INGHIRAMI, Gimignano
Nacque a Prato nel 1370 da Niccolò di Tedaldo, notaio appartenente al ramo pratese di un'antica famiglia di origine volterrana.
L'I. proveniva da una schiatta di rispettabili professionisti: i suoi avi avevano esercitato le arti della medicina e della farmacopea, oppure erano stati giuristi e notai e avevano frequentato la città di Bologna e il suo Studium ben oltre i limiti cronologici imposti dalla necessità di studiare. Niccolò alla nascita dell'I. risiedeva a Prato sebbene esercitasse anche a Firenze, come attestano i rogiti che vi vergò. L'I. seguì le orme paterne dedicandosi allo studio del diritto, ma preferì consacrarsi alla carriera ecclesiastica.
Della giovinezza dell'I. sappiamo ben poco, se non che si addottorò in diritto canonico all'Università di Bologna. Nel prestigioso ateneo bolognese, intorno al 1393, fu allievo di giuristi insigni: Antonio da Budrio, Pietro d'Ancarano e Gaspare Calderini, con il quale ottenne il titolo di doctor il 31 luglio 1398. Già nell'anno seguente l'I. aveva lasciato Bologna e si era trasferito a Pistoia. Qui fu nominato nel 1399 vicario del vescovo di Pistoia, Andrea Franchi-Boccagni, e tale carica gli sarebbe stata riconfermata nel 1402, all'epoca dell'episcopato di Matteo Diamanti; in seguito ottenne il titolo di prevosto della Chiesa di Pistoia. In quel medesimo periodo (sicuramente dal 1406, quando iniziano a comparire i primi appunti datati relativi a somme riscosse in Curia, cfr. ed. Guasti, p. 21), l'I. entrò a far parte della Curia romana, per conto della quale espletò mansioni di rilievo percorrendo abbastanza velocemente un cursus honorum di tutto rispetto, come da lui stesso ricordato ("pro Sancte Matris ecclesie negociis ad varios magnosque principes ac nationes […] etiam in extremas orbis terras, ubi quidem vel annos contrivi": cfr. ed. Guasti, p. 38). Si riferiva alle numerose ambascerie, alle mediazioni, ai consilia, ai sermones che lo avevano impegnato in territorio peninsulare e Oltralpe. Di certo, per esempio, sappiamo che nel 1409 si trovava al concilio di Pisa e che nel 1410 o nel 1411 era stato inviato al re Ladislao di Angiò Durazzo in qualità di ambasciatore del pontefice. Nel 1411 era già uditore del tribunale della Sacra Rota, mentre nel 1414 compare tra quattro colleghi all'apertura del concilio di Costanza.
L'evento ci è noto dalle agili note di memorie cronistiche disseminate in un codice d'uso personale (conservato a Prato, Biblioteca Roncioniana, Mss., Q.V.19) che furono riunite e pubblicate per la prima volta nel 1888 da Cesare Guasti (cfr. Ricordanze di messer Gimignano Inghirami concernenti la storia ecclesiastica e civile dal 1378 al 1452, in Arch. stor. italiano, s. 5, I [1888], pp. 43-68; una successiva edizione, esclusivamente dedicata alle notizie riguardanti il concilio di Firenze-Ferrara, in Concilium Florentinum…, a cura di G. Hofmann, III, 2, Romae 1951, pp. 31-40). Degli anni intercorsi dall'inizio dello scisma all'elezione di Eugenio IV l'I. riporta soltanto scarne informazioni generali, compendiandole in cinque periodi di media lunghezza. Si diffonde maggiormente sul pontificato di Eugenio IV dando conto - pur se ancora in maniera sintetica - delle relazioni tra il papa e l'imperatore nonché delle sessioni conciliari itineranti tra Bologna, Ferrara e Firenze, per arrestare la narrazione all'ascesa al soglio pontificio di Tommaso Parentucelli (Niccolò V) e all'entrata di Federico III "rex Romanorum" a Firenze nel 1452. Le Ricordanze costituiscono la principale fonte sulla vita dell'Inghirami.
Presente con ogni sicurezza al concilio di Costanza nel novembre del 1414 e nell'estate del 1416, in data 28 agosto redigeva un inventario dei propri beni, dove, accanto a qualche abito e paramento, l'I. enumerava i codici che aveva portato con sé. L'elezione di Oddone Colonna, papa Martino V, nel 1417 a Costanza segnò un'ulteriore fase positiva della carriera dell'Inghirami.
