GINN
. Denominazione araba degli spiriti che popolano la natura e il cui influsso, ora benefico ora malefico, si esercita continuamente sulla vita umana. Il vocabolo è propriamente un plurale, o collettivo, il cui singolare è ginnī. La concezione araba dei ginn è identica, nella sostanza, a quella che si riscontra nei primitivi e nel folklore rispetto ai demoni, folletti e simili: analogamente a questi, i ginn mancano di personalità individuale e costituiscono una collettività che la fantasia araba, nella fase più antica, si rappresentava organizzata a modo della società umana e raggruppata per tribù. Ai ginn, la cui presenza si riconosceva nei rumori misteriosi dell'ambiente circostante, particolarmente impressionanti nella solitudine del deserto, si attribuivano sia le morti di cui era ignota la causa (tanto improvvise, quanto in seguito a malattia acuta), sia l'ispirazione dei poeti e degl'indovini e anche (secondo l'analogia che tutti i primitivi pongono tra ispirazione e follia) i casi di alienazione mentale: maǵnūn "pazzo", significa propriamente "occupato dai ginn". La circostanza dell'avere Maometto accolto largamente nel Corano la credenza nei ginn (che egli talvolta identifica coi diavoli, di origine giudeo-cristiana, talvolta invece distingue da essi, affermando persino che esiste una categoria di ginn che hanno accettato l'Islām) ha fatto sì che nel mondo musulmano essa ha avuto un duplice sviluppo: da un lato è la continuazione dell'antica concezione animistica, che naturalmente si è arricchita di nuovi elementi, analoghi anche se diversamente foggiati, nell'assimilazione di popoli diversi da parte della civiltà araba; dall'altro è la sistemazione teologica dei passi coranici nei quali si fa menzione dei ginn, dominata da uno sforzo armonistico che tende a eliminare le contraddizioni esistenti in quei passi.
In tutto il mondo musulmano contemporaneo la credenza nei ginn è ancora viva nelle classi popolari: essi sono per lo più ritenuti amici dell'uomo, e gli sono nefasti soltanto se vengono irritati, intenzionalmente o meno; sono spesso invocati come spiriti soccorritori, benché la dottrina religiosa lo vieti, considerandoli, per quanto dotati di alcuni poteri di cui l'uomo è privo (l'invisibilità, la mobilità rapidissima, la capacità di assumere aspetti diversi) come sostanzialmente inferiori all'uomo e, come lui, mortali. Per quanto la vasta stirpe dei ginn sia, come si è visto, priva d'individualità, si distinguono in essa, e meglio si distinguevano nella Arabia preislamica, alcune categorie distinte: tali lo ‛ifrīt (nella pronuncia moderna ‛afrīt) e la si‛lāh, spiriti malefici, e il ghūl, ancora più terribile, la cui particolarità consisteva nel rapido mutare di forma. Il primo e l'ultimo di questi esseri sono ancora vivi nella fantasia popolare odierna: il ghūl, segnatamente (anche nella sua forma femminile, ghūlah), ha assunto il carattere dell'orco del folklore europeo. La connessione etimologica di ginn col latino genius, una volta ritenuta per certa, è oggi abbandonata: il vocabolo arabo deriva senza dubbio dalla radice verbale semitica gianna "coprire" e il suo valore semantico corrisponderebbe su per giù a quello del latino incubus: i ginn sarebbero quindi gli esseri che ricoprono e opprimono l'uomo con la loro azione occulta.
Bibl.: D. B. Macdonald, in Encycl. de l'Islām, I, 1092-93 (con bibliografia); P. A. Eichler, Die Djinn, Teufel und Engel im Koran, Lipsia 1928; S. M. Zwemer, The influence of animism in Islam, cap. VII, Londra 1920.