GILGAMESH (Gishbi[l]games, Gilgamesh; Γίλγαμος)
Leggendario re della città sumerica di Uruk, protagonista del più importante poema mesopotamico, che da lui si intitola.
G., il cui nome compare in testi sumerici come quello di una divinità, è una figura semidivina (solo per un terzo è uomo), protagonista di vari testi letterarî sumerici; nel periodo babilonese alcuni episodi relativi alle sue geste vennero riuniti e coordinati in babilonese, dando luogo al Poema di G., una composizione unitaria avente come motivo conduttore l'ineluttabilità della morte. Il poema può così riassumersi: G., che opprime i cittadini di Uruk, combatte contro Enkidu, l'eroe selvaggio mandato contro di lui dal dio Anu, ed è vinto da lui.
Quindi una profonda amicizia nasce tra i due eroi, che compiono insieme alcune imprese, come l'uccisione del mostruoso gigante Khumbaba (v.) e del toro celeste mandato contro di loro dalla dea Ishtar sdegnata per la ripulsa di G. a diventare suo sposo. Per punire queste azioni sacrileghe, gli dèi decidono la morte di Enkidu, amaramente pianto da G.; questi si reca in seguito da Utnapishtim, l'unico uomo scampato al diluvio universale e l'unico che abbia ricevuto la immortalità dagli dèi, per ottenere il segreto della vita. Raggiunto dopo varie peripezie, Utnapishtim racconta la storia del diluvio universale e dà a G. la pianta dell'eterna giovinezza; ma questa viene rapita all'eroe da un serpente. Il poema si chiude con un colloquio tra G. ed Enkidu, il quale narra la triste vita dell'Oltretomba.
Con episodî del poema di G. sono state messe in rapporto alcune opere dell'arte figurativa orientale antica; ma tale connessione, non essendo suffragata da alcuna prova decisiva (quale potrebbe essere un iscrizione) rimane tuttora incerta, anche se talvolta essa sembri probabile. Il motivo della lotta tra G. ed Enkidu potrebbe essere individuato in alcuni sigilli della metà del III millennio a. C. e del periodo accadico (2350-2150 a. C.) (Frankfort, Seals, XI, d, l; XVII, f; XXI, h) nonché in rilievi di varia epoca, come in uno del Louvre, datato al III millennio a. C., e in uno di Tell Halaf dell'inizio del I. Va però tenuto presente che l'immagine di due uomini nudi che lottano afferrandosi per le braccia è troppo generica per poter essere identificata con certezza con l'episodio del poema. Maggiori possibilità di identificazione presenta il motivo dei due eroi che uccidono un gigante; in questo si è soliti, infatti, riconoscere l'episodio dell'uccisione di Khumbaba (v.). La figura di quest'ultimo appare talvolta semidistesa, come in una terracotta di Berlino, datata dall'Opitz alla prima dinastia babilonese (primi secoli del II millennio), talvolta in piedi, come in diversi sigilli mitannici e in uno assiro (Porada, Nuzi, 728-29, 768-73; Frankfort, Seals, fig. 52) e in un rilievo di Tell Ḥalaf, talvolta infine inginocchiata, come nei sigilli assiri (Ward, Cylinders, 642, 644; Frankfort, Seals, fig. 53). Circa il motivo dell'uccisione di Khumbaba, va rilevato che la sua totale assenza nel repertorio iconografico del III millennio (epoca in cui nascono e si fissano i maggiori temi iconografici di contenuto mitologico, che nel II millennio a. C. vengono meno) e la sua diffusione, nella seconda metà del II millennio e nel periodo assiro, nell'alta Mesopotamia, rendono possibile l'ipotesi che si tratti di un motivo di origine occidentale (siriana), e che pertanto la datazione del rilievo berlinese vada riveduta. L'episodio di G. con la pianta della giovinezza è stato infine ipoteticamente riconosciuto dal Frankfort su un sigillo della metà del III millennio a. C. (Frankfort, Seals, XI, m).
