Sensani, Gino Carlo
Pittore, illustratore, scenografo teatrale e costumista teatrale e cinematografico, nato a San Casciano dei Bagni (Siena) il 26 novembre 1888 e morto a Roma il 14 dicembre 1947. Fra i maggiori artigiani del cinema italiano, per il quale lavorò soprattutto in film d'epoca (in particolare ottocentesca), dando vita a ricostruzioni storiche attentamente curate, fondate su un gusto sicuro e su un'ampia cultura figurativa, ma non prive di una personale cifra stilistica e di fantasia. In un periodo in cui anche in Italia il costumista cinematografico veniva acquisendo la valenza di esperto di storia del costume, S. si mantenne fedele all'idea di creare 'creature, non manichini', come recita il titolo di un suo scritto pubblicato nell'antologia critica Scena e costume nel cinema (1986) di Mario Verdone. Dal 1935 fino alla morte insegnò al Centro sperimentale di cinematografia, formando molti dei maggiori costumisti italiani, come Dario Cecchi, Pietro Gherardi e soprattutto Maria de Matteis.
Dopo aver studiato pittura a Firenze si dedicò alla xilografia. In teatro lavorò dapprima a Roma (come figurinista per le marionette del Teatro dei Piccoli) e dal 1918 a Firenze, dove fu scenografo e costumista in spettacoli teatrali privati e dal 1924 anche pubblici; si affermò a partire dal 1933, in particolare negli allestimenti per il Maggio musicale fiorentino.
Iniziò l'attività cinematografica firmando costumi settecenteschi per Pergolesi (1932), ottocenteschi per Teresa Confalonieri (1934) e quattrocenteschi per Lorenzino de' Medici (1935), tutti di Guido Brignone, primo Novecento per Seconda B (1934) di Goffredo Alessandrini, nuovamente settecenteschi per Il cappello a tre punte (1935) di Mario Camerini e ottocenteschi per Amo te sola (1935) di Mario Mattoli. Anche in seguito collaborò con Alessandrini, Mattoli, Brignone e Camerini, oltre che con Raffaello Matarazzo, Amleto Palermi, Gennaro Righelli e Mario Bonnard. Instaurò stretti sodalizi artistici soprattutto con alcuni registi, per i quali disegnò abiti di varie epoche: per Camillo Mastrocinque ottocenteschi in L'orologio a cucù (1938), Don Pasquale (1940) e Fedora (1942); per Alessandro Blasetti seicenteschi in Un'avventura di Salvator Rosa (1939), medievali in La corona di ferro (1941), rinascimentali in La cena delle beffe (1942); per Ferdinando Maria Poggioli primo Novecento in Gelosia (1942), Le sorelle Materassi (1944), Il cappello da prete (1944); per Mario Soldati ottocenteschi in Piccolo mondo antico (1941), Eugenia Grandet (1946), Daniele Cortis (1947); per Luigi Chiarini ottocenteschi in Via delle Cinque Lune (1942) e La bella addormentata (1942), e settecenteschi in La locandiera (1944). Tra le sue non molte opere di ambientazione coeva vanno ricordate Il signor Max (1937) di Camerini e Addio giovinezza! (1940) di Poggioli. L'ultimo film da lui firmato fu Assunta Spina (1948) di Mattoli; morì mentre stava iniziando a lavorare ai costumi per La chartreuse de Parme (1948; La certosa di Parma) di Christian-Jaque, che vennero poi firmati dalla sua allieva Rosi Gori e da Georges Annenkov. Per La corona di ferro, forse il suo lavoro più famoso, realizzò centinaia di variegati costumi, spesso di grande preziosità e raffinatezza, che creano una complessa serie di cromatismi, sfumature e contrasti: mentre gli abiti di Elisa Cegani o di Luisa Ferida, vaporosi e candidi, rimarcano il tono fiabesco del film e presentano dettagli di trame 'di fantasia', alcuni abiti maschili, come quello da guerriero indossato da Osvaldo Valenti, sono l'esito di un sincretismo di gusti e di stili figurativi.
Si rivelò maestro nell'uso dei dettagli per sottolineare le caratteristiche fisiche degli attori o psicologiche dei personaggi: in Piccolo mondo antico l'acconciatura, i nastrini e i merletti di Ada Dondini, che ne accentuano la bruttezza e l'asprezza di carattere; in Eugenia Grandet gli scolli generosi di Alida Valli, che ne mettono in risalto la bellezza; in L'homme de nulle part (1936; Il fu Mattia Pascal) diretto da Pierre Chenal i colletti e i polsini esageratamente grandi di Robert Le Vigan, che ne suggeriscono la duplicità.
S. Masi, Costumisti e scenografi del cinema italiano, 1° vol., L'Aquila 1989, pp. 25-28.