GIAPPONE
(XVII, p. 1; App. I, p. 668; II, I, p. 1049; III, I, p. 750; IV, II, p. 59)
Dopo la restituzione di Okinawa al G. da parte dell'amministrazione militare degli Stati Uniti (1972), la superficie territoriale del paese (372.839 km2) non ha subito nessun cambiamento. Secondo le statistiche governative, però, essa risulta maggiore, perché il G. rivendica quattro isole situate a sud delle Curili che, secondo una propria interpretazione dell'accordo di Yalta del 1945, non dovrebbero far parte delle isole Curili vere e proprie.
Popolazione. - Se si paragona la piramide demografica del 1935 con quella del 1989 si può notare il cambiamento radicale della struttura demografica del Giappone. Dalla piramide del 1989 si nota: 1) il danno causato dalla seconda guerra mondiale al gruppo maschile di 65-74 anni di età; 2) il risultato del cosiddetto baby-boom nel gruppo di 40-44 anni, e 3) la generazione dei figli del baby-boom nel gruppo dai 15 ai 19 anni. Attualmente il coefficiente di natalità è diminuito fino ad arrivare, nel 1989, al 10,2‰, mentre quello della mortalità resta al 6,4‰. L'aumentata proporzione della popolazione anziana costituisce un grosso problema per la società giapponese (la percentuale del gruppo di età superiore ai 65 anni era del 5,7% nel 1960, per arrivare all'11,7% nel 1989). La distribuzione della popolazione del G., che risulta di poco inferiore ai 123 milioni di abitanti, è molto ineguale; esaminando la densità nelle 47 prefetture, si può notare che essa varia da più di 1000 a 100 ab./km2. Anche il tasso d'incremento demografico è molto diverso fra le varie prefetture; alcune di esse, soprattutto quelle adiacenti alle grandi zone metropolitane come, per es., Chiba, Kanagawa, Shiga e Nara, hanno un incremento superiore al 10% annuo, mentre altre registrano una diminuzione netta della popolazione. Le cause principali di queste differenze devono essere attribuite alla mobilità geografica della popolazione e alla differenza della struttura demografica. Nelle prefetture dove lo sviluppo urbano e industriale è relativamente arretrato e dove c'è stato un massiccio esodo demografico negli ultimi tre decenni, la percentuale degli anziani è molto più accentuata, con incremento zero oppure negativo della popolazione, come nelle prefetture di Aomori, Akita e Wakayama.
A partire dall'inizio degli anni Cinquanta, insieme alla crescita economica dovuta all'espansione dell'industria manifatturiera e terziaria, si è imposto un rapido processo d'inurbamento, considerato sia come volume di popolazione immigrata nelle città sia nel senso di superficie urbanizzata. Questo fenomeno dell'urbanesimo è stato notevole fra il 1955 e il 1975. Tra le 47 prefetture, il più alto tasso di urbanesimo si trova, secondo un ordine decrescente, in quelle di Tokyo, Osaka, Kanagawa, Hyogo, Aichi e Fukuoka. Ciò significa che l'urbanesimo è concentrato lungo l'asse che si estende dalla zona metropolitana di Tokyo fino alla parte settentrionale di Kyushu, lungo la costa dell'Oceano Pacifico e del Mare Interno di Seto. Questa fascia, che viene definita come Megalopoli di Tokaido o Megalopoli del Pacifico, ha rappresentato l'asse di crescita nei due decenni del boom economico giapponese della metà degli anni Cinquanta. Dopo la metà degli anni Settanta la tendenza dell'urbanesimo ha subito una radicale modifica: le prefetture metropolitane, come quelle di Tokyo, Osaka, Kyoto, non hanno più dimostrato una grande vivacità demografica, mentre lo sviluppo demografico dei capoluoghi di prefettura e di alcuni centri commerciali è stato particolarmente importante. Fino alla metà degli anni Settanta le quattro grandi aree metropolitane (Tokyo-Chiba-Yokohama, Nagoya, Kyoto-Osaka-Kobe e Kyushu settentrionale) avevano dimostrato quasi lo stesso tasso di crescita urbana, mentre a partire dalla metà degli anni Settanta soltanto la zona metropolitana di Tokyo ha segnato una crescita urbana costante con lo sviluppo demografico delle prefetture limitrofe. Da questo comportamento si deduce che la prefettura di Tokyo non è più soggetta a un alto incremento demografico ma ospita una gamma sempre maggiore delle funzioni manageriali e finanziarie, e che la maggior parte della popolazione aumentata nelle prefetture limitrofe è costituita da pendolari verso la prefettura di Tokyo.
Agricoltura, allevamento e pesca. - Dopo la riforma fondiaria realizzata per la maggior parte fra il 1946 e il 1948, tutti i contadini giapponesi sono diventati coltivatori-proprietari. L'aumentato tenore di vita dei contadini ha contribuito notevolmente all'allargamento del mercato interno. Dopo la metà degli anni Cinquanta, con il processo di rapida crescita dell'economia nazionale dovuta essenzialmente all'industrializzazione e alla terziarizzazione, la popolazione agricola, che nel 1950 occupava il 42% della popolazione attiva, è scesa all'8,4% alla fine degli anni Ottanta. L'agricoltura viene praticata talvolta per autoconsumo o a tempo parziale da parte dei membri delle famiglie contadine. Questo massiccio ricorso alla ''parzializzazione'' della conduzione agricola è stato reso possibile dalla politica protezionistica dei prodotti agricoli, soprattutto del riso, il cui prezzo è mantenuto a un livello che è più del doppio di quello internazionale, oltre che dalla grande meccanizzazione che consente il risparmio di molte ore lavorative. Questo fenomeno, però, ha avuto molti effetti negativi sull'agricoltura del paese. Il fatto che molte famiglie contadine, che traggono il loro reddito principale da attività non agricole, mantengano ancora frazioni di terreno come reddito secondario o come proprietà immobiliare, impedisce a quelle poche aziende familiari che vogliono consolidare la conduzione agricola di allargare la superficie coltivata e di aumentare il livello di produttività.
All'inizio degli anni Sessanta anche altri settori dell'agricoltura e dell'allevamento hanno goduto di un'efficace protezione, ma sotto la pressione internazionale, soprattutto degli Stati Uniti, le misure protezionistiche sono state abolite prima sui prodotti ortofrutticoli e man mano su altri prodotti agricoli e, recentemente, anche sull'allevamento.
Per la quantità del pescato, statisticamente il G. è superato da altri paesi, ma è stato sempre al primo posto per quanto riguarda il pesce destinato all'alimentazione. Grande problema costituisce l'esaurimento delle risorse ittiche nella zona economica esclusiva, estesa fino a 200 miglia dalla costa. Per risolvere queste difficoltà e per rispondere all'aumentata domanda del mercato interno, il G. ha cercato di prendere iniziative nel campo della maricoltura e di potenziare le importazioni; inoltre ha stipulato accordi internazionali tendenti a regolamentare l'attività peschereccia e a salvaguardare le risorse ittiche su scala mondiale. Queste soluzioni hanno comportato alcuni inconvenienti, come un serio inquinamento dei mari provocato dall'allevamento di pesci e di molluschi. Circa le trattative internazionali ai fini della conservazione delle riserve ittiche, i vari paesi interessati presentano dati ''scientifici'' talvolta anche contraddittori. Forse in futuro l'importazione di prodotti ittici da altri paesi subirà un notevole aumento; ma, poiché in effetti gli operatori dei paesi esportatori si serviranno di capitali giapponesi, con lo sfruttamento dei pescatori locali, non si potrà certo pensare di cambiare la situazione attuale.
Industrie. - Sin dal periodo dell'industrializzazione, il G. è sempre dipeso grandemente dal mercato estero, sia per il rifornimento delle materie prime sia per la vendita dei manufatti.
Per quanto riguarda le risorse naturali, prima della seconda guerra mondiale il G. poteva disporre di alcune materie prime come il carbone, il ferro grezzo o il rame. A partire dal dopoguerra il paese deve importare quasi tutte le materie prime; la produzione idroelettrica è diminuita sensibilmente (12,7% nel 1988), per essere sostituita dall'energia termoelettrica (63,6%) e nucleare (23,7%). Anche la composizione della produzione industriale è andata cambiando. Prima della seconda guerra mondiale predominava l'industria leggera, soprattutto nell'esportazione di prodotti tessili e miscellanei, mentre dai primi anni Sessanta la produzione dell'industria pesante ha superato quella dell'industria leggera; anche per quanto riguarda le esportazioni, negli stessi anni, i prodotti dell'industria pesante sono stati predominanti. Fra le industrie pesanti, nella seconda metà degli anni Cinquanta e Sessanta lo sviluppo dell'industria chimica, compresa quella petrolchimica, è stato notevole, ma con la crisi del petrolio e le aumentate misure anti-inquinamento questo settore ha progressivamente perduto la sua importanza. Anche la cantieristica e la siderurgia, importanti per l'esportazione industriale, dopo la metà degli anni Settanta hanno perso forza competitiva sui mercati mondiali. Un settore in fortissima espansione è quello dell'industria automobilistica, al quale ha grandemente giovato l'esistenza di un immenso mercato domestico; anche le esportazioni sono rapidamente aumentate, soprattutto dopo la metà degli anni Settanta, a seguito dell'introduzione di sofisticati robot nel ciclo produttivo dell'automobile.
