GINECOLOGIA (dal gr. γυνή "donna" e λόγος "discorso")
Scienza che studia, arte che cura le malattie delle donne, o più esattamente quelle che hanno la loro sede o la loro origine nell'apparato genitale muliebre, all'infuori dello stato di gravidanza, di parto, di puerperio. Rampollata sul vecchio fusto della chirurgia (v.), quando questo trasse rinnovato impulso dai nuovi mezzi d'indagine, la ginecologia è una scienza giovane, ma già sviluppatasi e perfezionatasi a tal segno, da potersi annoverare fra i rami più progrediti della medicina.
Le sue origini, intimamente connesse con quelle dell'ostetricia, si perdono nella notte dei tempi: qualche vaga traccia, difatti, se ne trova presso i popoli (come gli Egizî, gli Assiri e i Babilonesi, gl'Indiani, i Persiani, gli Ebrei), che in epoche remote lasciarono più profonde e luminose orme di civiltà; ma la storia della letteratura, che chiameremo ginecologica, ha inizio veramente solo nell'antica Grecia, quattro secoli circa a. C., con alcuni scritti falsamente, forse, attribuiti a Ippocrate, ma che si devono a ogni modo alla scuola da lui fondata: in essi, difatti, si parla della metrite, dei disturbi mestruali, degli spostamenti dell'utero, ecc. Argomenti d'indole ginecologica furono più tardi trattati da Areteo, Galeno, Archigene e Celso; così troviamo descritto dal primo il riscontro vaginale, le diverse specie di leucorrea e le ulcerazioni del collo uterino; troviamo nel secondo, fra l'altro, un'allusione allo speculum vaginale (ch'egli distingue da quello anale); del terzo, oltre al quadro del cancro della mammella riportato da Ezio e rimasto celebre, abbiamo una descrizione della cellulite pelvica, da cui si rileva che ad Archigene era nota l'eventualità di processi infiammatorî, con esito in suppurazione e svuotamento del prodotto attraverso la vagina o il retto, cui sono esposti i tessuti in diretto rapporto con l'utero; e di Celso, infine, sappiamo ch'egli conosceva l'imene e le mestruazioni vicarianti, e che fu il primo ad accennare alla cura operatoria del carcinoma mammario, pur dimostrandosene, peraltro, poco entusiasta, perché spesso non riesce a impedire la riproduzione del tumore. Ma chi molto contribuì, nell'evo antico, a far progredire le conoscenze ginecologiche, fu Sorano il Giovane, il quale trasse ammaestramento da dissezioni eseguite sul cadavere, per descrivere con fedeltà i genitali muliebri. Nei suoi scritti, di cui è rimasto celebre quello dal titolo: De utero et pudendo muliebri, si rileva che l'utero è paragonato, per la sua forma, a un vaso da coppette; vi sono accennati i rapporti esistenti fra questo viscere e le ossa pelviche, e rese note le modificazioni dell'orificio uterino durante la gravidanza; vi si trovano studiati l'imene e la clitoride, come pure è intravista l'esistenza di rapporti fra l'utero e la mammella.
Molto interesse continuò a destare, nei tempi che seguirono, lo studio delle malattie delle donne, e di ciò fanno fede varî frammenti e notizie d'opere che risalgono a quell'epoca; sennonché, in mancanza di fonti dirette, complete e sicure, fa d'uopo ricorrere per ragguagli alle opere di compilazione lasciate da Ezio di Amida e da Paolo Egineta. In esse si trovano appunto esposte le principali vedute dei medici che fiorirono dai tempi d'Ippocrate a quell'epoca (in uno spazio, cioè, di dieci secoli circa), e se ne ricava che molte affezioni morbose, come molti mezzi d'esame e di cura, erano sin d'allora già conosciuti. Così, fra quest'ultimi, basterà ricordare: l'uso dello speculum, della dilatazione artificiale del collo per stenosi, della sonda uterina a scopo di riduzione negli spostamenti, delle irrigazioni vaginali, dei caustici per le ulcerazioni del collo, delle spugne preparate e dei pessarî medicati, delle iniezioni di vapori medicati o semplici nell'utero, ecc.