Terminato il concilio di Costanza, l'I. tornò in patria al seguito del pontefice: nel 1420 lo incontriamo a Firenze, impegnato a dirimere una questione di illeciti contestuali al priorato di S. Paolo a Firenze, mentre successivamente dovette seguire l'intricata vicenda della convocazione del concilio a Siena, caldeggiata con ogni mezzo dal reggimento civile di quella città ma che si risolse con un niente di fatto, come si spiega nelle Ricordanze: "huius tempore concilium Senense ordinatum fuit, 1423 de mense novembris, et assolutum fuit de mense martii 1424, quia non veniebant prelati" (cfr. ed. Guasti, p. 43) Intanto continuava a ricevere nomine e incarichi di prestigio: nel 1421 era divenuto priore di S. Frediano a Firenze, nel 1429 fu eletto canonico della cattedrale di Firenze, ufficio cui associava l'esercizio delle funzioni di cappellano del pontefice e di uditore, per cui risiedeva a Roma per la maggior parte dell'anno.
In quel torno di tempo l'I. era in rapporti di stretta familiarità con il cardinale Giordano Orsini ed è proprio quest'ultimo a informarci sulle cariche ricoperte dall'I. in una lettera indirizzata, nel 1432, ai consoli dell'arte della lana di Firenze e relativa a un contenzioso concernente il clero di S. Lorenzo: "Haud satis scimus an probe vobis notus sit vir summus dominus Geminianus pratensis, non iniuria quidem canonicus Ecclesiae vestrae cathedralis. Potestis illum cognoscere non modo nobis veteri familiaritatis vinculo coniunctissimus, sed etiam ob suam praestantiam cappellanum atque auditorem cum nostrum iam diu summi Pontificis, quae dignitas non minimi fieri consuevit, immo vero magno in honore habetur" (lettera in Firenze, Biblioteca Marucelliana, Mss., B.III.26, edita da Guasti, 1888, pp. 24-26). In merito alle sue mansioni rotali l'erudito pratese Antonio Buonamici ricorda che "nell'essercitar l'offizio dell'auditorato fu tanto severo e giusto, e tanto rettamente giudicava, che ciascuno volentieri rimetteva ogni causa al suo giudizio" (p. 125). Al di là dell'evidente intento encomiastico dobbiamo comunque considerare che l'I. si era andato via via accreditando quale esperto e intelligente canonista.
Un anno più tardi, nel 1433, l'I. divenne decano della Sacra Rota e a tale titolo si rivolgeva a Sigismondo di Lussemburgo che era giunto a Roma per essere incoronato imperatore. Nelle Ricordanze annota: "Die martii xxvii domini Auditores sacri Pallatii visitarunt Regem in domo sua. Et ego Geminianus de Prato, tunc decanus Rote, feci sermonem pro dominis Auditoribus. Et fecimus sibi reverentiam et obedientiam" (cfr. ed. Guasti, p. 46).
Dal 1437 al 1443 l'I. seguì Eugenio IV e la sua corte nella lunga "peregrinazione" tra Bologna, Ferrara e Firenze per organizzare e poi portare a compimento il concilio "pro unione fienda inter Grecos et Italicos" (ibid., p. 48). Conclusosi il concilio Fiorentino nel 1443, si diresse a Siena, ancora al seguito del pontefice, ma lì si ammalò e non poté riprendere il viaggio verso Roma.
Nel frattempo, e almeno a partire dagli anni Trenta del secolo, aveva intrapreso un impegno scientifico gravoso: il Repertorium interpretum iuris canonici per rubricas Decretalium Gregorii IX, una repertoriazione del materiale patristico e canonistico che lo avrebbe accompagnato per molti anni, ampliandosi dai quattro volumi della redazione iniziale ai sei di quella finale. A Firenze il 24 febbr. 1443 portò a termine una stesura, che si potrebbe definire intermedia, in cinque volumi, e il 9 settembre la offrì ai colleghi del tribunale rotale, come attesta un codicillo conservato in un manoscritto dell'Archivio segreto Vaticano (cfr. Maffei, p. 219). L'I. avrebbe continuato a lavorare sul Repertorium per molti altri anni: le aggiunte presenti nella versione dell'opera conservata nei codici della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Edili, 69-74) risalgono infatti al 1453. Della lunga fase di preparazione del Repertorium restano, presso la Biblioteca Roncioniana di Prato, diversi repertori o indici singoli, tra i quali si ricordano alcuni excerpta in cui sono rintracciate e ordinate le citazioni di natura patristica (cfr. I manoscritti medievali della provincia di Prato, pp. 42 s.).
