ROMA, Gina
– Nacque a Tezze di Vazzola (Treviso) il 16 settembre 1914 dall’avvocato Marcellino e da Maria Vendramelli.
Compì gli studi magistrali a Treviso, avviandosi alla pittura sotto la guida di una religiosa canossiana. Già sposata con il veterinario Sergio Martin, durante il secondo conflitto mondiale si impegnò come staffetta partigiana, sostenendo nel contempo gli esami all’Accademia di belle arti di Venezia, dove si iscrisse dopo aver superato l’esame di liceo artistico. All’Accademia studiò tra il 1943 e il 1948 con Giovanni Giuliani e con Bruno Saetti al corso di incisione e a quello di pittura ad affresco, aprendosi all’influenza della figuratività primitiveggiante di Saetti e a un tonalismo locale su cui il bolognese si era da tempo sintonizzato, apportandovi echi postcezanniani.
L’esordio espositivo non si collocò nel contesto trevigiano, bensì in area lagunare e alle collettive della Fondazione Bevilacqua La Masa, quando Gina Roma figurò con un’opera, La cala, alla Sindacale triveneta tenuta tra il giugno e il luglio del 1943 ai giardini della Biennale, accanto a un comparto di pittrici quali Lina Rosso, Anna Prati e Vera e Wilma Spadon, che si sarebbero segnalate alle collettive del secondo dopoguerra (in catalogo l’artista venne indicata come Gina Roma Martin). Trasferitasi a Oderzo, sempre nel Trevigiano, nel dopoguerra rinnovò la presenza alle mostre lagunari e di terraferma, partecipando nel 1947 al premio Auronzo di Cadore e a quello Riviera del Brenta, con in giuria personalità come Diego Valeri, Stefano Cairola, Giuseppe Cesetti e Carlo Cardazzo, Nino Barbantini e Silvio Branzi, oltre a Felice Carena, il quale la presentò nel 1951 a una personale a Roma alla galleria San Marco e con cui strinse un rapporto di stima e d’amicizia, documentato da una serie di lettere e seguito di lì a poco da quello con Aligi Sassu. Oltre che alla XXXVI Collettiva della Bevilacqua La Masa, aperta tra il dicembre 1948 e il gennaio 1949 all’Ascensione, Gina Roma si collocò nel panorama delle rinnovate Biennali di Rodolfo Pallucchini, segnate da un recuperato contatto internazionale e dalla schiera delle nuove generazioni. Così come alla Bevilacqua La Masa, la pittrice fu alla XXIV Biennale con un paesaggio a olio, attorniata da altri veneti (Bruno Darzino, Fiorenzo Tomea e Pio Semeghini) e da altre presenze femminili, quali Rosetta Fontanarosa, le sorelle Spadon e Daphne Casorati. Confermatasi assieme a quest’ultima alla XXV Biennale (vi mandò Fiori del 1949), l’artista opitergina fu, nel 1950, al premio Bolzano per le pittrici italiane, dove fu segnalata come figura promettente, mentre iniziarono a intensificarsi nei richiami critici i nomi che sarebbero poi ricorsi con qualche frequenza: così per Silvio Branzi e Guido Perocco, oltre a Emilio Cecchi, cui si associarono tra il 1952 e il 1955 Carlo Ludovico Ragghianti, Marco Valsecchi e Francesco Arcangeli, Giuseppe Marchiori e Mario De Micheli.