La scuola araba, sorta sulle rovine di quella d'Alessandria, rimase, in fatto di cognizioni ginecologiche, assai indietro a quest'ultima, soprattutto perché presso i musulmani "la vita sessuale della donna, più che presso gli altri popoli, era ammantata di un velo di mistero, e la loro particolare forma di cultura non consentiva nemmeno che essi al difetto (dovuto a motivi religiosi) di conoscenze anatomiche direttamente acquisite, supplissero in certo modo con le figure" (P. Diepgen).
Da ciò si comprende come fosse tolta alla ginecologia, presso codesto popolo, ogni possibilità di progresso, e con ciò si spiega come anzi andassero col tempo disperse o corrotte molte nozioni ereditate dai medici di Grecia e d'Alessandria, malgrado il tentativo compiuto da qualche studioso di tenerne desta la tradizione, facendone rivivere le opere. Queste, però, malamente interpretate dai traduttori, cui non soccorse l'osservazione e l'esperienza personale, diedero luogo a false concezioni: come quella, p. es., che riguarda l'uso, a scopo diagnostico, dello speculum vaginale.
Secondo Razes, Avicenna e altri autori, infatti, il διόπτρα dei Greci non rappresentava altro che un comune specchio da applicarsi, non dentro, ma sotto i genitali, allo scopo di meglio illuminarli, e permettere che attraverso l'ostio vulvare dischiuso si potessero scoprire le affezioni morbose localizzate in alto, nella vagina. Però anche gli scritti che videro la luce presso gli Arabi, divenuti appassionati cultori della scienza, andarono col tempo in gran parte distrutti o dispersi, e poi per molti secoli ogni barlume di sapere rimase oscurato dalla superstizione. Sicché bisogna discendere fino al secolo XVII, per trovare i primi chiari accenni allo speculum e alle sue applicazioni in Ambrogio Paré e in J. Scultet, il quale anzi ne lasciò un disegno e ne spiegò l'uso qualificandolo come speculum ani, vaginae et uteri, per il cui mezzo "le ulceri del retto, della vagina e dell'utero possono essere viste e bene osservate riguardo alla loro estensione e natura". A proposito però di questo strumento, è da rilevare lo strano fatto ch'esso, conosciuto fin dai tempi d'Ippocrate, caduto successivamente in disuso, senza mai peraltro esser del tutto dimenticato, descritto infine e anche talvolta effigiato da autori che si susseguirono prima del sec. XIX, sembrò invece a molti che fosse una genuina invenzione di J.-Cl.-A. Récamier, perché questi nel 1801, e cioè 40 anni appena dopo che F. Astruc ne aveva chiaramente parlato a proposito dell'esame ginecologico, nei casi d'ostacolo al deflusso del sangue mestruo per atresia della vagina, si diede a patrocinarne l'uso. E pensare che neanche il Récamier seppe da principio rendersi esatto conto degl'immensi vantaggi che da tale strumento si sarebbero ricavati, e gli abbisognarono diciassette anni di studî e di personale esperienza, prima di poter giungere ad apprezzarne tutto il valore e a introdurlo nella pratica! Ma se dunque il Récamier nei riguardi dello speculum ebbe solo il merito d'averlo valorizzato e diffuso, a lui si deve d'altra parte l'idea prima d'esplorare la cavità dell'utero e di raschiarne in talune contingenze la mucosa di rivestimento servendosi d'un cucchiaio speciale detto curette (1844). Egli inoltre segnò anche nel campo della patologia un'orma durevole descrivendo, fra l'altro, per mezzo d'un suo allievo, la cellulite pelvica e facendo per primo intravedere l'eventualità dell'ematocele pelvico. Un altro passo notevole fece la diagnostica ginecologica nella prima metà dell'Ottocento con l'introduzione dell'isterometro, dovuta a P.-Ch. Huguier e J. Lisfranc (1843). Tuttavia accenni all'usO dell'isterometro si trovano anche in epoche molto anteriori, e difatti uno specillo destinato in special modo all'esplorazione della cavità dell'utero fu descritto fin dal 1657 da Wierus (H. G. Wright) e anche nel 1828 S. Lair consigliava l'uso della sonda uterina, in una memoria presentata all'Accademia di medicina di Parigi.
