ROSSI, Gilberto. –
Nacque a Città di Castello (Perugia) il 9 gennaio 1877, secondogenito dei sette figli di Gualtiero, nobile possidente terriero, e di Isotta Fiorenzi, aristocratica originaria di Osimo (Ancona).
Le esperienze della fanciullezza a contatto con il mondo contadino dell’alta Val Tiberina lasciarono in lui tracce profonde che servirono da sfondo per le sue opere letterarie.
Rossi frequentò le scuole superiori a Firenze nel collegio dei padri barnabiti Alla Querce. Nel 1895 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Istituto di studi superiori (poi Università) della stessa città, laureandosi nel 1901 con una tesi sulla morfologia comparata delle arterie addominali elaborata nell’Istituto di anatomia diretto da Giulio Chiarugi. Entrò nel laboratorio di fisiologia come aiuto del direttore Giulio Fano, conseguendo la libera docenza nella disciplina nel 1907. Tranne che per un breve periodo trascorso all’Università di Perugia nel 1913, la carriera universitaria di Rossi si svolse interamente a Firenze. Dopo aver tenuto vari insegnamenti nell’ambito della biologia generale, della fisiologia e della chimica biologica, nel 1918 succedette a Fano, trasferitosi a Roma, nella direzione del laboratorio, prima come incaricato e poi, a seguito di concorso nazionale, come professore di ruolo di fisiologia, posizione che mantenne dal 1923 fino al collocamento fuori ruolo nel novembre 1947.
Prossimo ai quarant’anni, Rossi prese parte alla Grande Guerra, prima come soldato di fanteria e poi come capitano medico. Volontario al fronte, si distinse per l’abnegazione nel soccorrere i feriti, guadagnandosi una medaglia di bronzo, e fu fatto prigioniero dopo la disfatta di Caporetto. L’esperienza della tragica inutilità della guerra lo segnò per sempre, contribuendo al pessimismo che ricorre nei suoi scritti, nonché al suo netto distacco dal fascismo. Nel corso della seconda guerra mondiale, Rossi fu incaricato della direzione di un centro chimico militare ubicato nel suo Istituto, svolgendo ricerche sulle maschere antigas. Durante l’occupazione nazista si rifiutò di comunicare agli invasori i risultati di queste ricerche e riuscì a difendere dalle razzie le attrezzature e la biblioteca dell’Istituto, anche grazie al fatto che l’ufficiale nazista incaricato dell’operazione lo conosceva di fama e ne apprezzava i lavori scientifici. Per sfuggire a eventuali rappresaglie soprattutto da parte dei fascisti, fu poi costretto a nascondersi nel centro di igiene mentale di Firenze diretto dal suo ex allievo e collaboratore Gino Simonelli.
Rossi fu un intellettuale dotato di un acuto senso critico, ma con una personalità austera, schiva e riservata, avversa a ogni ostentazione del proprio valore di uomo e di scienziato. A fronte del cosmopolitismo scientifico e accademico di Moritz Schiff, Luigi Luciani e Giulio Fano, suoi predecessori sulla cattedra fiorentina, il suo curriculum universitario può dare un’impressione di provincialismo. Tenacemente legato al laboratorio di Firenze, non collaborò mai con altri centri di ricerca in Italia o all’estero e pubblicò, spesso come unico autore, la maggioranza dei suoi lavori in italiano nell’Archivio di fisiologia, la rivista fondata da Fano e poi a lungo diretta da Rossi stesso. L’apparente disinteresse per la visibilità delle sue ricerche in ambito nazionale e internazionale non ha impedito che alcune sue scoperte abbiano lasciato una traccia profonda e duratura nella storia della fisiologia e in particolare della neurofisiologia.
Per oltre un decennio dopo la laurea, la produzione scientifica di Rossi non rivelò alcun interesse per il sistema nervoso, dedicata com’era ad argomenti assai disparati di fisiologia comparata, chimica biologica e chimica fisica: la motilità del gozzo e dello stomaco del pollo, la viscosità del siero sanguigno e di altri liquidi biologici, l’assorbimento intestinale dei grassi e di altre molecole organiche. Si tratta di lavori seri, mirati a identificare con tecniche sperimentali originali il determinismo di precisi fenomeni fisiologici, ma non è certo a essi che è legata la sua fama scientifica.
L’esordio nella letteratura neurofisiologica avvenne nel 1912 con due note sperimentali sui rapporti funzionali fra cervelletto e cervello anteriore, frutto di ricerche eseguite negli stessi laboratori di via Capponi che erano stati teatro, molti anni prima, dei famosi esperimenti di Luciani sugli effetti delle lesioni croniche cerebellari nel cane e nella scimmia.
