RUTA, Gilda
– Nacque a Napoli nell’antica strada Santa Lucia il 13 ottobre 1853, primogenita degli otto figli di Michele ed Emelina Sutton. Erede di una famiglia di musicisti, ricevette dai genitori la prima formazione: la madre, di origine inglese, era cantante e il padre un compositore che nel corso della carriera seppe meritarsi un crescente apprezzamento.
Originario di Caserta, dov’era nato il 7 febbraio 1826, figlio di un maestro di cappella nel duomo locale, Michele Ruta si trasferì a Napoli nel 1841 all’atto dell’ammissione al conservatorio di S. Pietro a Majella. Lì studiò, tra gli altri, con Girolamo Crescentini (canto), Francesco Lanza (pianoforte) e Carlo Conti (contrappunto e composizione). Di idee liberali, partì volontario, arruolato dalla principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, per partecipare ai moti insurrezionali del 1848-49, e nella circostanza scrisse alcuni canti patriottici, sue prime creazioni. Rientrato dalla Lombardia, si dedicò alla composizione e all’insegnamento privato, esercitando nel contempo la critica musicale per il Corriere del mattino. Esordì nel 1854 con il «dramma lirico» Leonilda (libretto di Federico Quercia) al teatro S. Ferdinando. Seguirono altri quattro melodrammi: Diana di Vitry (1859, Domenico Bolognese), la «commedia lirica» L’impresario in progetto (1873, Antonio De Lerma), Marco Bozzari e Caterina (gli ultimi due, rispettivamente su libretto proprio e su uno di Salvatore Speranza, mai andati in scena; Maria la fioraia, 1859, che gli viene talvolta attribuita, è invece composizione di Aniello Barbati). Compose musica da camera (romanze, pezzi per pianoforte) e da chiesa (messe), alcuni intermezzi, una cantata per l’inaugurazione del teatro Piccinni di Bari e un balletto. Nel 1876 fondò La Musica (quindicinale, attivo fino al 1878, e poi dal 1883 al 1885); nel 1877 diede alle stampe una Storia critica delle condizioni della musica in Italia e del Conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli. Si dedicò anche alla teoria, come risulta dal Corso completo di composizione musicale secondo i precetti della Scuola napolitana (Napoli, ante 1869) e dai Ricordi pe’ giovani compositori (pubblicati a puntate su La Musica tra il 1876 e il 1878). Questa intensa attività gli valse nel 1879 la nomina dapprima a maestro esterno del conservatorio, indi a membro di un comitato tecnico del medesimo istituto, che di fatto si tradusse nella mansione di direzione svolta in collaborazione con Lauro Rossi e Paolo Serrao. Sempre nel 1879, su proposta del ministero della Pubblica Istruzione, fu fatto cavaliere della Corona d’Italia. Morì a Napoli il 24 gennaio 1896.
Dalla seconda metà degli anni Settanta Michele Ruta fu un importante animatore della vita culturale in Napoli, promotore di numerosi eventi musicali: in essi si distinse la figlia Gilda, la quale non fu forse una bambina prodigio, ma di sicuro conquistò presto una certa rinomanza nell’ambiente artistico cittadino.
Lo testimonia lo spazio che le concesse Francesco Florimo nella voce dedicata al padre nel Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli: «Sua figlia Gilda, giovinetta di anni sedici, è già una distinta pianista, e tanto bene inoltrata nella composizione, che dà fondate speranze di un suo prossimo brillante avvenire. Questa cara giovinetta, in età ancor sì tenera, è ora maestra di pianoforte e di canto corale nella Scuola normale di Terra di Lavoro» (Florimo, 1869-71, II, p. 1015).
Attiva concertista, all’epoca Ruta figurava nei programmi di molte accademie e società musicali napoletane. Ma in una fase in cui il pianoforte era ancora utilizzato soprattutto come strumento accompagnatore o in formazioni cameristiche, poche risultano le sue esibizioni da solista, e meno ancora quelle in combinazione con un’orchestra (sotto la direzione del padre oppure di Nicola De Giosa), comunque sempre in eventi misti di musica vocale e strumentale accanto ad altri giovani talenti (tra cui Beniamino Cesi e Giuseppe Martucci). Probabilmente in quest’epoca si perfezionò con Franz Liszt a Roma.