Accanto a queste possibili testimonianze dell'iconografia del mitico G., va posta la ricchissima documentazione relativa all'iconografia dell'"eroe nudo", convenzionalmente chiamato G. dagli studiosi. L'identificazione dell'"eroe nudo" con G., che trova tuttora sostenitori (ma non manca chi vede in esso il dio Tammūz), è invece assai discutibile, poiché l'"eroe nudo" compare in scene completamente estranee al poema e con sensibili differenze tipologiche dall'una all'altra. Il cosiddetto G. è raffigurato come un uomo nudo, con lunghi capelli che formano talvolta tre riccioli ai lati del viso e con lunga barba. Questo tipo compare, già all'inizio del III millennio a. C., in tre diverse tipologie. Una, che sembra la più antica, è costituita dall'eroe che afferra due leoni per la coda, formando una composizione a tre elementi verticali; essa compare in vasi di pietra del periodo di Gemdet Naṣr (2800-2700 a. C.) e si conserva per tutta la durata della civiltà mesopotamica, con qualche variante iconografica. Un'altra è una composizione analoga, ma a due elementi, dato che la lotta si svolge contro un solo leone (o altra fiera). Nel III millennio queste due tipologie appaiono distinte, tanto più che nella seconda l'"eroe nudo" è spesso sostituito da un'altra figura, metà uomo e metà toro, in cui molti studiosi vogliono riconoscere Enkidu. Poiché molti sigilli del III millennio presentano una scena complessa in cui i due gruppi appaiono giustapposti, l'ipotesi che vede in questa la lotta di G. e Enkidu contro il toro celeste appare verosimile, a patto di ammettere, con il Frankfort, un'originaria autonomia del ciclo di Enkidu rispetto a quello di Gilgamesh. Il tipo di G. con due fiere si mantiene inalterato nella diffusione che tale motivo ebbe in tutto il mondo antico: dall'Egitto predinastico, come dimostra il coltello di Gebel el-Arak - nel quale però l'eroe e vestito -, all'Elam (che risente dei successivi sviluppi mesopotamici), dall'Egeo (gemme di Mallia, Micene e Cidonia; cfr. Mélanges Dussaud, Parigi 1939, pp. 121-27) al Luristan, dove la composizione subisce una profonda trasformazione per adeguarsi alla caratteristica sensibilità anorganica dei bronzi, fino a riapparire nell' iconografia cristiana nell'aspetto di "Daniele fra i leoni". In Mesopotamia invece già nel periodo accadico (2350-2150 a. C.) G. compare in lotta con una sola fiera, ma è assai probabile che in tale motivo sia da riconoscere un simbolismo cosmico che si perde progressivamente, sì che il gruppo assume un valore puramente decorativo che si conserverà fino in epoca tarda; varia la tipologia, con l'atteggiamento in ginocchio di G. o con la posizione del leone che viene posto in alto, come in un sigillo assiro, o tenuto stretto al fianco, come nei due colossi del palazzo di Khorsābād (che stanno probabilmente all'origine dell'avorio ionico trovato a Delfi: cfr. Syria, xxiv, 1944-45, pp. 149-74). Dal tipo di G. in lotta col leone deriva forse l'iconografia del sovrano che affronta a piedi un leone o un drago.
Il terzo tipo di G. che compare nel III millennio conferma l'opinione che l'"eroe nudo" rappresenti diverse figure demoniache: G. viene raffigurato con in mano l'emblema della porta, quindi come un demone protettore; in epoca accadica esso accompagna il dio Enki (v.), e forse da questo rapporto col dio dell'acqua nasce l'altra tipologia di G. con in mano un vaso da cui sgorgano fiotti d'acqua. Nel II millennio G. portatore di emblema viene accompagnato o sostituito dall'uomo-toro (Enkidu: Van Buren, Clay Figurines, New Haven 1930, pp. 254-58), mentre nei sigilli G. si trova in compagnia anche di altre divinità. Un quinto tipo nel periodo accadico è costituito da G. che reca in mano dei pesci, di significato ignoto.
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