CECCHINI, Gino
Nacque a Viareggio il 3 marzo 1896 da Giuseppe e da Maria Salvatici. Allievo della Scuola normale di Pisa, si laureò nel 1920 in matematica. Nello stesso anno vinse il concorso per i ruoli degli osservatori astronomici e fu destinato, come aiuto astronomo, alla stazione astronomica di Carloforte, nell'isola di San Pietro, ad ovest della Sardegna. Nel 1925, in seguito alla promozione ad astronomo aggiunto, divenne direttore reggente della stazione. Promosso ad astronomo nel 1927, fu trasferito all'osservatorio di Merate (Como), succursale di Milano-Brera; nel 1931 conseguì la libera docenza. A Merate, che era allora il più importante osservatorio astronomico italiano, il C. rimase per quattordici anni, finché nel 1941 fu nominato direttore incaricato dell'osservatorio astronomico di Pino Torinese, assumendo anche l'incarico dell'insegnamento dell'astronomia presso l'università di Torino. Nella nuova sede si trovò ad affrontare le difficoltà relative alla guerra e all'occupazione dell'osservatorio da parte delle truppe tedesche (dal gennaio 1944 all'aprile 1945) oltre a quelle derivanti dalla mancanza di attrezzature e di personale, ridotto ad un aiuto-astronomo e ad un custode.
Nel 1947 vinse il concorso per direttore di osservatorio; divenne poi (nel 1956) professore ordinario di astronomia nell'università di Torino in seguito ad un provvedimento legislativo che, mentre istituiva otto cattedre di astronomia nelle città italiane sedi di osservatori, assegnava, per le sedi di Torino e Trieste, la cattedra al direttore del locale osservatorio.
Dal 1949 al 1961 fu direttore dell'ufficio centrale del Servizio internazionale delle latitudini. Collocato fuori ruolo nel 1966 si ritirò a Calci, presso Pisa, dove morì il 5 nov. 1978.
Fu socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei dal 1947 e socio nazionale dell'Accademia delle scienze di Torino dal 1958. Ricevette numerosi riconoscimenti scientifici tra cui il premio Susca dell'Accademia d'Italia nel 1939.
Le ricerche scientifiche dei C. toccarono vari campi dell'astronomia, della geodesia e della nascente astrofisica. I suoi contributi più significativi riguardarono in particolare lo studio del moto del polo di rotazione terrestre, effettuato attraverso l'analisi dei dati relativi alle latitudini; in tale campo di ricerca egli poté utilizzare le sue doti organizzative e la sua paziente tenacia nell'effettuare osservazioni e calcoli. Lo spostamento dell'asse di rotazione della Terra viene osservato sistematicamente dalla fine dei secolo scorso, dopo che misure di latitudine effettuate nel 1890-91 a Berlino e Honolulu (cioè in due luoghi agli antipodi) avevano mostrato una variazione simmetrica della latitudine: ciò indicava che non poteva trattarsi di una variazione dovuta a movimenti locali della crosta terrestre e a problemi di osservazione, ma che doveva trattarsi di uno spostamento dell'asse terrestre, al quale le latitudini vengono riferite. Fu così istituito il Servizio internazionale delle latitudini, formato da due serie di stazioni di osservazione, collocate rispettivamente su uno stesso parallelo australe e su uno boreale. Carloforte fa parte del gruppo boreale, alla latitudine di 39° 08', insieme con altre quattro stazioni, due negli Stati Uniti, una in Giappone, una in URSS. Le stazioni rilevano contemporaneamente le posizioni di alcuni gruppi di stelle predeterminati: si tratta di un lavoro lungo e delicato (ad esempio nel triennio 1942-44 l'osservatorio di Torino, che sostituiva temporaneamente quello di Carloforte, nonostante le difficoltà legate alla guerra e all'occupazione, rilevò circa 4000 dati). Il lavoro di rilevamento è reso particolarmente gravoso dal fatto che gli osservatori locali non possono trarre alcuna conclusione dai loro soli dati: l'analisi viene effettuata dall'Ufficio centrale per le latitudini e acquista significato solo attraverso un confronto globale delle osservazioni di tutte le stazioni, che permette di distinguere le variazioni dovute a fenomeni locali (geologici, metereologici o altro) da quelle dovute al moto del polo. Il confronto comporta notevoli problemi di analisi degli errori, di elaborazione numerica e infine di interpretazione geodetica.
Il C. iniziò ad occuparsi del lavoro di osservazione delle latitudini nel periodo in cui era assegnato a Carloforte e si impegnò con interesse, studiando le cause degli errori sperimentali (Sulle differenze di temperatura osservate nei dintorni della stanza di osservazione della R. Stazione astronomica di Carloforte, in Memorie della Società astronomica italiana, III [1925], pp. 430-435). Dopo il trasferimento a Merate continuò ad analizzare le variazioni di latitudine e la precisione degli strumenti del nuovo osservatorio, anche se esso non era più collegato al Servizio internazionale delle latitudini (Sulle variazioni progressive delle latitudini, in Contributi astronomici della R. Specola di Merate, 1928, n. 5, pp. 1-16). A Torino riprese la collaborazione diretta con il Servizio internazionale, quando, a causa degli eventi bellici, l'osservatorio di Pino Torinese sostituì la stazione di Carloforte nella rilevazione dei dati; dal 1949 divenne direttore dell'Ufficio centrale delle latitudini, trasferito a Torino dall'osservatorio di Capodimonte dove aveva avuto sede sotto la direzione di Luigi Carnera. Il C. si impegnò intensamente nell'analisi dei dati, rielaborando l'intero materiale raccolto dalle stazioni dai primi anni dei Novecento, allo scopo di uniformare le tecniche di analisi (Le variazioni di latitudine e il movimento del Polo di rotazione terrestre, in Bulletin géodèsique, 1950, pp. 325-360, e Leggi e incognite nel fenomeno dello spostamento dei poli di rotazione della Terra e della variazione delle latitudini terrestri, in Rendiconti dei Seminario matematico dell'università e del Politecnico di Torino, 1953, pp. 71-72). Nel 1955 propose un nuovo programma di osservazione per le stazioni boreali (Nuovo programma di osservazione delle stazioni boreali del Servizio internazionale delle latitudini, valido a partire dal 6-1-55, pubblicazione della Conunissione nazionale italiana per la cooperazione geofisica intemazionale presso il Consiglio nazionale delle ricerche, Roma 1962, e Relazione presentata all'assemblea generale della Unione astronomica internazionale, Berkeley agosto 1961, ibid., Roma 1962). Il C. continuò nel paziente e gravoso lavoro di elaborazione dei dati sulle latitudini anche negli anni successivi al pensionamento.