La prima nota (Ricerche sulla eccitabilità della corteccia cerebrale in cani sottoposti ad emiestirpazione cerebellare, in Archivio di fisiologia, 1912, vol. 10, pp. 257-260) descriveva come conseguenza immediata dell’asportazione di metà del cervelletto nel cane una diminuzione dell’eccitabilità della zona corticale motrice del lato opposto, seguita nel tempo da un aumento dell’eccitabilità della stessa zona. La seconda nota (Sugli effetti conseguenti alla stimolazione contemporanea della corteccia cerebrale e di quella cerebellare, ibid., pp. 389-399), la più importante per la fama scientifica di Rossi, riferiva che la stimolazione elettrica o chimica (con la stricnina) di alcune zone della corteccia di un emisfero cerebellare, pur non determinando da sola alcuna reazione motrice, abbassava la soglia per l’eccitamento della zona motrice cerebrale del lato opposto: correnti troppo deboli per causare di per sé la produzione di movimenti da parte della corteccia motrice diventavano efficaci durante la stimolazione cerebellare.
Questi risultati chiarivano il meccanismo dell’azione di rinforzo (o stenica) del cervelletto sul cervello preconizzata da Luciani e ne precisavano l’organizzazione crociata. Luciani non era stato maestro di Rossi, ma conosceva i suoi esperimenti e li aveva probabilmente ispirati con consigli personali, tant’è che li descrisse molto elogiativamente nel capitolo sul cervelletto a partire dalla quarta edizione del suo trattato Fisiologia dell’uomo (III, Milano 1913, pp. 580 s.), prefigurando per Rossi un futuro luminoso nella sperimentazione cerebellare. Alla notorietà conferita ai lavori di Rossi dalle lodi di Luciani si aggiunse presto una risonanza internazionale, soprattutto in conseguenza della traduzione in varie lingue della Fisiologia dell’uomo. La supervisione della traduzione inglese del volume contenente il capitolo aggiornato sul cervelletto venne affidata al neurologo Gordon Holmes (L. Luciani, Human physiology, I, London 1915, p. V; III, a cura di G.M. Holmes, 1915, pp. 483 s). Questi si rese conto dell’importanza dei risultati di Rossi, citandoli regolarmente nel corso degli anni nei suoi lavori sui sintomi da lesioni cerebellari nell’uomo. Nella sintesi finale delle sue ricerche, The cerebellum of man (in Brain, LXIII (1939), pp. 1-30, in partic. p. 7), Holmes riaffermò il collegamento probabile fra la disfunzione del meccanismo scoperto nel cane da Rossi e la debolezza dei movimenti volontari che affligge gli arti ipsilaterali a una lesione neocerebellare nell’uomo.
I risultati di Rossi furono confermati sperimentalmente da neurofisiologi di vaglia come Frédéric Bremer, Joannes Gregorius Dusser de Barenne e John Fulton, e corredati di una verifica elettroencefalografica da parte di Arthur Earl Walker nel laboratorio di Bremer. Contravvenendo per una volta alla sua usuale modestia, Rossi pubblicò verso la fine della sua carriera una rassegna (Azione del cervelletto sulla corteccia cerebrale, in Archivio di fisiologia, 1940, vol. 40, pp. 419- 437) degli autori a lui favorevoli, con estese citazioni dai loro testi. Tuttavia non usò mai l’espressione ‘effetto Rossi’, entrata stabilmente nella letteratura cerebellare per designare la sua scoperta principale (cfr. Dow - Moruzzi, 1958, pp. 311, 316).
Le odierne conoscenze dei circuiti neuronali cerebellari rendono difficile interpretare ancora l’effetto Rossi come una facilitazione della corteccia motrice avviata dalla corteccia cerebellare, ma resta vero che impulsi dal nucleo dentato del cervelletto possono esercitare un’azione eccitatoria sulla corteccia motoria controlaterale tramite le vie crociate che vanno dal nucleo dentato al talamo e di qui alla corteccia cerebrale. Personalmente Rossi fu sempre molto cauto nell’interpretazione del preciso meccanismo del suo effetto, e nella rassegna del 1940 affermava ancora che i suoi risultati non permettevano di stabilire se l’abbassamento della soglia per la produzione di movimenti dalla corteccia motrice durante la stimolazione cerebellare dipendesse da una modifica di eccitabilità a livello della corteccia oppure a valle di essa.
Dopo il successo delle note sperimentali del 1912, le ricerche nel laboratorio di Rossi furono incentrate sulla fisiologia cerebellare, con l’eccezione di studi sul labirinto vestibolare che fruttarono contributi originali riguardo ai movimenti inerziali dell’endolinfa nei canali vestibolari e ai riflessi labirintici (Ricerche sul laberinto vestibolare eseguite nell’Istituto di fisiologia di Firenze, in Archivio italiano di anatomia ed embriologia, XXXIII (1934), pp. 38-66). Quanto al cervelletto, a partire dal 1921 le ricerche si focalizzarono su un nuovo fenomeno scoperto da Rossi: le asimmetrie posturali e motorie nel cane e nel gatto dopo distruzioni unilaterali di aree del neocervelletto in parte corrispondenti a quelle studiate nell’effetto Rossi (Sulle localizzazioni cerebellari corticali e sul loro significato in rapporto alla funzione del cervelletto, in Archivio di fisiologia, 1921, vol. 19, pp. 391-445).