Oltre a questi settori convenzionali dell'industria pesante, il governo giapponese e i leaders del mondo economico recentemente hanno cercato d'intervenire sulla struttura industriale del paese per far fronte al rialzo dello yen, al costo delle materie prime e al pericolo di eccessiva dipendenza dal mercato estero per il rifornimento delle stesse. In una certa misura il G. è riuscito a ottenere buoni risultati: il consumo dell'energia è diminuito dopo la crisi del petrolio e in alcuni settori di alta tecnologia, soprattutto elettronica, il paese ha raggiunto una posizione preminente sul mercato mondiale. Esiste sempre, però, il problema dei costi elevati, soprattutto della manodopera, che fa diminuire la forza competitiva dei prodotti industriali, ed esistono anche i problemi politici ed economici dello squilibrio degli scambi commerciali con alcuni paesi causato dalle eccessive esportazioni da parte giapponese. Per trovare una soluzione a questi problemi, molte compagnie giapponesi cercano investimenti all'estero per la costruzione in loco di fabbriche. Il numero dei lavoratori stranieri in G. è aumentato; questa proporzione, anche se ancora molto inferiore a quella di altri paesi, è già causa di problemi sociali.
Bibl.: Japan in the 1980s, a cura di R. Shiratori, TokyoNew York-San Francisco 1982; The Tsuneta Yano Memorial Society, Nippon: a charted survey of Japan 1988/89, Tokyo 1988; Economic survey of Japan (1987-1988), ivi 1989; Y. Suzuki, Japan's economic performance and international role, ivi 1989; C.L.J. Van der Meer, S. Yamada, Japanese agricolture: a comparative economic analysis, Londra-New York 1990; White papers of Japan (1988-89), Tokyo 1990.
Politica economica e finanziaria. - Nel biennio 1980-81 il G. ha cercato di adeguare la propria economia agli effetti del secondo shock petrolifero del 1979. In particolare, tra il 1978 e il 1980 il saldo di parte corrente è passato da un avanzo di 16,5 miliardi di dollari a un disavanzo di 10,7, mentre il tasso d'inflazione è salito al 7,5%. L'aggiustamento è stato attuato soprattutto tramite l'adozione di politiche finanziarie restrittive che, accompagnate da modesti aumenti salariali, hanno causato un brusco rallentamento della domanda interna e della crescita economica. Quest'ultima è stata peraltro sostenuta dalle esportazioni, il cui rapido sviluppo è stato favorito dall'andamento del tasso di cambio effettivo reale che, nel biennio 1979-80, si è deprezzato di circa il 15%. La strategia del G. ha avuto successo: nel 1981 la bilancia corrente ha registrato un attivo di quasi 5 miliardi di dollari, mentre il tasso d'inflazione è stato riportato al 4,5%. L'aggiustamento è stato altresì ottenuto senza notevoli costi in termini di crescita, che si è mantenuta attorno al 3,5%. Queste tendenze sono state parzialmente invertite nel 1982. L'adozione di politiche monetarie e fiscali più accomodanti ha favorito una ripresa della domanda interna. La componente estera della domanda ha perso invece d'importanza a causa della recessione in atto nel resto del mondo.
Nel triennio 1983-85 si è avuta una fase di sostenuta crescita economica che è stata innescata da una ripresa delle esportazioni, soprattutto verso gli Stati Uniti. Parallelamente, è aumentato rapidamente l'attivo di parte corrente che ha raggiunto circa 50 miliardi di dollari nel 1985. In questo periodo uno dei principali obiettivi del governo è stato quello di ridurre il disavanzo pubblico in quanto, a seguito delle politiche fiscali espansive adottate a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, si era avuta una rapida crescita del debito pubblico. Il disavanzo statale è stato così ridotto da quasi il 4% del PIL nel 1983 a meno dell'1% nel 1985. Grazie in parte alla contenuta dinamica salariale, il tasso d'inflazione è stato mantenuto intorno al 2%.
Le politiche economiche seguite dal G. nella prima metà degli anni Ottanta hanno suscitato critiche a livello internazionale in quanto i forti avanzi di parte corrente del paese hanno costituito un ostacolo al riequilibrio della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti e di alcuni paesi in via di sviluppo. In particolare il G., essendo la seconda potenza economica mondiale, è stato sollecitato dai principali paesi industriali ad assumersi maggiori responsabilità per garantire la crescita del commercio e dell'economia mondiale. Al riguardo, è stato sottolineato che il paese deve fare affidamento principalmente sulla domanda interna come motore della crescita e che deve adottare misure per favorire l'espansione delle importazioni, soprattutto di manufatti. Negli anni successivi le politiche economiche giapponesi sono state pertanto influenzate maggiormente da considerazioni internazionali e dal rilancio del processo di cooperazione economica tra i maggiori paesi industriali, iniziato nel settembre 1985 a seguito degli accordi del Plaza. È dal 1985 che inizia una nuova fase di sviluppo dell'economia giapponese: si passa dalla fase di crescita guidata dalle esportazioni a una nuova fase, tuttora in corso, trainata soprattutto dalla dinamica della domanda interna (pubblica e privata). Tra il 1980 e il 1984, la domanda interna era cresciuta a un tasso annuo pari, in media, a circa il 2,2%; tra il 1985 e il 1990, la domanda interna è cresciuta a un tasso annuo pari, in media, al 5,3%.
Nel periodo 1986-88 si è avuto un riorientamento delle politiche economiche. Nel corso del 1986 si è avuta una flessione dei tassi d'interesse, favorita da quattro successive riduzioni nel tasso ufficiale di sconto che è stato portato dal 5 al 3%. A partire dalla fine dell'anno si è registrata inoltre un'accelerazione del tasso di crescita degli aggregati monetari, dovuta ai massicci interventi a sostegno del dollaro effettuati dalla Banca del Giappone. Anche la politica fiscale è diventata moderatamente espansiva: nel 1987 e nel 1988 sono stati approvati dei pacchetti di spesa che si basavano soprattutto sull'aumento degli investimenti pubblici. Queste politiche hanno stimolato una vigorosa ripresa della domanda interna che ha trascinato la crescita economica. Durante questo triennio il contributo netto del settore estero sullo sviluppo del reddito è risultato invece negativo.
Il forte miglioramento delle ragioni di scambio derivante dalla caduta del prezzo del petrolio verificatasi alla fine del 1985 ha contribuito a sostenere la dinamica della domanda interna ma ha rallentato il processo di aggiustamento dei conti con l'estero. Al riguardo, a seguito del forte apprezzamento del tasso di cambio in termini reali, tra il 1985 e il 1988 le esportazioni in volume sono rimaste pressoché stazionarie, mentre le importazioni in volume sono aumentate di circa un terzo. Tuttavia, anche a causa degli effetti della ''curva J'' derivanti dall'apprezzamento dello yen, in questo periodo l'avanzo corrente è aumentato da 50 a 80 miliardi di dollari.
Nel 1989 sono proseguiti gli andamenti favorevoli emersi nel 1988. L'economia del G. si è sviluppata a ritmi sostenuti (+4,8%), grazie alla crescita degli investimenti e dei consumi interni. Questo ha permesso di ridurre l'avanzo delle partite correnti di oltre 20 miliardi di dollari. Il 1989 è stato un anno caratterizzato da diversi fenomeni di segno negativo, comunque inseriti in un quadro generale che è rimasto largamente positivo. La crescita sia del PIL che della domanda interna è stata meno rapida che nel 1988, ma sempre su livelli ben al di sopra del 1986. Il saldo di parte corrente è stato di circa 57 miliardi di dollari rispetto agli 80 circa del 1988. Per contro il tasso d'inflazione è salito all'1,8%, soprattutto in conseguenza di un sostenuto aumento salariale. L'impegno nella lotta all'inflazione da parte delle autorit'a monetarie ha portato all'aumento del tasso di sconto che spiega, almeno parzialmente, il rallentamento della dinamica della domanda.
Nel 1990, il PIL è cresciuto più che nel 1989 e la disoccupazione si è ulteriormente ridotta. Allo stesso tempo è proseguito l'impegno antinflazionistico delle autorit'a monetarie che hanno promosso ulteriori ritocchi verso l'alto del tasso di sconto; questo, in agosto, raggiungeva il 6%, favorendo così il rafforzamento dello yen che, a sua volta, ha contribuito a un'ulteriore drastica riduzione del saldo corrente, sceso a circa 36 miliardi di dollari.
Il 1991 è stato un altro anno di espansione con un tasso d'inflazione sotto il 3%. La crescita del PIL, avutasi soprattutto nel primo semestre, è stata trainata dai consumi e dalla spesa pubblica che hanno compensato il rallentamento degli investimenti privati. Il saldo corrente è tornato a un livello vicino a quello del 1988. La politica monetaria e creditizia, seppure più rilassata che nel 1990, ha mantenuto un carattere restrittivo. Mentre è continuato l'impegno verso la progressiva riduzione del debito pubblico, la politica fiscale si è orientata a favore di un aumento degli investimenti in infrastrutture.
Storia. - Il 1976 fu per il G. un anno politicamente significativo. Una sentenza della Corte suprema dichiarò incostituzionale la ripartizione dei collegi elettorali che penalizzavano l'elettorato urbano in misura tale da inficiare il principio dell'uguaglianza politica dei cittadini; scoppiò lo scandalo Lockheed, nel quale risultò pesantemente coinvolto l'ex primo ministro K. Tanaka, costretto a dimettersi dal partito; ebbero luogo in dicembre le elezioni generali, in cui per la prima volta il Partito liberal-democratico perse la maggioranza assoluta.