Il C. si occupò inoltre di svariati problemi di astronoinia, classica, effettuando numerose e accurate osservazioni: prima negli anni di Carloforte, in cui eseguì osservazioni fotometriche di stelle variabili (Osservazioni fotometriche a stima della variabile β Persei (Algol), in Memorie della Società astronomica italiana, III [1925], pp. 175-182; Osservazioni fotometriche a stima della variabile C Geminorum, ibid., pp. 312-320), in seguito negli anni di lavoro a Merate. Qui il suo interesse per il problema delle stelle variabili lo portò ad eseguire misure di parallassi e ricerche sulle magnitudini assolute delle Cefeidi. Egli utilizzò i dati ottenuti su queste ultime per verificare la relazione periodo-luminosità (utilizzata dagli astronomi per determinare la distanza di sistemi stellari contenenti variabili Cefeidi, ma troppo lontani per poter misurare la distanza con metodi più diretti); egli poté così confermare i risultati ottenuti da Kipper e Wilson, che suggerivano la necessità di correggere la relazione periodo-luminosità comunemente usata (Sulla grandezza assoluta delle variabili Cefeidi, in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, XIII [1931], pp. 874-878). Pure sulla base dei dati relativi alle parallassi il C. entrò in polemica, nel 1931, con la teoria delle variabili a eclisse proposta da M. La Rosa, il quale utilizzava il postulato di W. Ritz (secondo il quale la velocità della luce dipende dalla sorgente che la emette) contro il postulato cinsteiniano della costanza della velocità della luce (Sulla teoria delle variabilifondata sul postulato di Ritz-La Rosa, in Memorie della Società astronomica italiana, V [1931], pp. 429-443).
Nello stesso periodo il C. partecipò alle rilevazioni relative all'appena scoperto pianeta Plutone (Sul Pianeta transnettuniano, in collab. con G. B. Pacella, in Contributi astronomici della R. Specola di Merate, 1930, n. 10, pp. 1-11).
L'osservatorio di Merate, allora uno dei meglio attrezzati d'Europa, offrì al C. i mezzi per lavorare nel campo dell'allora nascente astrofisica. Utilizzando il nuovo spettrografò applicato al telescopio rifiettore da 102 cm di apertura egli effettuò una serie di misure spettroscopiche, lavorò alla classificazione degli spettri stellari e, nel 1934 e 1936, in particolare, allo studio degli spettri di due stelle Novae, in collaborazione con il più giovane collega L. Gratton (Studio preliminare dello spettro della Nova Herculis 1934, in Memorie della Società astronomica italiana, IX [1935], pp. 29-63, e Studio spettrografico preliminare della Nova 605-1936 Lacertae, ibid., X [1936], pp. 13-25). Sempre con il Gratton pubblicò una monografia sulle Novac, curandone la parte astronomica, mentre Gratton si incaricava di quella astrofisica (Le stelle nuove, in Rendiconti del Seminario matematico e fisico di Milano, XI [1937], pp. 1-40).
La sede di Pino Torinese non offriva certo le possibilità di quella di Merate. Come riferiva, ancora nel 1952, G. Abetti, il "solo strumento che non abbia veneranda anzianità è un equatoriale fotografico con tripletta da 20 cm, donato all'Osservatorio dalla cittadinanza torinese nel 1921".
Negli anni successivi al suo trasferimento a Torino quindi il C. abbandonò a poco a poco l'astronomia propriamente detta, venendo sempre più assorbito dalle responsabilità organizzative e didattiche e dalle ricerche geodetiche. Solo nei primi anni proseguì le ricerche sulle classificazioni spettrali, basandosi sui dati ottenuti a Merate (Contenuto di calcio nelle atmosfere delle stelle di tipo spettrale A, e necessità di alterazioni sistematiche nella classificazione HD di Harvard, in Memorie della Società astronomica italiana, XVII [1945], pp. 45-90).
Si dedicò, infine, a lavori di divulgazione, collaborando a riviste di astronomia e curando la ponderosa opera in due volumi Il cielo, Torino 1953.
Fonti e Bibl.: G. Abetti, Ricerche e problemi dell'astronomia italiana, in Atti del convegno di astronomia di Milano-Merate, settembre 1952, Pavia 1952, pp. 22-23; Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale dell'Istruzione superiore, L'osservatorio astronomico di Pino Torinese, Roma 1956, pp. 28-30; M. G. Fracastoro, G. C. (18961978), in Rendiconti dell'Accademia nazionale dei Lincei, cl. di scienze fis., matematiche e naturali, LXVIII (1980), pp. 151-157; M.G. Fracastoro, G. C., in Atti dell'Accademia delle scienze di Torino, cl. di scienze fis., matematiche e naturali, CXIV (1980), pp. 505-512.