Assieme a qualche collettiva trevigiana (alla galleria Buosi con Giovanni Barbisan, Renato de Giorgis, Renato Nesi e Delfino Varnier) e al passaggio al V premio nazionale di pittura F.P. Michetti di Francavilla al Mare, vanno ricordati il significativo invio di due dipinti, Bambine e Paesaggio, alla VI Quadriennale di Roma nel 1951-52 (fu anche all’VIII edizione) e per tutti gli anni Cinquanta un intensificato percorso espositivo, che andò oltre il premio Burano del 1953 e le Biennali trivenete, tra Torino, Milano e Firenze, con sortite europee in Austria, a Monaco di Baviera e in Spagna. Mantenendo lo studio a Venezia in palazzo Da Mosto a S. Cassiano, e con reiterati passaggi alla Bevilacqua La Masa (dalla XLIV alla XLVII Collettiva), la pittrice si segnalò tanto alla XXVIII Biennale del 1956 quanto alla personale all’Ascensione del luglio seguente, presentata da Umbro Apollonio.
Nel contempo coltivava l’acquaforte e si accostava all’entourage degli incisori italiani posti sotto l’egida di Giorgio Trentin. Nella sua pittura si andò individuando la cura con cui guardava alle cose d’intorno, tanto che ne risultava «la valenza significante», giacché nei quadri la «contemplazione del mondo» aveva «vigore espressivo e palpiti di schietta attitudine lirica» (U. Apollonio, in Gina Roma, 1957).
In questo frangente la sua «regola operativa» (S. Branzi (1962), in Gina Roma, 1964) si precisò e venne messa a fuoco nelle opere mandate a Venezia, alla galleria Bevilacqua La Masa, nel 1957 e alla IV Provinciale d’arte contemporanea di Treviso nel 1958, accostandosi ai dibattiti più attuali: «Non ci si domanda più dove andrà Gina Roma: la sua visione è matura, nutrita del sentimento delle cose, animata dalla volontà costante di chiarire e di approfondire» (G. Marchiori (1960), ibid.).
Inserita nel rinnovato comparto della «pittura veneziana al femminile» (M. Lorandi, in Gina Roma, 1992, p. 28), l’artista si aprì ai Sessanta con la significativa presenza di cinque lavori alla VI Biennale internazionale di San Paolo del Brasile, selezionati da Arcangeli, Achille Funi, Valsecchi e Branzi, il quale ultimo seguitò l’interesse critico nei suoi confronti in occasione della personale alla galleria trentina dell’Argentario del dicembre 1962.
La si poneva distante dagli intellettualismi e dalle contestuali polemiche sulla dicotomia tra figurativo e astratto, essendo la sua non sempre facile pittura come una «provocazione flagrante», una partecipazione «cosciente» e «giudicante» all’evento naturale, da cui il quadro usciva «strutturato, costruito, e non abbandonato alla serie quasi automatica delle suggestioni» (S. Branzi (1962), in Gina Roma, 1964; A. Emiliani, in Gina Roma, 1963).
Dopo la mostra «Artisti e scrittori veneti», presentati nel 1961 da Diego Valeri, tra il 1963 e il 1965 si ebbero altre conferme espositive di deciso riguardo, come la personale alla galleria La Loggia di Bologna, quella milanese al Milione e le estese mostre alla Pogliani di Roma e a Firenze alla galleria Numero di Fiamma Vigo, avvalorate dal sostegno di Bruno Passamani, Andrea Emiliani e Arcangeli, il quale notò pure le sue sperimentazioni nelle cinque litografie a colori inviate alla XXXII Biennale di Venezia del 1964, quelle Memorie della luce approssimabili ai lavori di Emilio Vedova. Al chiudersi degli anni Sessanta, dopo la rassegna sulle «Pittrici belghe e venete» di Ca’ Giustinian a Venezia dell’aprile 1966 e un viaggio in Sardegna, si contò un nuovo impegno culturale nel Trevigiano e a Oderzo, dove Gina Roma fondò e diresse il circolo culturale 4 Cantoni – tra il dicembre 1973 e il gennaio 1974 vi si promosse la Collettiva nazionale del piccolo formato –, dando poi spazio nel decennio successivo alla pratica dell’affresco, alimentata nel contesto pubblico e nei frequentati temi del sacro con interventi nei padiglioni di pediatria e ginecologia dell’ospedale di Oderzo, a Cibiana di Cadore nel Bellunese e in alcune chiese trevigiane, a Levada di Ponte di Piave, a Mansuè e a Catena di Villorba.