Il declinare del sec. XVIII coincide con un vivace risvegliu degli studi ginecologici, per merito specialmente di R. J. Garengeot e J. Astruc in Francia, di Th. Denman, J. Clark e J. Hamilton in Inghilterra; sicché può dirsi che vennero allora gettate le basi della moderna ginecologia, e gli albori del sec. XIX trovarono già alta la fama di studiosi come C. Clarke e R. G. Gooch in Inghilterra, J.-Cl.-A. Récamier e J. Lisfranc in Francia, i quali con i loro scritti, oltre ad affrontare importanti questioni di patologia, diedero il primo indirizzo per l'esercizio pratico professionale.
Il contributo scientifico italiano, nei tempi in cui si maturò la rinascita della ginecologia, è notevole per il numero e per l'importanza degli scritti che riguardano sia l'anatomia normale e patologica dei genitali femminili, sia la clinica delle malattie muliebri.
Specialmente degne di nota sono le seguenti opere elencate in ordine di tempo: G. Falloppia, Observationes anatomicae (Venezia 1562); G. Mercuriale, De morbis muliebribus praelectiones (Basilea 1582; Venezia 1601); A. Bottoni, De morbis muliebribus (Padova 1585; Venezia 1588); A. Massaria, Praelectiones de morbis mulierum, conceptu et partu (Padova 1591); G. Costeo, De morbis puerorum et mulierum (Bologna 1604); F. Plazzoni, De partibus generationi inservientibus libri duo (Padova 1622); E. Campolongo, De uteri affectibus (Padova 1622); R. G. Forti, Consilia de febribus et morbis mulierum (Venezia 1668); P.B. Calvo, Sulla gravidanza extraiiterina (Torino 1714); G. D. Santorini, Lavori sulle ovaie e sui catameni (Venezia 1724); A. Benevoli, Descrizione di un utero in fase mestruale e di una gravidanza tubarica (Firenze 1747); C. Musitano, De morbis mulierum tractatus (Napoli 1869); G. F. Scardona, De mulierum morbis aphorismi (Padova 1758); G. A. Bertrandi, Observationes de glanduloso ovarii corpore, de placenta et de utero gravido (Torino 1759); G. P. Pellegrini, Catamenia in una bambina di anni sette (Venezia 1764); G. Azzoguidi, Observationes ad uteri constructionem pertinentes (Bologna 1773): S. G. Battisti, Abhandlung über me Krankheiten des schönen Geschlechts (Vienna 1784); G. B. Palletta, De structura uteri (Leida 1788); L. Angeli, Caso di gravidanza ectopica (Imola 1793); S. Grottarelli, Gravidanza tubarica (Pisa 1818); G. Galbiati, Sulla sinfisiotomia (Napoli 1819); G. F. Ferrara, Mestruazione per le mammelle (Napoli 1830).
Lo studio delle malattie delle donne cominciò dunque a formare un ramo indipendente, ben differenziato della medicina verso l'inizio del sec. XIX: epoca nella quale, frattanto, s'accesero vivaci e appassionate discussioni intorno alla patogenesi delle malattie uterine. Gli uni, infatti, specialmente in Inghilterra, reputavano tali malattie quali risultato e non causa dei concomitanti fenomeni morbosi riscontrabili nel resto dell'organismo (turbe circolatorie e particolarmente congestione); mentre gli altri, soprattutto in Francia, riguardavano la malattia uterina come il fatto principale, a sua volta causa delle condizioni generali. Nel 1854 A. Velpeau proclamava, in seno all'Accademia di medicina di Parigi, che "nella maggior parte delle donne curate per altre affezioni dell'utero trovansi solo spostamenti", e affermava che in 18 su 20 donne sofferenti di qualche malattia uterina "quelle p. es. nelle quali si diagnostica comunemente infiammazione (ingorghi), sono affette da spostamenti". A tanta disparità di vedute faceva naturalmente riscontro altrettanta diversità di metodi terapeutici: gli uni, infatti, ricorrevano contro le metropatie al riposo, ai revulsivi e ai salassi; gli altri all'isterometro e ai pessarî (H. L. Hodge), per raddrizzare l'utero. Ma intanto, specie dopo che E. J. Tilt ebbe pubblicato (1850) l'interessante monografia sull'infiammazione ovarica, l'attenzione degli studiosi (fra cui N. Martin e A. Hegar in Germania, J. M. Sims e N. Bozeman negli Stati Uniti) si volse anche agli annessi dell'utero, i quali vennero spesso anch'essi riconosciuti affetti da varî processi. Ed ecco J. Simpson nel 1847 (un anno dopo cioè che il chirurgo americano J. C. Warren aveva eseguito, per consiglio del chimico Q. Jackson e del dentista R. Morton, la prima operazione in narcosi eterea) usare per la prima volta la cloronarcosi su donna partoriente; ecco iniziarsi nel 1867, con la grande scoperta di G. Lister, l'era antisettica. Appunto in conseguenza del formidabile impulso derivato alla tecnica chirurgica da così importanti acquisizioni, la ginecologia poté assumere fisionomia più francamente chirurgica, cimentandosi in ardimenti operatorî, che prima sarebbe stato follia sognare.