Sono asimmetrie che si manifestano dopo lesioni unilaterali del cervelletto, quando l’animale è in posizione supina o sospeso verticalmente, nelle quali in genere l’arto anteriore dal lato della lesione è più flesso dell’arto controlaterale, e la forza dei movimenti dei due arti differisce in funzione della asimmetria posturale di partenza. In questi esperimenti Rossi fu coadiuvato dai due allievi a lui più vicini: Simonelli, che rinunciò poi alla carriera universitaria in fisiologia per dedicarsi alla psichiatria, e Anna Maria Di Giorgio, che fu professore ordinario di fisiologia a Siena e a Torino.
In uno di questi studi (Asimmetrie toniche posturali ed asimmetrie motorie, ibid., 1927, vol. 25, pp.146-157) con acuta intuizione fisiologica Rossi avanzò l’ipotesi che un semplice meccanismo di impostazione del tono muscolare potesse dipendere da una regolazione della lunghezza, e quindi della sensibilità, dei fusi neuromuscolari per opera di una loro specifica innervazione motoria, a quel tempo sconosciuta. Questa intuizione procurò a Rossi quasi altrettanta fama del suo effetto eponimo. Ragnar Granit, futuro premio Nobel per la fisiologia o la medicina, nel cui laboratorio a Stoccolma l’innervazione motoria dei fusi fu scoperta e analizzata a fondo, scrisse nel 1953 in un lavoro con Earl Eldred e Patrick A. Merton che «the part played by intrafusal muscle contraction in reflex action was first adumbrated in the penetrating hypothesis of Rossi (1927)» (p. 498). Granit aveva rapporti di amicizia con il neurofisiologo italiano Giuseppe Moruzzi ed è probabile che sia stato quest’ultimo a fargli conoscere l’ipotesi di Rossi.
Il valore scientifico di Rossi fu riconosciuto in ambito nazionale con l’ascrizione all’Accademia dei Lincei come socio corrispondente nel 1928 e l’elezione a socio nazionale nel 1947. Rossi era dotato di una notevole cultura umanistica, nutrita dalla frequentazione dei classici greci e latini e delle principali opere della letteratura italiana e straniera, con una predilezione per Niccolò Machiavelli, Francesco Guicciardini, Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni e per i maggiori scrittori francesi e russi. Ad alimentare i suoi interessi umanistici fu soprattutto il fratello maggiore Mario, padre del grande filosofo e storico della scienza Paolo Rossi.
Mario introdusse il fratello in alcuni ambienti della vivace vita letteraria fiorentina dell’epoca, fra i quali la libreria Beltrami di via Martelli dove si ritrovavano scrittori come Giovanni Papini e Aldo Palazzeschi e lo psichiatra Corrado Tumiati, che incoraggiò Rossi a scrivere per le riviste Il Ponte e La Serpe. I risultati principali di questa seconda carriera, che coincise con il ritiro dall’università, furono un racconto fantastico di grande spessore letterario, La rivolta degli Uno, pubblicato a Milano nel 1951, seguito l’anno dopo dal romanzo Mezzo contadino (Venezia 1952), che vinse il premio Marzotto per l’opera prima e meritò il plauso di critici letterari importanti come Giovanni Grazzini, Giuseppe De Robertis e Pietro Pancrazi.
A torto considerato da molti un testo autobiografico, il romanzo descrive in prima persona, con l’uso di un toscano ricercato e anticheggiante, i ricordi dolorosi e spesso tragici di un anziano medico di scarso successo che rievoca la sua triste infanzia di figlio di poveri contadini aggrediti dalla malasorte, la sua educazione in tetri collegi religiosi, la faticosa conquista della laurea, la partecipazione a una sordida guerra di massacri, arrivando infine alla constatazione della totale inanità della propria vita. In questo melanconico libro, alcuni aspetti autobiografici (episodi personali della vita rurale, degli studi in collegio, o della sanità militare in guerra) sono mescolati a elementi di invenzione letteraria, in un gioco costruito per sviare un lettore che vi cerchi la vera biografia dell’autore. Manca ogni riferimento alla grande scienza che Rossi aveva certamente conosciuto da protagonista.
Morì a Firenze il 20 marzo 1960, lasciando la moglie Teresa Küster (sposata nel 1905) e due figli, Gualtiero e Alberto.
Fonti e Bibl.: I. Spadolini, Nel settantesimo compleanno di G. R., in Archivio di fisiologia, 1947, vol. 47, pp. 210-231; E. Eldred - R. Granit - P.A. Merton, Supraspinal control of the muscle spindles and its significance, in The journal of physiology, 1953, vol. 122, pp. 498-523; R.S. Dow - G. Moruzzi, The physiology and pathology of the cerebellum, Minneapolis 1958, pp. 311, 316; A.M. Di Giorgio, G. R., in Archivio di scienze biologiche, 1960, vol. 44, pp. 520-526; G. Moruzzi, G. R., in Archives italiennes de biologie, 1960, vol. 98, pp. 222-225; G. Simonelli, Commemorazione del Prof. G. R., in Lo sperimentale, CX (1960), pp. 480-492; C. Tumiati, G. R. (1877-1960), ibid., pp. 493-497; M.L. Baroni, G. R., tesi di laurea inedita, Università degli studi di Urbino, 1965.