Due antologiche (a Ca’ da Noal a Treviso e alla galleria dello Scudo a Verona) segnarono nel 1972 la sua affermata posizione, rinsaldata dalla monografia uscita nello stesso anno (un precedente lavoro era stato quello di Pier Carlo Santini nel 1964) e dalla mostra alla Pinacoteca comunale di Macerata intitolata «Gina Roma, una vicenda pittorica del secondo Novecento», con un esteso testo di Pietro Zampetti nel relativo catalogo da lui curato (1983). A essa si sarebbe aggiunta quella del giugno 1989 ad Auronzo di Cadore, con interventi di Mario Morales e Milena Milani.
Nominata nel 1986 direttrice della Pinacoteca Alberto Martini di Oderzo, vi promosse tanto l’attività espositiva e gli studi sull’artista, quanto la grafica d’arte, incentivata dalla fondazione della Biennale internazionale di incisione Alberto Martini e dagli incontri di Ca’ Lozzio.
Maturata nei lunghi periodi di lavoro e in seno alla tradizione veneta, la sua personalità doveva afferrarsi nello «splendore raccolto del valore pittorico» e nella «spontaneità agevole delle vere creazioni poetiche» che Valsecchi le riconobbe (M. Valsecchi (1972), in Gina Roma, 1973).
Dal 1987 cavaliere della Repubblica italiana per meriti artistici e attiva sino agli anni Novanta, venne differentemente indagata in rassegne antologiche e personali, estese agli ultimi anni di operato.
Morì a Oderzo il 2 ottobre 2005.
Fonti e Bibl.: XXIV Biennale di Venezia. Catalogo, Venezia 1948, p. 116, n. 3; Esposizione internazionale di arte sacra. Catalogo (catal.), Roma 1950, p. 250, n. 107; XXV Biennale di Venezia. Catalogo, Venezia 1950, p. 157, n. 19; XXVIII Biennale di Venezia. Catalogo, edizione riveduta e corretta, Venezia 1956, p. 103, nn. 70-72; G. R. (catal., Venezia, galleria Bevilacqua La Masa), presentazione di U. Apollonio, Oderzo [1957]; G. R. (catal., Venezia, Opera Bevilacqua La Masa), Oderzo [1961]; G. R. (catal., Bologna, galleria La Loggia), presentazione di A. Emiliani, Oderzo [1963]; G. R., nota introduttiva di P.C. Santini, [Milano] 1964 (con bibliografia); XXXII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte. Catalogo, Venezia 1964, p. 176, nn. 41-45; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, IV, Milano 1973, p. 2762; G. R. (catal., Mestre, galleria Fidarte), Vicenza [1973]; M. Goldin, Incisori trevigiani del Novecento, Villorba 1987, pp. 125-128; G. R. (catal., Ortona), a cura di M. Lorandi, Milano 1992 (con bibliografia); M. Lorandi, Cronobiografia, ibid., pp. 23-34; Id., G. R.: Passione e Natura. La pittura come pro-vocazione continua, ibid., pp. 11-22; Cent’anni di Collettive, a cura di L.M. Barbero, Venezia 1999, pp. 76, 82, 102, 108, 111, 113, 127; E. Manzato, Treviso, in La pittura nel Veneto. Il Novecento, a cura di G. Pavanello - N. Stringa, I, Milano 2006, p. 205; P. Bonifacio, G. R., in La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti, a cura di N. Stringa, Milano 2009, pp. 385-387 (con bibliografia); E. Manzato, Treviso, in Studi d’artista. Padova e il Veneto nel Novecento (catal.), a cura di D. Banzato - V. Baradel - F. Pellegrini, Padova 2010, pp. 149-152.