XVI secolo, Venezia 1961.
L’economia italiana dal 1861 al 1914, 1° vol., 1861-1894, Milano 1963.
Il rinnovamento dell’economia e della politica in Italia, a cura di M. Costantini, Venezia 1980.
Le origini dell’organizzazione finanziaria dei Comuni italiani, a cura di P. Giannotti, Urbino 1990.
M. Berengo, Profilo di Gino Luzzatto, «Rivista storica italiana», 1964, 4, pp. 879-925.
A. Fanfani, Gino Luzzatto nella vita, nelle lettere, nei saggi (1878-1964), «Economia e storia», 1964, 2, pp. 173-82.
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Cinquant’anni di storia economica a Ca’ Foscari, Venezia 1969.
D. Cantimori, Storici e storia. Metodo, caratteristiche e significato del lavoro storiografico, Torino 1971.
C.M. Cipolla, Gino Luzzatto o dei rapporti tra teoria e storia economica, «Ricerche economiche», 1979, 1, pp. 3-9.
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M. Costantini, Introduzione, in Il rinnovamento dell’economia e della politica in Italia, a cura di M. Costantini, Venezia 1980, pp. 7-42.
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M. Berengo, Introduzione a G. Luzzatto, Storia economica di Venezia dall’XI al XVI secolo, Venezia 1995, pp. IX-XXV.
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P. Lanaro, Luzzatto Gino, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 66° vol., Roma 2007, ad vocem.
Si veda inoltre:
G.L.: profilo biografico, in Storia di Venezia, http://www.storiadivenezia.net/sito/index.php?option=com_content&view=article&catid=37%3Astorici&id=80%3Abio-gl&Itemid=63 (26 giugno 2013).
Sia Raffaele Ciasca (Rionero in Vulture 1888-Roma 1975) sia Armando Sapori (Siena 1892-Milano 1976) condivisero con Luzzatto rapporti di amicizia e interessi scientifici.
Il primo si formò prima presso l’Università di Napoli e poi all’Istituto superiore di Firenze. Il suo legame con Luzzatto data dal 1918, e venne rafforzato dal rapporto con Salvemini e dai medesimi ambiti di ricerca, rivolti alla storia economica e sociale italiana. Fra le sue opere: L’arte dei medici e speziali nella storia e nel commercio fiorentino dal sec. XII al XV (1927); Il problema della terra (1963); Aspetti economici e sociali dell’Italia preunitaria (1973).
Sapori, dapprima archivista, iniziò a insegnare storia economica a Ferrara nel 1932 e, in seguito, a Firenze e a Milano. Al centro delle sue ricerche pose la figura del mercante (di rilievo anche nella produzione di Luzzatto) facendone uno snodo fondamentale della genesi del capitalismo. Fra le sue opere: La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi (1926); Una compagnia di Calimala ai primi del Trecento (1932); Les marchands italiens au moyen-âge: conférences et bibliographie (1952).
Dedicata al tema, centrale nella produzione luzzattiana, della genesi del capitalismo è anche l’opera più celebre di Amintore Fanfani (Pieve S. Stefano 1908-Roma 1999), ossia Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo (1934, 19442), secondo Fanfani legata, contro la tesi weberiana, non al mondo protestante, ma alla cattolica ‘civiltà comunale’. Uomo politico di spicco nell’Italia del secondo dopoguerra e studioso di storia economica, Fanfani insegnò a Milano (a partire dal 1936), a Venezia (dove sostituì proprio Luzzatto a seguito dell’epurazione del 1938) e a Roma.