Quest'ultima vicenda, a vent'anni dalla fondazione del partito, non ebbe conseguenze pratiche immediate, perché il recupero di un drappello di indipendenti consentì la ricomposizione della maggioranza. Ma determinò le dimissioni di T. Miki, al quale successe T. Fukuda. Con Fukuda si ebbe apparentemente un ritorno al passato più classico, in un momento in cui il declino del partito di maggioranza appariva destinato ad accentuarsi. In effetti, i risultati delle elezioni politiche seguirono una tendenza già delineatasi nelle elezioni amministrative dei maggiori agglomerati urbani, dove da tempo i candidati delle sinistre unite (o di un singolo partito della sinistra) avevano avuto modo di affermarsi ai danni degli esponenti moderati. Anche nelle elezioni del luglio 1977 per il rinnovo di metà della Camera dei consiglieri, i risultati furono piuttosto modesti per il partito al potere.
Durante il 1978, nella convenzione liberal-democratica, Fukuda ripresentò la propria candidatura alla guida del partito, ma i primi ballottaggi videro in testa M. Ohira, al quale il primo ministro in carica preferì allora cedere il passo, ritirandosi dalla lotta per il primato.
Con Ohira, le elezioni generali dell'ottobre 1979 segnarono una levitazione liberal-democratica in termini di voti, ma con l'ulteriore perdita di un seggio parlamentare. Sette mesi più tardi la tensione sussistente da quasi un decennio all'interno del partito di maggioranza si rivelò nuovamente quando alcune correnti del partito si rifiutarono di votare a favore di Ohira che, di conseguenza, subì un voto di sfiducia (era la prima volta che questo avveniva dal lontano 1953). Ohira indisse allora nuove elezioni anticipate, ma morì improvvisamente appena dieci giorni prima dell'appuntamento con le urne.
È probabile che anche l'emozione per l'improvvisa scomparsa del leader influenzasse l'elettore giapponese consentendo al Partito liberal-democratico di raggiungere il 47,9% dei voti e 284 seggi. A Ohira successe un suo compagno di corrente, Z. Suzuki, uomo politico poco noto, scelto per ragioni di continuità e per evitare che si aprissero tensioni troppo vivaci tra i maggiori candidati alla successione.
Suzuki era dunque il quinto personaggio che raggiungeva il vertice politico del paese in meno di dieci anni. Ma la sua amministrazione non presentò un bilancio particolarmente favorevole: si trattò di un biennio caratterizzato da crescenti tensioni fazionali, da una flessione dello yen nei confronti del dollaro statunitense, dall'accentuarsi delle frizioni economico-commerciali con gli Stati Uniti e con la Comunità europea.
Suzuki venne sostituito nell'ottobre 1982 da Y. Nakasone. Sotto molti riguardi si può far iniziare da questo momento l'ultima scansione decennale della vicenda politica giapponese. La scelta di Nakasone portò al potere un uomo per molti versi all'opposto rispetto al suo predecessore. Egli figurava infatti da moltissimo tempo ai vertici del mondo politico locale ed era particolarmente noto per la sua vivace anche se controversa personalità.
S'identificò con Nakasone una tendenza neo-nazionalista che incarnava il desiderio di superare il ricordo delle responsabilità belliche e l'immagine internazionale del ''gigante economico, nano in politica''. Nakasone, nello specifico momento in cui assunse le massime responsabilità, risultò in qualche modo facilitato dal contesto internazionale: da un lato perché la seconda parte degli anni Settanta aveva visto un'attenuazione dell'impegno statunitense in Asia orientale come conseguenza della conclusione del conflitto vietnamita; dall'altro lato perché l'avvento di R. Reagan alla presidenza USA segnò in tutto il mondo l'inizio di una fase di recupero dell'ideologia moderata.
Sul piano interno, Nakasone apparve anche in grado di sfruttare politicamente il declino delle maggiori forze di opposizione, dopo le speranze che si erano aperte attorno alla metà del decennio precedente. Il Partito comunista risentì delle vicende cinesi e della contrapposizione tra comunisti cinesi e vietnamiti a proposito delle vicende della Cambogia. Il Partito socialista, dal canto suo, risultò attestato agli inizi degli anni Ottanta attorno al 20% dei suffragi, con meno di 100 seggi nella Camera dei deputati. In realtà esso risentì soprattutto della continua tensione tra la sua componente riformista e moderata (appoggiata anche dai maggiori sindacati) e quella più radicale e ideologicamente orientata che non riteneva di dover rinunciare alla propria ispirazione rivoluzionaria e alla definizione di ''partito di massa''.
Già nel 1977 era assurto alla presidenza del Partito socialista I. Asukata che, pur rappresentando la sinistra, si era posto come un rinnovatore aperto a tutte le correnti e maggiormente propenso del suo predecessore ad aprire un dialogo politico con i neobuddhisti del Kōmei tō. Asukata venne in seguito rieletto due volte, ma cedette la propria carica al più moderato M. Ishibashi alla vigilia delle elezioni generali che si svolsero alla fine del 1983, anche perché quelle che avevano avuto luogo nel mese di giugno per il rinnovo di metà della Camera dei consiglieri avevano segnato un'avanzata del partito di governo.
Ma questa volta, nonostante il dinamismo e il ''tono alto'' che caratterizzavano Nakasone, i risultati non furono molto favorevoli. I liberal-democratici raggiunsero soltanto il 45% dei voti e persero, assieme a 36 seggi, la maggioranza assoluta (ancora una volta, per altro, riagguantata con il recupero di un gruppo di indipendenti, e questa volta anche con l'alleanza con un gruppetto di liberali autonomi). Allo stesso tempo, l'opposizione socialista mostrò qualche debole sintomo di ripresa, guadagnando lo 0,5% e ottenendo 112 deputati.
Nonostante la modestia del risultato elettorale, l'anno successivo Nakasone venne rieletto presidente del partito. Era la prima volta che questo avveniva dopo un quindicennio e il fatto indica come la situazione politica fosse mutata rispetto alle incertezze del decennio precedente. L'ipotesi di un avvicendamento di partiti alla guida del paese, che a un certo momento era sembrata abbastanza concreta, sembrò ora perdere gran parte della sua credibilità. La sinistra si trovava in una situazione di crisi in moltissime parti del mondo; e il G., con il suo crescente successo economico, forniva indubbiamente credenziali assai forti alla propria classe dirigente.
Non mancarono d'altro canto argomenti per quanti sottolineavano come alla base della stabilità giapponese fossero rintracciabili anche ragioni meno positive e meno giustificate dall'indubbio successo, ossia il permanere di una mentalità e di una concezione del sociale che risentivano profondamente di condizionamenti di tipo ''feudale''. Al centro di queste argomentazioni è stato posto per lunghissimo tempo l'esempio del ''caso Tanaka'', ossia di un uomo che, nonostante il coinvolgimento in due scandali economici di grandissime dimensioni, non è scomparso dalla scena politica.
Tanaka fu costretto infatti a rinunciare alla presidenza del partito e del governo. Ma persino l'uscita dal Partito liberal-democratico non gli impedì di essere ripetutamente rieletto alla Dieta né di condizionare in modo determinante la nomina di almeno tre successivi primi ministri. Tanaka era un indipendente, ma la sua corrente continuava a essere maggioritaria tra i liberaldemocratici, e lo stesso Nakasone doveva in misura determinante la propria carica al non sottaciuto appoggio del discusso uomo politico. Il definitivo tramonto di Tanaka si verificò non tanto per la conferma delle sue condanne (1983 e 1985) quanto per l'emorragia cerebrale che lo colpì nello stesso 1985.
Il successivo 1986 apparve significativo sotto molteplici riguardi. Dopo che, tre anni prima, era stato parzialmente modificato il sistema elettorale della Camera dei consiglieri, ebbe luogo la rettifica dei collegi elettorali, in ottemperanza alle ingiunzioni della Corte suprema. Ma se la decisione fu favorevole ai partiti di opposizione, i risultati elettorali del luglio confermarono il momento positivo per i liberaldemocratici che raggiunsero il 49,4% dei voti (una punta mai ottenuta dopo il 1963) e ottennero 304 seggi.
Le spese di questa vittoria furono pagate dal Partito socialista, il quale pure, nella sua convenzione del gennaio precedente, aveva fatto proprio un programma moderato e aveva emarginato la Shakaishugi Kyōkai ("Associazione per il socialismo"), ispiratrice dei gruppi più radicali. Ma la conversione al centro risultò non pagante, almeno sul breve periodo: il partito perse due punti percentuali e ben 26 seggi. Ciò indusse alle dimissioni Ishibashi, che venne sostituito da una donna, T. Doi, alla testa del partito. Parallelamente, le reiterate condanne e la grave malattia incrinarono la compattezza della corrente di Tanaka, all'interno della quale rivendicò la propria autonomia politica uno dei personaggi più significativi, N. Takeshita.
L'iniziativa di Takeshita, non poco contrastata dal pur malatissimo Tanaka, s'inserì nella prospettiva della successione a Nakasone ormai non troppo lontana. Nell'autunno 1986, infatti, Nakasone ottenne una seconda conferma, ma solo per la durata di un anno. Durante gli ultimi mesi della sua amministrazione, venne effettuata la privatizzazione delle ferrovie giapponesi e venne proposta, ma rapidamente ritirata, una tassa sul valore aggiunto che avrebbe costituito un fatto nuovo nel panorama fiscale nipponico.
Si aprirono, nello stesso lasso di tempo, contatti tra socialisti e socialdemocratici per un'eventuale unificazione. Nell'autunno 1987, la lotta per la successione venne, per così dire, arbitrata da Nakasone, schierato in modo determinante a favore di Takeshita che il 6 novembre divenne primo ministro. La sagacia e la capacità manovriera dimostrate nella corsa per il primato, nonché l'autorevolezza in materia economica (che nel G. contemporaneo costituisce una chiave privilegiata per chi si trovi nella ''stanza dei bottoni'') fecero supporre che il nuovo leader, nonostante le differenze di personalità rispetto al predecessore, potesse identificarsi con un periodo altrettanto significativo nella vicenda politica del paese. I primi mesi della sua amministrazione furono caratterizzati dalla riproposta e dall'approvazione della tassa sul valore aggiunto e da iniziative per la liberalizzazione in materia di prodotti agricoli. Quest'ultima apparve una misura indubbiamente audace se si pensa all'importanza del protezionismo agricolo per il Partito liberal-democratico.