Nel 1877 sposò un ingegnere napoletano, il conte Raffaele Cagnazzi; ebbero due figli, Tommaso e Anna. La vita di famiglia necessariamente rallentò la carriera della musicista, interrotta addirittura nei primi anni Ottanta per la prematura scomparsa del marito. La ripresa dell’attività artistica si può far risalire al 1883, quando il nome di Gilda Ruta ricomparve nelle cronache di quotidiani e periodici musicali (nel giugno del 1884 la Gazzetta musicale di Milano le dedicò un’intera pagina, dopo il successo ottenuto in concerto nel conservatorio del capoluogo lombardo). In questo periodo si registrano sue esibizioni, oramai nella formula moderna del recital, nelle maggiori città italiane; in repertorio soprattutto Beethoven, Chopin e Liszt, ma anche autori più distanti nel tempo quali Antonio Sacchini, Ferdinando Turini e Domenico Scarlatti. Come da prassi per i pianisti che fossero pure compositori, eseguiva inoltre musiche proprie. La sua produzione finì per annoverare soprattutto opere per pianoforte: solo (Allegro appassionato, Aria di danza, Bourée (sic), Capriccio brillante, Elegia, Notturno polacco, Partita, Polacca di concerto, Scherzo, Serenata, Zingaresca) o con grande orchestra (Concerto), orchestra d’archi (Andante rondò, Bolero) e violino (Gavotta, Sonata). Oltre a qualche pezzo orchestrale (Gavotta), scrisse non pochi brani di musica vocale (principalmente romanze, alcune di discreta popolarità, come Voglio guarire, Canzone marinaresca e Voglio morir con te!), spesso proposti in duo con la sorella Anna, soprano.
Se la critica recensì sempre con favore la Ruta pianista, lodandone le abilità tecniche e il tocco brillante, ancor più apprezzò la Ruta compositrice, per la misura e la ‘classicità’ delle forme, laddove qualche eccesso virtuosistico veniva talvolta imputato alla solista.
A detta di un critico autorevole, Filippo Filippi, «le composizioni della signorina Ruta si raccomandano per innegabili pregi musicali, ma ne hanno anche un altro di valutabilissimo oggigiorno; quello di prestarsi al bisogno così sentito, che ci sia della musica, specialmente per pianoforte, la quale si presti all’intelligenza ed alle forze meccaniche di tutta quella faraggine di oneste persone, di dilettanti, di signorine che potranno decifrare e suonare la musica della Ruta senza rompersi il cervello, né le dita, ma soprattutto senza corrompere il gusto, e senza offendere l’orecchio degli ascoltatori; quelli, voglio dire, che hanno l’animo onesto e l’orecchio delicato» (Filippi, 1884, p. 355).
Fu dunque meritata la medaglia d’oro per la composizione musicale conseguita nel 1890 all’Esposizione Beatrice di Firenze, in una fase della carriera che la portò a esibirsi con le principali orchestre italiane (anche presso la corte reale e sotto la direzione del giovane Arturo Toscanini).
La piena affermazione nel circuito nazionale le valse la proposta proveniente dagli Stati Uniti di una tournée promozionale dei pianoforti Steinway. Così, figli al seguito, nel novembre del 1894 si imbarcò a Genova sull’Augusta Victoria diretta a New York. L’esperienza americana dovette di certo risultare gratificante e stimolante se, fatto un temporaneo rientro in Italia, dopo la morte del padre decise di stabilirsi oltreoceano. Lì fu egualmente in grado di mantenere su alti livelli la propria vicenda artistica, continuando a comporre (incerta la notizia di una sua opera lirica, The fire-worshippers, tratta da Lalla-Rookh di Thomas Moore; cfr. Elson, 1903) e a suonare con le maggiori orchestre (Metropolitan Opera House, New York Philharmonic, diretta ancora da Toscanini o da altri maestri di spicco quali Enrico Bevignani e Anton Seidl).
Morì a New York il 26 ottobre 1932.
Aveva dedicato gli ultimi anni soprattutto all’insegnamento di pianoforte e composizione, svolto nell’accademia di Manhattan che fondò insieme ai figli (violinista l’uno, pianista l’altra). Con lei scomparve una figura di musicista-donna come poche altre capace di trasformare in percorso professionale ed esistenziale quell’iniziale formazione musicale che invece, per quasi tutte le signorine di buona famiglia del suo tempo, finiva col ridursi a mero elemento di corredo.
Fonti e Bibl.: F. Florimo, Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli, I-II, Napoli 1869-1871; F. Filippi, Bibliografia musicale (dalla Perseveranza), in Gazzetta musicale di Milano, XXXIX (1884), pp. 354 s.; Gilda Ruta, in Gazzetta musicale di Milano, XXXIX (1884), p. 249; A. Elson, Woman’s work in music, Boston 1903, pp. 211 s.; A. Bonaventura, Le donne italiane e la musica, in Rivista musicale italiana, XXXII (1925), pp. 519-534; Dizionario universale dei musicisti, a cura di C. Schmidl, II, Milano 1929, pp. 421 s.; P. Adkins Chiti, Donne in musica, Roma 1982; Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, VI, Le biografie, Torino 1988, p. 507; P. Adkins Chiti, G. R., una “virtuosa della tastiera”, in Id., Almanacco delle virtuose, primedonne, compositrici e musiciste d’Italia, Novara 1991, pp. 224-227; G. Sanguinetti, Un secolo di teoria della musica in Italia. Bibliografia critica (1850-1950), in Fonti musicali italiane, II (1997), pp. 226 s.; P. Marotta, Michele Ruta, in Archivio storico di Terra di Lavoro, XVIII (2000-2001), pp. 119-130; The new Grove dictionary of music and musicians, XXII, London-New York 2001, p. 37; A. Sessa, Il melodramma italiano 1861-1900, Firenze 2003, pp. 420 s.