Fra i ginecologi che nella seconda metà del sec. XIX più si acquistarono fama di abili e arditi operatori, basterà menzionare J. Simpson, T. Spencer Wells, J. B. Brown e Ch. Clay in Inghilterra; G. Simon, J. F. A. Esmarch, K. F. Ulrich, A. Hegar e O. Spiegelberg in Germania; M. Sims, W. S. Atlee, Th. A. Emmet, N. Bozeman, E. R. Peaslee, A. Dunlap, D. H. Agnew e G. Kimball negli Stati Uniti; in Italia, A. Cuzzi, G. Inverardi, L. Mangiagalli, O. Morisani.
Ma la più gran parte della ginecologia operativa rimase da principio nelle mani dei chirurghi, e anche tuttora vi sono paesi, come la Francia, nei quali questa specialità viene considerata come una diretta dipendenza della chirurgia generale, ben distinta dall'ostetricia. Oggi tuttavia, impostosi quasi ovunque il concetto dell'intimità o indissolubilità dei vincoli che legano la ginecologia all'ostetricia, prevalso il principio che le due specialità in parola non possono prescindere l'una dall'altra, ma si completano a vicenda, l'insegnamento è divenuto cumulativo in quasi tutte le nazioni. In Italia, ove le primitive cliniche ostetriche universitarie divennero e furono chiamate cliniche ostetrico-ginecologiche nel 1881, si fece strada abbastanza per tempo il concetto informatore di tale determinazione, e spetta specialmente a G. Calderini, allora professore a Bologna, il merito d'avere con calore e con tenacia sostenuto l'opportunità e la necessità che l'esercizio della ginecologia fosse completamente ed esclusivamente devoluto agli ostetrici. Il primo trattato italiano di ginecologia apparve nel 1881 e ne fu autore Malachia De Cristoforis. Oggi, come dei progressi della tecnica istologica e batteriologica, la ginecologia ha potuto avvalersi per la soluzione d'importanti problemi etio-patogenetici e anatomo-patologici; così dall'introduzione e dal continuo perfezionarsi dei vari sussidî fisioterapici (meccanici, termici, elettrici, attinici), la cura e anche la diagnostica di numerose malattie muliebri ha ricevutn un mirabile incremento.
Bibl.: A. P. Clarke, Origin and development of modern gynecology, in J. of Am. ass. (1892); G. Calderini, Sviluppo storico della ostetricia e della ginecologia, in Ann. di ost. e gin. (1895); W. J. St. MacKay, The history of ancient gynecology, Londra 1901; F. v. Winckel, Ein Überblick über die Geschichte der Gynäkologie von den ältesten Zeiten bis zum Ende des XIX. Jahrhunderts, in Handbuch der Geburtshülfe, Wiesbaden 1904; G. Klein, Alte und neue Gynäkologie, Monaco 1907; E. Bumm, Geschichtlicher Rückblick auf die Entwickelung der Geburtshilfe, in E. Bumm, Grundriss zum Studium der Geburtshilfe, Wiesbaden 1912; P. Diepgen, Die gynäkologischen Kenntnisse des Mittelalters, in Beitr. z. Geb. u. Gyn. (1912); J. Fischer, Gesch. der Gynäkologie, in J. v. Halban e L. Seitz, Biologie und Pathologie des Weibers, Berlino-Vienna 1924; A. Cuzzi, Introd. storica, in Tratt. di ostetricia e ginecologia, Milano s. a.