Ma nel giugno scoppiò improvvisamente un grave scandalo finanziario, che coinvolse direttamente o indirettamente un gran numero di dirigenti politici di primo piano, accusati di aver ricevuto ingenti somme di denaro per facilitare un'impresa giapponese, la Recruit Cosmos. Lo scandalo, che si allargò gradatamente inducendo nel maggio 1988 Takeshita a dimettersi, coinvolse anche i potenziali candidati alla successione e divenne quindi difficile pervenire alla scelta del nuovo primo ministro. Alla fine la scelta cadde sul ministro degli Esteri, S. Uno, che assunse la carica di primo ministro ma, subito dopo, si trovò coinvolto a sua volta in uno scandalo di tipo del tutto diverso, quando una donna lo accusò di averla mantenuta per anni e di aver avuto con lei un comportamento assai poco cavalleresco.
La macroscopica serie di disavventure ebbe gravissime conseguenze elettorali. Il Partito liberal-democratico perse una serie di suppletive e il 23 luglio 1989 subì una disfatta nelle elezioni per il rinnovo di metà della Camera dei consiglieri, dove perse la quasi totalit'a dei seggi in palio. Come conseguenza di ciò, esso si trovò ad avere la maggioranza relativa, ma non quella assoluta; e questa volta lo scarto non fu certo recuperabile con la confluenza di alcuni indipendenti. S. Uno si dimise, assumendosi la responsabilità della sconfitta, e si delineò una situazione di grave complessità politica perché il paese si trovava ad avere due Camere con maggioranze affatto diverse. A breve scadenza furono dunque previste nuove elezioni generali. Nell'agosto 1989 Toshiki Kaifu, esponente della fazione più piccola del Partito liberal-democratico, fu eletto primo ministro oltre che presidente del partito.
Il dibattito sulle ragioni della sconfitta moderata incise direttamente sulla interpretazione del momento politico giapponese alla fine del decennio Ottanta. Quattro furono le ragioni che vennero identificate, con valutazioni diverse sul ruolo che ciascuna poteva aver avuto nel determinare la sconfitta: lo scontento popolare per la tassa sul valore aggiunto, la protesta del mondo dei produttori rurali per l'allentamento del protezionismo nel settore, la reazione ai numerosi scandali (economici o di costume) che avevano coinvolto il mondo liberal-democratico, l'insorgere di una contestazione femminista che avrebbe trovato nella figura della signora Doi e nelle numerose candidature femminili del Partito socialista un acconcio strumento di catalizzazione.
L'ipotesi più verosimile fu naturalmente quella di una convergenza dei diversi motivi e la maggior parte degli osservatori apparve incline a ritenere che i prossimi appuntamenti elettorali avrebbero ridotto sensibilmente la portata dell'episodio del luglio 1989. In effetti, le elezioni del 18 febbraio 1990 per il rinnovo della Camera Bassa registrarono un più consolante risultato per il Partito liberal-democratico che contenne in modo soddisfacente la perdita dei seggi (da 300 a 275) e conservò la maggioranza assoluta. Per altro verso, il nettissimo successo dei socialisti, passati da 85 a 135 deputati, fu in parte vanificato dal negativo risultato degli altri partiti di opposizione (comunisti, neobuddhisti, socialdemocratici) che persero complessivamente un terzo dei loro seggi. Le elezioni amministrative dell'aprile 1991, invece, segnarono complessivamente una ripresa liberal-democratica e una flessione socialista. Kaifu, che aveva presentato senza successo una riforma elettorale volta a ridisegnare le circoscrizioni, introducendo in un certo numero di esse il sistema proporzionale al fine di limitare i conflitti tra le fazioni, fu sostituito nell'ottobre 1991 nella carica di presidente del partito e di primo ministro da Kiichi Miyazawa, ex ministro delle Finanze. In ogni caso, il mutato contesto internazionale determinato dalla crisi dell'Unione Sovietica, dai rivolgimenti nell'Europa orientale, dalla strage di Tien An Men a Pechino, non hanno mancato di avere riverberi indiretti anche sulla situazione politica giapponese, attenuando le ragioni che per tutto il periodo postbellico avevano contribuito a conservare il predominio politico dei liberal-democratici.
La fine degli anni Ottanta segna la conclusione di quella fase che si era aperta nel 1982 con l'avvento di Nakasone. Non può mancare a questo riguardo di essere citato un fatto prevalentemente ma non esclusivamente simbolico: la scomparsa, avvenuta il 7 gennaio 1989, dell'imperatore Hirohito dopo 62 anni di regno, con il conseguente avvento al trono del principe ereditario Akihito e la contestuale sostituzione del ''nome di regno'' di Shōwa con quello di Heisei, che significa "La realizzazione della pace". Il fatto può essere considerato prevalentemente simbolico se si tiene conto della modesta incidenza che il ruolo dell'imperatore ormai gioca nella politica del paese. Ma non è solo simbolico, per il riferimento che la dinastia continua a costituire, almeno per le forze di destra del paese, e per il fatto che il nome di Hirohito è legato inevitabilmente al ricordo dell'autocrazia e dell'espansionismo prebellico.
In effetti, durante i mesi della malattia terminale di Hirohito e nei due anni successivi, durante i quali si dipanarono le complesse cerimonie, religiose e istituzionali insieme, che perfezionarono l'ascesa di Akihito, una serie di dibattiti e di ipotesi si è proposta nel mondo culturale e politico giapponese: dalla ripresa delle polemiche sulle eventuali responsabilità personali del vecchio imperatore negli anni Trenta e Quaranta, ai dibattiti sulla complessa ritualità dei funerali e della successiva incoronazione; questi avrebbero posto delicati problemi di rapporto tra religione e politica, due sfere per le quali la Costituzione prevede una rigida separazione. Né sono mancati coloro che prevedevano violenti rigurgiti tradizionalisti (atti di violenza contro i progressisti, un numero rilevante di suicidi rituali). Ma ben poco di tutto ciò si è effettivamente verificato, a conferma di un sostanziale radicamento dei valori postbellici nel G. di fine secolo.
Nel giugno 1992 il Partito socialista s'impegnò in un durissimo ostruzionismo per evitare che nella Camera dei consiglieri, dove il Partito liberal-democratico non aveva la maggioranza assoluta, passasse la legge proposta dal partito al potere che consentiva l'invio di militari giapponesi all'estero per partecipare a missioni di pace sotto l'egida dell'ONU. Gli oppositori della legge giustificarono la loro scelta richiamandosi al carattere pacifista della Costituzione. La legge fu comunque approvata anche grazie all'accettazione da parte dei liberaldemocratici di alcuni emendamenti proposti dagli altri due partiti di opposizione, i socialdemocratici e i neobuddhisti. A luglio le elezioni per la metà della Camera dei consiglieri videro una schiacciante vittoria dei liberal-democratici i quali, pur non riconquistando la maggioranza assoluta, si aggiudicarono 69 dei 127 seggi in palio. Tale risultato venne spiegato dagli osservatori come una conseguenza della capacità dei liberal-democratici di dividere le opposizioni e dell'errore compiuto dai socialisti nell'opporsi alla legge sull'invio all'estero dei militari anche nel caso di missioni di pace. Altro dato significativo di quelle elezioni fu l'alto numero di astensioni (votò solo il 50,8%), legato probabilmente ai numerosi scandali politici.
Bibl.: Per la cronaca della politica giapponese, v. le riviste Asian Survey, Far Eastern Economic Review, Relazioni Internazionali, e le monografie regolarmente pubblicate dal Gyōsei Mondai Kenkyūjo (Istituto per gli studi dei problemi dell'amministrazione) di Tokyo, ciascuna dedicata a un primo ministro. V. inoltre: P. Beonio Brocchieri, I movimenti politici del Giappone, Roma 1971; F. Mazzei, Il capitalismo giapponese, Napoli 1979; E.F. Vogel, Japan as No. 1, Cambridge (Mass.) 1979; S. Flanagan, K. Steiner, E. Krauss, Political opposition and local politics in Japan, Princeton 1980; M. Kosaka, A history of post-war Japan, Tokyo 1982; F. Gatti, Il fascismo giapponese, Milano 1983; M. Kitanishi, H. Yamada, Gendai Nihon no Seiji ("La politica del Giappone contemporaneo"), Tokyo 1984; H. Baerwald, Party politics in Japan, Boston 1986; Democracy in contemporary Japan, a cura di G. McCormack, Y. Sugimoto, New York-Londra 1986; G. Fodella, Diffusione della tecnologia e organizzazione nello sviluppo economico, Milano 1988; K. Van Wolferen, The enigma of Japanese power, Londra 1988; R. Palmieri, Giappone senza colpa?, Milano 1989; R. Dore, Bisogna prendere il Giappone sul serio: Saggi sulla variet'a dei capitalismi, trad. it., Bologna 1990; K. Van Wolferen, Nelle mani del Giappone, trad. it., Milano 1990; P. Beonio-Brocchieri, Il Giappone: tramonto di una era?, in Asia Major - Un mondo che cambia, a cura di G. Borsa e P. Beonio-Brocchieri, Milano-Bologna 1990; Id., Giappone: le opzioni del successo. Parte prima: Politica, in Asia major 1991. L'altra Asia ai margini della bufera, a cura di P. Beonio-Brocchieri e G. Borsa, ivi 1991.