Parallelamente l'I. proseguiva la raccolta di testi e codici per la sua personale biblioteca, avvalendosi spesso del lavoro di un copista: per esempio, il Repertorium fu vergato dal tedesco Giovanni Tollener, al quale aveva già fatto ricorso per trascrivere altri libri. L'I. raccoglieva per la maggior parte opere di diritto, fra cui prevalgono quelle di interesse giuscanonistico rispetto alla pur rappresentata civilistica: sono presenti soprattutto gli scritti di canonisti trecenteschi e del primo Quattrocento, eccezion fatta per alcuni classici, ovvero i testi di Guglielmo di Rennes, di Innocenzo IV, di Guillaume Durand, di Goffredo da Trani e la Summa di Raimondo di Peñafort. L'impianto della biblioteca rivela una solida cultura tecnica, attenta alla contemporaneità e disposta ad aprirsi a suggestioni interpretative non scontate, come suggerirebbe la presenza della Lectura Clementinarum di Simone da Borsano. Ciò non toglie che nella sua biblioteca trovassero posto, sebbene in proporzione dichiaratamente minore rispetto a opere di carattere giuridico, l'Eneide, il Breviarium ab urbe condita di Eutropio, opere di Girolamo, Agostino, Tommaso d'Aquino, Niccolò di Lira, nonché la Fons memorabilium universi di Domenico Bandini.
Particolarmente consistente, se rapportata agli altri libri, è la presenza di testi girolamiti, molto probabilmente indice anche di una devozione del giurista nei confronti del santo che si sarebbe concretizzata nella commissione di tre opere d'arte: a Prato fece costruire di fronte al proprio palazzo un oratorio intitolato a S. Girolamo che poi dotò di una rendita di 1000 fiorini, mentre nel 1452 ordinò a Filippo Lippi un dipinto delle esequie del santo per la cappella di S. Girolamo nella pieve di Prato e nel 1453 ne commissionò un ritratto a Iacopo di Antonio, questa volta per adornare la neoistituita biblioteca della canonica del duomo di Firenze. Il Lippi effigia l'I. in ginocchio a mani giunte, vestito con la bianca "croccia" dei canonici regolari e in atto orante di fronte al feretro del santo che, per secoli e a seguito di un errore interpretativo di Giorgio Vasari, è stato scambiato per Bernardo di Chiaravalle.
L'I. risiedeva a Firenze quando Eugenio IV morì nel 1447 e venne eletto pontefice il sarzanese Tommaso Parentucelli, che prese il nome di Niccolò V. Con la consueta rapidità, l'I. nelle sue Ricordanze sottolinea che tra la nomina al cardinalato e quella al soglio papale di Tommaso da Sarzana intercorsero soltanto tre mesi; il 6 maggio 1451 giunse il motu proprio del pontefice che lo nominava prevosto di Prato, mentre il 7 maggio gli fu conferita la dignità di protonotario apostolico. L'oramai ottantenne prelato riguadagnava, dunque, Prato, dove avrebbe speso gli anni restanti tra le cure impostegli dagli incarichi ecclesiastici, lo studio e l'accrescimento della sua biblioteca. Nel 1452 si rivolse al Beato Angelico (Guido di Pietro) e a Filippo Lippi affinché procedessero al decoro della cappella maggiore della pieve di S. Stefano, commissionò le opere d'arte cui è stato già fatto cenno e si occupò di palazzo Inghirami, la dimora di famiglia.