Letteratura. - All'inizio degli anni Settanta, la scomparsa di due scrittori di grande rilievo come Y. Mishima (1970) e Y. Kawabata (1972), preceduta solo di pochi anni da quella di un altro maestro, J. Tanizaki (1965), ha segnato concretamente la fine di un periodo. Il panorama degli ultimi vent'anni è stato contraddistinto, infatti, da un certo disorientamento: la critica ha sottolineato la mancanza di proposte originali e l'appiattimento di molte tematiche; e ha insistito sulla crisi, anche editoriale, che ha colpito il mondo letterario, sintetizzata nel 1978 dal fallimento di una delle più famose case editrici, la Chikuma shobō. A questa crisi si contrappone vistosamente la sempre maggior prosperità di pubblicazioni commerciali, che mai come in questo periodo hanno potuto contare su un mercato ricco e vivacissimo. Allo stesso tempo, non sono mancate voci pronte a sottolineare la stanchezza dei premi letterari, troppo numerosi e controllati dalle case editrici; e la sterilità dei canali ufficiali della cultura, legati a politiche paternalistiche e a valutazioni conformistiche, basate su modelli estetici ormai superati dai tempi.
Alcuni scrittori, che specialmente nel decennio 1960-70 (ricco di fermenti sociali e segnato anche in G. dalla contestazione studentesca) avevano dato vita a un discorso aspro e provocatorio, accettando talvolta un coinvolgimento con iniziative politiche e sociali, come K. Ōe e K. Abe, hanno prodotto opere di notevole interesse, che tuttavia sono sembrate meno incisive e significative rispetto ai lavori precedenti.
Da segnalare, tra le pubblicazioni più recenti di Abe, Hakobune Sakuramaru ("L'arca Sakura", 1984), che getta nuova luce sul discorso, già affrontato in precedenza dall'autore, dell'isolamento dell'individuo e dell'impossibilità dei rapporti sociali. Ōe, a sua volta, con Atarashii hito yo mezameyo ("Aprite gli occhi, uomini nuovi!", 1983) riprende temi già da lui esplorati, ma li ricompone in un'opera ambiziosa e complessa, che fa aperto riferimento alle poesie di W. Blake, da cui l'autore giapponese sembra aver tratto ispirazione.
La corrente principale della narrativa ha dato l'impressione di voler limitare i propri orizzonti alla vita quotidiana, accentuando le connotazioni d'instabilità, ansia e insicurezza dell'individuo. Caratteristiche di molti scrittori apparsi in questo periodo e che sono stati definiti ''la generazione introversa'' (naikō no sedai), sono il ripiegamento su se stessi, il rifiuto di ogni ideologia definita, l'insistenza posta su piccoli drammi che riflettono, come un microcosmo, squilibri e disagi più generali. Esponenti principali di questa corrente sono Y. Furui (n. 1937) e S. Kuroi (n. 1932). Il primo è autore di Yōko (1970), Onnatachi no ie ("La casa delle donne", 1977) e, più recentemente, Asagao ("I convolvoli", 1983), dove analizza con procedimenti sperimentali i processi interiori dei protagonisti, in un continuo bilanciarsi fra coscienza della realtà, immaginazione e follia; del secondo, Jikan ("Il tempo", 1969) e Gogatsu no junreki ("Itinerario di maggio", 1977) sono rivolti all'esame dell'individuo chiuso nel meccanismo delle enormi ditte entro cui lavora, mentre un'opera successiva, Gunsei ("La colonia", 1984), traccia i minuti dettagli della vita di quattro famiglie vicine di casa, nel tentativo di ritrarre la vita urbana odierna, con tutte le sue paure, ansie e frustrazioni.
Questo panorama è stato animato dallo sporadico affermarsi di giovani scrittori, il cui successo, anche se spesso recepito con diffidenza dalla critica per le sue implicazioni scandalistiche o come segno della ''volgarizzazione'' della letteratura, ha ottenuto un'ampia risposta da parte del pubblico e tutt'oggi sembra confermato. Tale è il caso di R. Murakami (n. 1952), esordiente nel 1976 con Kagiri naku tōmei chikai burū ("Un blu infinito quasi trasparente"). Ambientato in un quartiere di periferia confinante con una base militare americana, il racconto descrive i rapporti tra i giovani giapponesi e i loro coetanei occidentali, con ampi riferimenti a vicende di sesso e droga, e procedendo senza un intreccio definito attraverso una prosa ritmica e incalzante che trasforma in immagini letterarie sensazioni fisiche. Ancora più clamoroso il caso di J. Kara (n. 1940), già affermato scrittore di teatro, che nel 1983 ha ottenuto uno dei principali riconoscimenti della critica (il premio Akutagawa riservato a scrittori esordienti) con un singolare romanzo, Sagawakun kara no tegami ("Una lettera dall'amico Sagawa", 1983; trad. it., L'adorazione, 1983), tratto da un fatto di cronaca e basato su una storia d'amore, follia e cannibalismo.
Fra gli scrittori più apprezzati dalle giovani generazioni, occorre inoltre ricordare H. Murakami (n. 1949), autore nel 1979 di Kaze no uta wo kike ("Ascolta la canzone del vento"), a cui hanno fatto seguito 1973nen no pinbōru ("Pinball del 1973", 1980) e, più recentemente, Sekai no owari to Hādoboirudo Wandārando ("La fine del mondo e Hardboild Wanderland", 1985) e Noruuei no mori ("Il bosco norvegese", 1986). Queste opere hanno avuto eco immediata fra i lettori, anche se non sono mancate voci di critica, che sottolineano l'incapacità dello scrittore di offrire nuove proposte in grado di riorientare gli orizzonti culturali giapponesi, e vedono in lui un atteggiamento di vita sostanzialmente passivo, pronto ad accettare acriticamente i modelli offerti dalla società attuale, prospera e consumistica.
Molto interesse desta inoltre il ''fenomeno'' costituito dalla scrittrice B. Yoshimoto (n. 1964), che si è imposta clamorosamente come una delle voci più originali e vivaci delle giovani generazioni, ed è autrice di una serie di romanzi e racconti − Tsugumi (1988), Kitchen (1988), Shirakawa yofune ("Sonno profondo", 1989), e N. P. (1990) − entrati tutti nelle classifiche dei best sellers.
Più rispettosa dei canoni tradizionali della prosa giapponese è l'opera di altre scrittrici emerse sulla scena letteraria negli ultimi anni, che hanno saputo dare un loro contributo di originalità e ricchezza interpretativa a una letteratura ampiamente autobiografica e intimistica. Tale è il caso di Y. Tsushima (n. 1947), autrice di Chōji ("Il figlio della fortuna", 1977), Hikari no ryōbun ("Il dominio della luce", 1979), Danmari ichi ("Il mercato del silenzio", 1984), tutti volti a esaminare la condizione femminile, la difficoltà nel raggiungere un equilibrio e una maturità spirituale rifiutando il ruolo di dipendenza dalla famiglia e dall'uomo, i problemi di un inserimento da parte della donna in una società che ancora le nega un ruolo di piena autonomia.
Vicini come soggetto, anche se dotati di una minore incisività, appaiono i racconti di A. Hikari (n. 1943), che riesaminano il tema di una coscienza femminile più matura e consapevole delle proprie scelte.
Le sue prime opere sono Juka no kazoku ("La famiglia sotto l'albero", 1983) e Yukkuri Tōkyō joshi marason ("La lenta maratona delle ragazze di Tokyo", 1984). Di qualche anno più giovane è M. Masuda, che ha ottenuto buoni riconoscimenti con il suo Shinguru seru ("Cellula isolata", 1986), dove il termine, tratto dalle scienze biologiche (le cellule isolate a scopo di esperimento che tendono a raccogliersi in piccoli gruppi per poter sopravvivere), diventa una metafora attraverso cui l'autrice tenta di cogliere l'essenza dei rapporti umani. La presenza di molte scrittrici sulla scena letteraria si pone in diretta continuazione di tutta una pagina di letteratura femminile che ha conosciuto una straordinaria fioritura soprattutto a partire dagli anni del dopoguerra, annoverando nomi famosi come quello di F. Enchi (1905-1986) e di Y. Nogami.
Quest'ultima, morta quasi centenaria nel 1985, ha lasciato nel suo ultimo romanzo, Mori ("Il bosco"), un avvincente ritratto della società e della vita giapponese dei primi anni del secolo.
Nel campo del teatro, la prematura scomparsa di S. Terayama (1935-1983), che è stato l'esponente più radicale della ''rivoluzione totale'' del teatro proposta dalle avanguardie a partire dagli anni Sessanta, ha lasciato un vuoto solo in parte colmato da altri scrittori, come J. Kara o K. Tsuka, che tuttavia recentemente sembrano aver scelto strade diverse, orientandosi verso la narrativa. La poesia ha registrato l'improvviso successo di una giovane scrittrice, M. Tawara (n. 1962), autrice di Sarada kinenbi ("L'anniversario dell'insalata") divenuto subito un best seller con più di due milioni di copie vendute nel 1986. Si tratta di una raccolta di poesie brevi (tanka), la forma poetica più tradizionale e celebrata della letteratura d'arte giapponese. Ellittica, immediata e allusiva, secondo le regole ''classiche'', la poesia di Tawara rimane fedele, nello spirito se non nella lettera, a un tipo di poesia lirica, a cui tuttavia il riferimento alla realtà attuale conferisce nuova freschezza. Innovativo è anche il lessico, che fa ampio uso di forme colloquiali e inserisce innumerevoli parole di derivazione angloamericana. Sarada kinenbi è stato considerato un ulteriore passo avanti verso il rinnovamento del tanka, al punto da far avvicinare il nome della sua autrice a quello della più famosa poetessa del Novecento, A. Yosano (1878-1942).
Bibl.: S. Kato, A history of Japanese literature. The modern years, trad. ingl., TokyoNew York-San Francisco 1983; D. Keene, Dawn to the West. Japanese literature in the modern era, New York 1984; Japanese Literature Today, nuova serie, 1976-.
Arte. - Il panorama dell'arte d'avanguardia giapponese nei primi anni Sessanta era stato pressoché dominato dal gruppo Gutai, generato dall'atmosfera informale degli anni Cinquanta, e, nel decennio successivo, dal Monoha, che può essere considerato come una forma d'arte concettuale giapponese. Maturando una diversità rispetto all'Occidente, ambedue i gruppi sono riusciti a raggiungere l'originalità che era mancata nell'arte moderna giapponese dal periodo Meiji in poi.
Analizzando l'arte degli anni Ottanta, non si può fare a meno di constatare come la poesia degli oggetti lasciatici dal Gutai e le sue performances abbiano segnato enormemente gli sviluppi dell'arte giapponese successiva. Allo stesso modo, l'interesse per i materiali presente nelle ricerche del Monoha è rimasto vivo nelle nuove e numerose tendenze apparse in questi anni.
Nell'arte giapponese successiva al Monoha l'individualità negli artisti sembra essersi rafforzata e l'attività artistica incentrata sui gruppi è quasi scomparsa. Questo è in parte dovuto al senso d'isolamento e d'indifferenza fra gli individui presente nell'odierna società giapponese.
Negli anni Sessanta è arrivata dall'Occidente la New Painting, ma nonostante l'abbondante informazione che l'ha accompagnata, in G. non è diventata una tendenza dominante. Vi ha aderito solo un numero ristretto di artisti, tra cui T. Yokō e S. Otake; inoltre si è esaurita in breve tempo. A questo ha certamente contribuito la mancanza di un critico che l'appoggiasse e la portasse alla ribalta, ma la causa principale va attribuita al fatto che in un paese come il G., dove l'avanguardia era sempre stata considerata inaccessibile alla massa, la New Painting non ha avuto ragione di apparire, come in Europa e in America, quale nuova espressione artistica del mondo degli intellettuali. Degno di speciale menzione è piuttosto il fatto che l'arte, con la progressiva penetrazione nella società di massa, è venuta a invadere il mondo della grafica e delle immagini, e spesso a proporsi nel campo dei mass media. È questo un fenomeno sostenuto soprattutto dalle generazioni più giovani.
Nell'ambito dell'avanguardia sembrano non essere ancora giunte a esaurimento le ricerche indirizzate all'analisi delle relazioni tra materiali e immagini; in particolare la tendenza a modellare nuovi spazi usando il legno, la carta, le fibre tessili e altri materiali per tradizione presenti nella vita quotidiana dei Giapponesi, continua ad attirare l'attenzione non solo di artisti attivi ormai dagli anni Cinquanta, ma anche di numerosi giovani. Tra questi, T. Kawamata e T. Hoshina sono stati i primi, all'inizio degli anni Ottanta, a esprimersi con installazioni; questa tendenza si è poi rafforzata verso il 1984-85. In questa linea hanno raggiunto buoni risultati Y. Kitatsuji, Y. Kitayama, T. Endō, C. Senzaki e K. Kenmochi.
Anche nella seconda metà degli anni Ottanta è continuata un'ampia ricerca e sperimentazione attraverso l'uso di svariati materiali, ed è aumentato l'interesse per le opere tridimensionali che, poste all'interno di uno spazio, lo modellano rimanendo al tempo stesso indipendenti da esso. In questa direzione operano artisti che fin dagli anni Settanta sono venuti svolgendo un ottimo lavoro quali, per es., N. Haraguchi e I. Wakabayashi che lavorano col ferro; I. Kōshō che usa la ceramica; K. Kiyomizu, Y. Iida e H. Yasuda che usano l'acciaio; N. Hikosaka, K. Uematsu, Y. Saito e S. Toya che si esprimono col legno; H. Nagasawa, T. Tuchiya, S. Muraoka, K. Okazaki, K. Enokura e K. Yoshida che usano materiali assortiti; e ancora T. Kudō, Y. Kusama e U. Shinohara che attraverso l'uso di fibre tessili realizzano opere pop. In relazione alle singole personalità e ai materiali usati, l'aspetto delle opere realizzate in questo ambito è estremamente vario.
Fra gli artisti che svolgono la propria ricerca nel campo della pittura, accanto ai nomi di N. Nakanishi, S. Arakawa, K. Usami, U Fan Lee, K. Hori e J. Takamatsu, vanno ricordati T. Tatsuno, N. Sakaguchi e S. Watanabe, appartenenti a una generazione più giovane, fino a giungere a F. Masuda. Inoltre, come artisti d'immagini non si possono dimenticare K. Yamaguchi, K. Yamamoto, F. Nakaya, K. Nakajima e Y. Kawaguchi che lavorano nel campo della videoarte e delle installazioni video.
La tesi, sostenuta soprattutto da parte degli stranieri, che nelle opere degli artisti giapponesi deve vivere la tradizione orientale, sta perdendo credito. Questa richiesta viene recepita come sconveniente e in quanto tale respinta in particolare dagli artisti che operano nell'ambito dell'avanguardia; tuttavia essi non dovrebbero aver ragione di mostrare una simile disapprovazione perché, di fatto, la loro natura di giapponesi si riflette in modo inconscio nelle opere.
Un'emotività prettamente giapponese e un senso dello spazio diverso da quello occidentale sono infatti visibili anche nelle creazioni di numerosi artisti d'avanguardia. A caratterizzare in modo originale l'arte giapponese di oggi sembra essere il tema della necessità di ripristinare un rapporto tra uomo e natura, come conseguenza dello sviluppo tecnologico e della crescita economica degli ultimi anni. A questo si è congiunta la tendenza internazionale del postmoderno, e sono numerosi gli artisti che associano al proprio lavoro una sorta di primitivismo e un carattere kitsch: basta citare i nomi di K. Ueno, N. Itō, H. Kamo e N. Yasuda.
Per concludere, si ricordano K. Funakoshi e S. Toya, due dei tre artisti che hanno rappresentato il G. alla Biennale di Venezia del 1988. Il primo è uno scultore figurativo che esprime nelle sue opere la malinconia e le emozioni semplici della gente che vive nelle città di oggi; Toya modella forme misteriose, riponendo una sorta di divinità animistiche nelle masse di alberi naturali; infine T. Miyajima, presente nella sezione ''Aperto 88'' della stessa Biennale veneziana, è un artista che usando l'alta tecnologia crea un mondo estremamente progredito, che si esprime nello scatto dei numeri. Le opere di questi tre giovani artisti costituiscono già oggi un modello di quella che sarà negli anni Novanta l'avanguardia giapponese. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Art in Japan Today 1970-1983, a cura di Y. Nakahara e T. Minemura, Tokyo 1984; Reconstruction, Avanguard Art in Japan 1945-1965, Catalogo della mostra, a cura di D. Elliotti e K. Kaido, Museum of Modern Art, Oxford 1985; Figurative Art in Japan 1873-1984, Catalogo della mostra, a cura di H. Takumi, Tokyo 1985; Giappone Avanguardia del Futuro, Catalogo della mostra di Genova, Milano 1985; Japon des Avant Gardes, Catalogo della mostra, Parigi 1986; GUTAI, Catalogo della mostra di Madrid e Belgrado, Tokyo 1986; V. Fagone, L'Arte del Nuovo Giappone, in Contemporanea, 1988, pp. 86-97; MONOHA, Catalogo della mostra, Museo laboratorio di Arte contemporanea dell'università degli Studi di Roma ''La Sapienza'', Roma 1988; M. Corgnati, Arte in Giappone, in Flash Art, 146, 1988.
Architettura. - A partire dagli anni Settanta, e più incisivamente dopo gli anni Ottanta, nella ''megalopoli del Tokaido'' (area Tokyo-Yokohama-Kyoto, ecc.) si modificano i rapporti insediativi precedentemente instauratisi tra poli maggiori e corrispettive aree suburbane. Il diffondersi di sistemi di comunicazione a grande velocità (quali le autostrade e soprattutto i treni Shinkansen) e l'infittirsi delle reti di interazione tra i diversi settori dei servizi del terziario, ha spinto la popolazione a concentrarsi ulteriormente nelle aree più densamente urbanizzate, a scapito dei già contratti centri minori, innescando, nello stesso tempo, la tendenza degli abitanti delle aree a forte urbanizzazione ad allontanarsi dai poli principali (in diminuzione endemica) e a stabilirsi di preferenza nelle corrispettive aree suburbane laddove i costi insediativi e di vita risultavano evidentemente minori. L'insieme di questi fenomeni evidenzia la profonda trasformazione intervenuta nel tessuto delle città giapponesi, e la conseguente sempre più estesa destrutturazione delle parti sopravvissute del loro tessuto storico. Emblematico e significativo il caso di Kyoto (la maggiore tra le città di origine antica), ove si è posto su larga scala il tema, sostanzialmente nuovo per la cultura giapponese, di predisporre accurati programmi di restauro urbano per arginare il processo destrutturante causato dallo sviluppo urbano degli ultimi decenni a impronta e matrice occidentale. Il rapporto tra modelli urbanistico-architettonici occidentali e nuova architettura giapponese è peraltro al centro del dibattito critico fin dalla ricostruzione postbellica degli anni Cinquanta.