Pensava, inoltre, alla propria morte: aveva eletto la sepoltura nel chiostro della chiesa di S. Francesco e lasciava 300 fiorini al capitolo plebano affinché gli fosse garantita l'officiatura perpetua in memoria e, nel giorno della festa di S. Girolamo, si stipendiasse un predicatore, si celebrasse la messa cantata e si imbandisse un banchetto per rifocillare gli invitati, espressamente gli uomini del reggimento. Con meticolosa puntigliosità, poi, per non ingenerare occasioni di litigi e controversie tra i parenti più stretti (l'I. aveva sorelle e fratelli), predispose, almeno secondo il Buonamici, il libretto: "Elemosinarium mei Geminiani de Inghiramis de Prato", dove aveva annotato tutte le elemosine elargite nel corso della sua vita, e lo sistemò nella cassa contenente alcuni argenti e altri valori destinati ai suoi eredi. Consegnò, poi, la preziosa raccolta canonistica a Giovanni di Domenico, a ciò delegato dagli Operai di S. Maria del Fiore, affinché fosse sistemata nella biblioteca della canonica fiorentina.
L'I. morì a Prato il 24 luglio 1460. Oggi il suo sepolcro risulta spostato all'interno della chiesa di S. Francesco.
Una cospicua parte dei codici destinati a S. Maria del Fiore è attualmente conservata nel fondo Edili della Biblioteca Medicea Laurenziana, a Firenze; i restanti sono custoditi nella Roncioniana di Prato. Date le traversie subite dal suo fondo librario e la sua febbrile attività scrittoria, è comunque probabile che la ricerca porti alla luce ulteriori acquisizioni, restituendo manoscritti contrassegnati dallo stemma araldico della famiglia (una montagna verde a tre cime e un melograno fruttifero alla sommità, capo d'argento con una rosa e sostenuto da una riga rossa) o dalle note di possesso del giurista.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Sacra romana Rota, Miscellanea, 4, c. 72r; Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, S. Pancrazio, 15 marzo 1419; Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., Magl., XIX, 79: Liber diversarum expensarum Camere apostolice an. 1411 et 1412, c. 9r; Ibid., Biblioteca Medicea Laurenziana, Edili, 64: Lecturae supra Decretum (erroneamente attribuite a Recupero da San Miniato); Prato, Biblioteca Roncioniana, Mss., R.IV.13, R.IV.14, Q.V.9, Q.V.21, Q.VI.19; A.M. Bandini, Bibliotheca Leopoldina Laurentiana seu Catalogus manuscriptorum qui, iussu Petri Leopoldi…, in Laurentianam translati sunt, I, Firenze 1791, pp. 88-95; F. Baldanzi, Della chiesa cattedrale di Prato. Descrizione corredata di notizie storiche e di documenti inediti, Prato 1846, pp. 29, 39-41; A. Buonamici, Memorie di messer Gimignano Inghirami, in Bibliografia pratese, a cura di C. Guasti, Prato 1884, pp. 125-128; L. von Pastor, Geschichte der Päpste…, I, Freiburg i.B. 1886, pp. 272 s.; Ricordanze di messer G. I., cit., a cura di C. Guasti, pp. 20-42; E. Cerchiari, Capellani papae et Apostolice Sedis auditores causarum Sacrii Palatii Apostolici…, II, Romae 1920, pp. 45, 53; III, ibid. 1919, pp. 118 s., 128, 130, 133, 160; G. Livi, Gli Inghirami pratesi in Bologna dal secolo XIII al XV, in Arch. stor. pratese, III (1920), pp. 97-102, 149-153; IV (1921), pp. 66-70; A. Badiani, Il monumento funebre di messer G. I., ibid., XX (1942), pp. 48-54; H. Hoberg, Die Rotarichter in den Eidregistern der Apostolischen Kammer von 1347-1494, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XXXIV (1954), p. 167 n. 76; Id., Das älteste Inventar der liturgischen Geräte und Paramente des Rotakollegs (1430), ibid., XXXV (1955), pp. 276, 278, 281; D. Maffei, La biblioteca di G. I. e la "Lectura Clementinarum" di Simone da Borsano, in Proceedings of the Third International Congress of Medieval canon law, Strasbourg… 1968, a cura di S. Kuttner, Città del Vaticano 1971, pp. 217-228; M. Vicario, Un "nuovo" codice appartenuto a G. I., in Accademie e biblioteche d'Italia, n.s., XXXVI (1985), pp. 201-209; R. Manselli, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa, in Prato, storia di una città. Ascesa e declino del centro medievale (dal Mille al 1494), a cura di G. Cherubini, Firenze 1991, pp. 841-843 e ad ind.; I manoscritti medievali della provincia di Prato, a cura di S. Bianchi et al., Firenze 1999, pp. 42 s., 54, 56, 62.