Due diverse posizioni culturali e professionali appaiono riconoscibili: contrariamente alla situazione avutasi fino agli anni Settanta, non è infatti possibile descrivere oggi in modo unitario né il quadro delle ricerche ed esperienze in atto, né, più in generale, il ruolo dell'architettura giapponese contemporanea entro il più ampio scenario della cultura architettonica internazionale.
Secondo i critici occidentali l'influenza risulterebbe a senso unico e rivelerebbe il grado di sudditanza della nuova architettura giapponese rispetto a quella euro-americana. Al contrario la critica giapponese sottolinea che le tematiche e i linguaggi di matrice occidentale vengono filtrati da ricerche autonome, condotte lungo il duplice crinale dell'autoctona percezione psicologistica dello spazio e, soprattutto, della presa di coscienza del differente processo di formazione della città giapponese a fronte di quella occidentale. Le città nipponiche si sono infatti generalmente configurate in modo discontinuo con improvvisi accrescimenti e ricorrenti catastrofi (naturali e no) e in base a una concezione introversa dello spazio abitativo (tipologie, e conseguenti modelli di aggregazione, proiettati verso l'interno dei lotti e chiusi verso strada) contro l'opposta condizione e caratteristica delle città occidentali moderne. Sono appunto questi i termini della dialettica che traversa e problematizza tutta l'architettura giapponese attuale.
Occasione e linea di demarcazione tra le due tendenze va senz'altro considerata la vicenda dell'Esposizione Universale di Osaka del 1970, un evento che ha dato luogo a numerose contestazioni da parte di élites culturali e di gruppi studenteschi con notevoli riflessi anche politici. A partire da quel momento risultano così differenziate anche le posizioni degli architetti giapponesi relativamente al tipo di committenze, di incarichi e di canali editoriali (significativa è anche la nascita di nuove riviste di architettura). Mentre alcuni architetti figurano sulla scena dei grandi incarichi mondiali, altri risultano più impegnati nelle problematiche e nell'analisi dei fermenti localmente connessi con la nuova realtà sociale ed economica di un G. assurto a primaria potenza economico-tecnologico-finanziaria del mondo. Principale esponente del primo gruppo rimane tuttora K. Tange grazie alle esperienze che lo hanno posto all'attenzione mondiale (dagli anni Cinquanta in poi) per la capacità di coniugare i componenti di un'estetica razionalistico-lecorbusieriana con le percezioni psicologistiche della spazialità giapponese tradizionale, nonché per le sue proposte in tema di megastrutture urbane.
Tange è stato ed è attualmente impegnato in incarichi architettonici e urbanistici in tutte le parti del mondo, compresi i paesi in via di sviluppo. Tra le numerosissime opere si segnalano (dopo il 1970) il piano per la città di Baltimora (1972-75), il piano per il distretto fieristico di Bologna (1975), il progetto per il centro direzionale di Napoli (1980), l'ambasciata di Turchia a Tokyo (1973-77), il Terminal aereo all'aeroporto del Kuwait (1979), il complesso dei palazzi reali di Gedda (1977-82), la sede della Fondazione Re Feisal a Riyāḍ (1976-82), il Sogetsu Art Center di Tokyo (1973), lo Hanae Mori Building di Tokyo (1976-78), l'albergo Akasaka Prince (delle mille stanze) a Tokyo, il Museo di Storia della Prefettura di Himeji (1984), l'incarico recentissimo per lo studio del centro direzionale di Roma, una lunga serie di progetti per la città di Singapore, progetti in Iran, in Arabia Saudita (una tendopoli per la Mecca), ecc.
La seconda linea di ricerche, che si è appunto precisata dopo gli eventi del 1970, viene in genere riferita all'ambito della cosiddetta architettura ''postmoderna''.
Esponenti principali di questa tendenza, che fa eco a esperienze soprattutto americane (referenti R. Venturi, P. Eisenmann, M. Graves, ecc.), sono A. Isozaki (già collaboratore di Tange), Y. Watanabe, F. Maki, T. Ando. Più recentemente si vanno ponendo in luce, su posizioni analoghe, Takamatsu, Komiyama, Kitagawara. Le loro opere (in prevalenza edifici commerciali, sedi amministrative, club sportivi, abitazioni private, ecc.) sono caratterizzate da estrema varietà e spregiudicatezza di linguaggi. Più bricolage che selezione tra formule linguistiche diverse (ma anche, come nel caso di Ando, sensibilizzate alla riflessione sulla spazialità introversa, e, come in talune opere di Isozaki, ad archetipi formali tradizionali), le opere hanno in comune la tendenza a trasformare in scelta morfologica i temi e i simboli del tecnologismo edilizio elaborati fino a una sorta di industrial vernacular (R. Miyake) o di ''tecnoestetica'' (M. F. Ross), ove, pertanto, entrano a pieno titolo anche i temi del linguaggio pubblicitario e delle componenti effimere dei sistemi d'illuminazione artificiale assunti come ''materiale'' dell'architettura. Ne conseguono risultati diversi: citazioni manieristiche di varia matrice (anche, in opere di Isozaki, in chiave eclettico-rinascimentale), richiami alle suggestioni stilistiche dei prodotti dello styling industriale e così via. Da citare, come rappresentativi di questa tendenza: il Museo d'arte a Kitakyushu, il Fujimi Country Clubhouse (1972-74), la Libreria Centrale della città di Kitakyushu (1972-75), la Casa Yano a Kawasaki (1972-75), la Casa Hayashi (1978) tra le opere di Isozaki; le case ad appartamenti di Tokyo (1967-78), l'università di Tsukuba (1974), l'Aquarium a Okinawa (1975), il centro culturale privato Spiral e il Palazzo dello sport a Fujisawa (1980-85), l'ambasciata di Danimarca a Tokyo (1979), il museo d'arte moderna di Kyoto (1983-86) tra quelle di Maki; il Time's Building a Kyoto (1984) e l'edificio Festival in Naha (1984) di Ando. Su posizioni intermedie si colloca l'opera di S. Otani che tende a trasportare in chiave costruttivista e di ''brutalismo'' (uso espressionistico del cemento armato a vista) le matrici costruttive desunte dalla tradizione edificatoria nipponica (per es. i templi di Ise). In questo quadro vanno pure ricordati sia l'International Festival Hall di Kyoto (1966) sia il complesso abitativo di edilizia pubblica Kawaramachi a Kawasaki (1974). Vedi tav. f.t.
Bibl.: M. F. Ross, Beyond metabolism: the new Japanese architecture, New York 1978; Geography of Japan, Tokyo 1980; GA Document. Japan, 15 (dicembre 1986); F. Mazzei, La città giapponese, in Modelli di città, a cura di P. Rossi, Torino 1987, pp. 219-20; R. Miyake, Adventure of Japanese new generation, in JA. The Japan Architect, 357-62 (1987); Nippon. A charted survey of Japan, (s.l.) 1987-88. Per i singoli architetti: su K. Tange: JA. The Japan Architect, 234 (agosto-settembre 1976), e 267-68 (agosto 1979); H. R. Von der Mühl, Kenzo Tange, Bologna 1983; SD. Space Design, 228 (settembre 1983). Su A. Isozaki: Ph. Drew, The architecture of Arata Isozaki, Londra-Toronto-Sydney-New York 1982; B. Barattucci, B. Di Russo, Arata Isozaki. Architetture 1959-1982, Roma 1983. Su F. Maki: S. Salat, Fumihiko Maki. Une poétique de la fragmentation, Milano 1988; Casabella, 544 (marzo 1988) e 546 (maggio 1988). Su T. Ando, Casabella, 442 (aprile 1976), 522 (marzo 1986) e 545 (aprile 1988).
Musica. - La musica occidentale si diffuse in G. già agli inizi del 20° secolo, soprattutto attraverso l'influenza della scuola tedesca e di quella francese. D'importanza dominante per tutta la prima metà del Novecento, e ancora − seppure in forme diverse − nei primi anni del dopoguerra, la cosiddetta ''scuola tedesca'' ebbe i suoi primi rappresentanti in un gruppo di compositori che avevano compiuto i loro studi alla Hochschule für Musik di Berlino. Tra i primi occorre ricordare K. Yamada (1886-1965), che fu a Berlino tra il 1909 e il 1913, e il più giovane S. Moroi (n. 1903), che studiò in Germania tra il 1932 e il 1934. Entrambi questi autori furono particolarmente attenti a introdurre nelle loro opere la forma sinfonica, e soprattutto Yamada che ne favorì la diffusione nel suo paese anche attraverso la sua attività di direttore d'orchestra. Non prima degli anni Venti invece si ebbero in G. compositori di formazione francese, come K. Komatsu (a Parigi tra il 1919 e il 1922) e T. Onuma (che studiò in Francia tra il 1925 e il 1927), allievi entrambi di d'Indy alla Schola Cantorum parigina. Il vero iniziatore della ''scuola francese'' fu tuttavia T. Ikenouchi (n. 1908), il primo compositore giapponese a iscriversi al Conservatorio di Parigi (1927-33). Suoi allievi sono stati A. Yashiro, M. Moroi e A. Miyoshi.
Questi primi contatti con la musica occidentale provocarono come risposta il contemporaneo sorgere di una ''scuola nazionale'', che tese a realizzare una prima sintesi tra i principi dell'armonia occidentale e i caratteri della melodia giapponese, cercando in tal senso d'individuare una forma rinnovata di stile nazionale.
A questo indirizzo, suscitato intorno agli anni Trenta dal compositore russo A. Čerepnin, si richiamarono in particolare due allievi di quest'ultimo, Y. Kiyose (n. 1900) e A. Ifikube (n. 1914), alla cui scuola peraltro si sono formati non pochi dei principali rappresentanti della musica giapponese contemporanea.
Nel secondo dopoguerra, una maggiore consapevolezza dell'effettiva diversità tra la tradizione musicale asiatica e quella occidentale portò alcuni giovani compositori a un atteggiamento generalmente critico verso forme concilianti che si erano rivelate in gran parte artificiose, ponendo in tal modo le premesse per un confronto più consapevole e fruttuoso con la musica europea.
La cosiddetta ''seconda scuola nazionale'' fu attenta in particolare alle nuove possibilità che gli strumenti della tradizione musicale giapponese offrivano in combinazione con i procedimenti compositivi d'ispirazione occidentale. Già Y. Matsudaira (n. 1907) si trovò a sperimentare l'uso della tecnica dodecafonica nello stile tradizionale Gagaku. Nel 1947 fondò, assieme a Kiyose, il gruppo Shin Sakkyokuha Kyo-kai. Ma fu soprattutto M. Mamiya (n. 1929) a sperimentare nelle sue composizioni la combinazione di strumenti tradizionali ed europei, sostituendo peraltro alla tradizionale melodia pentatonica i canoni dell'armonia occidentale. Ancora all'uso della tecnica dodecafonica, particolarmente diffuso alla metà degli anni Cinquanta, si dedicò Y. Irino (n. 1921), fondatore già nel 1946 di un gruppo d'avanguardia, il Shinsei Kai, assieme a M. Shibata e K. Toda.
Maggiormente legato agli influssi delle avanguardie europee del secondo dopoguerra, invece, fu un gruppo di compositori − per altro su posizioni estetiche non immediatamente assimilabili − che cominciò ad affermarsi a partire dai primi anni Sessanta.
Tra questi occorre ricordare anzitutto M. Moroi (n. 1930), il primo compositore giapponese a occuparsi in modo costante di musica elettronica, lavorando presso lo studio della Radio giapponese (per la quale ha composto diverse opere) fin dal 1956, all'indomani di un suo viaggio di studi in Germania. Alla musica elettronica si è dedicato anche, ma in misura minore, T. Mayuzumi (n. 1929), fondatore nel 1953 del gruppo di avanguardia San-ni no kai ("Gruppo dei Tre"), con I. Dan e Y. Akutagawa, assieme ai quali ha cercato di ricollocare la tradizione musicale del suo paese nel contesto più proprio della cultura asiatica.
In posizione in qualche modo antitetica a quella di Moroi si colloca l'opera di T. Takemitsu (n. 1930), allievo di Kiyose, il primo che abbia introdotto la musica concreta in G. lavorando anch'egli presso lo Studio di musica elettronica della Radio giapponese. Sulla musica elettronica hanno inoltre lavorato S. Matsushita (n. 1923) e A. Miyoshi (n. 1933).
Con Moroi e Takemitsu la musica giapponese si è ormai imposta a livello internazionale, contribuendo con propri contributi alla ricerca delle avanguardie occidentali. Della generazione più giovane, sempre attenta alla valorizzazione delle proprie tradizioni, pur nel quadro di una diffusa occidentalizzazione, si possono infine ricordare T. Noda (n. 1940) e S. Ikebe (n. 1943).
Bibl.: M. Moroi, Elektronische und konkrete Musik in Japan, in Melos, 1962, pp. 49-53; E. Harich-Schneider, A history of Japanese music, Londra 1973; P. H. Nordgren, Neue Japanische Musik, in Neue Zeitschrift für Musik, 1973, pp. 91-94; W. Suppan, H. Sakanishi, Musikforschung in und für Japan: Neue japanische Musik, in Acta Musicologica, 1982, pp. 122-23; E. Kasaba, Ravel au Japon. Notes sur la recéption de sa musique, in Revue Internationale de Musique Française, 1987, pp. 98-107.
Cinema. - Tra il 1897 e il 1899 in G. vennero girati i primi documentari per le strade di Tokyo e Kyoto. Le prime sale di proiezione furono costruite qualche anno più tardi, così come gli studi, a partire dal 1908. I film girati nei primi anni del muto erano nella quasi totalità ispirati al teatro kabuki, e, come vuole la tradizione di questa forma di rappresentazione, anche sullo schermo erano chiamati a interpretare tutti i ruoli esclusivamente attori di sesso maschile. Tuttavia ben presto anche attrici faranno la loro comparsa sullo schermo: nel 1919 una delle più famose vedettes del teatro giapponese, H. Hanyagi, recitò in Shinzan no otome di N. Kerivama.
Ad accompagnare le proiezioni in questi anni era uno speaker che in sala commentava l'azione e leggeva i sottotitoli, aiutando il pubblico per lo più analfabeta a seguire le vicende. Tali commentatori, chiamati benshi, influenzarono pesantemente le scelte produttive, spingendo verso la realizzazione di opere legate alla tradizione giapponese. Tuttavia, nonostante la loro opposizione, a partire dal 1920 il cinema nipponico abbandonò le fonti letterarie e teatrali nazionali per guardare ai modelli cinematografici hollywoodiani. Dopo la distruzione dell'industria cinematografica giapponese causata dal terremoto di Tokyo del 1923, cuore della produzione divenne Kyoto, dove sorgevano già alcuni studi. Il cinema giapponese conobbe allora un momento di enorme sviluppo, espresso da una parte dall'affacciarsi sulla scena di grandi autori − T. Kinugasa, H. Gosho, M. Naruse, K. Mizoguchi − e dall'altra dall'affermarsi di un cinema di genere all'interno del quale l'industria troverà sempre negli anni a venire una garanzia di forza economica. La stagione favorevole durò per quasi tutti gli anni Trenta e vide gli esordi, oltre che dei registi citati, anche di autori meno universalmente noti e pure di grande rilievo quali H. Shinizu, Y. Shimazu, S. Yamanaka, T. Ishida, T. Uchida. Dopo il 1937 e l'invasione della Cina da parte del G., il cinema operò dal punto di vista delle tematiche una brusca inversione di tendenza, sostituendo agli afflati poetici, alle introspezioni intimiste, ai tormenti drammatici, la rigidità e la durezza dei temi militari. In questo periodo infatti gli autori subirono continuamente pressioni affinché si occupassero delle vicende politiche del paese, esaltando lo spirito nazionale e i valori della tradizione.
La produzione d'ispirazione militare raggiunse il culmine a metà degli anni Quaranta, quando anche i registi attenti a tutt'altro tipo di problematiche, per poter lavorare, si vedranno costretti a ricorrere a soggetti di carattere storico. Emblematica l'attività di Mizoguchi, oscillante in questi anni tra la ricostruzione storica, Danjuro Sandai ("Tre generazioni di Danjuro", 1944), e il racconto biografico Miyamoto Musashi (1946). Subito dopo la guerra peraltro la produzione del regista tornerà a essere caratterizzata da un realismo segnato da forti accenti poetici, che trova modo di esternarsi mirabilmente soprattutto in opere dedicate a dolorose figure di donna quali Saikaku ichidai onna ("Vita di O-Haru, donna galante", 1952) e Sanshō Dayū ("L'intendente Sanshō", 1954).
Gli anni Cinquanta si aprono all'insegna del riconoscimento internazionale grazie a un film davvero rivoluzionario: Rasho-Mon, di A. Kurosawa. Attivo fin dal 1943, Kurosawa con la storia violenta e ambigua di una violenza carnale perpetrata ai danni di una giovane donna e raccontata di volta in volta secondo lo sguardo del violentatore, della vittima e del marito di lei, conquista nel 1951 a Venezia il Leone d'oro, imponendo il cinema giapponese all'attenzione del mondo. Sull'onda del successo di Kurosawa per tutto il decennio la cinematografia nipponica fa parlare di sé: i suoi autori sono premiati ovunque, Cannes, Venezia, Berlino, mentre nelle più importanti città occidentali sono dedicate personali a registi rimasti a lungo sconosciuti quali Y. Ozu, Naruse, K. Ichikawa. Gli anni Cinquanta segnano inoltre l'affermarsi del mezzo televisivo, che assorbe immediatamente gran parte della produzione di genere, in special modo i film di mostri alla Godzilla e i film di arti marziali, interessanti esempi di rilettura orientale del western.
Dal 1960 alcuni giovani e agguerriti cineasti si adoperano per rompere con il classicismo rappresentato ai loro occhi dal cinema delle generazioni che li precedono, tentando d'imporre una violenza di idee e di linguaggio fortemente rivoluzionari.
Tra i registi del movimento, S. Hani, H. Teshigahara, S. Imamura, Y. Yoshida, N. Oshima. L'onda innovatrice ha tuttavia breve durata, spazzata via dal cinema commerciale che catalizza l'attenzione di un pubblico impreparato a capire la forza d'urto di opere tanto complesse e di difficile decifrazione. Passato il momento di coesione comune, i vari autori seguono ognuno il proprio cammino, pur continuando a proporre in modi e misure diverse la rottura di ogni schema prestabilito. Particolarmente illuminante a questo proposito il cinema di Oshima, il quale dopo un lungo percorso che ha toccato il rinnovamento dello stile − Seishun zankoku monogatari ("Racconti crudeli della giovinezza", 1960) −, la riflessione storica − Nihon no yoru to kiri ("Notti e nebbie del Giappone", 1960) −, l'analisi della crudeltà − Koshikei ("L'impiccagione", 1968) −, è approdato alla dissezione quasi anatomica di due tra i tabù più sentiti in G.: il sesso e il crimine. Culmine del disvelamento Ai no korida (Ecco l'impero dei sensi, 1976), nel quale è narrata senza occultamenti la drammatica storia d'amore intessuta di eros e morte tra Sada e Kichizo, due amanti che ricercano nella morte il punto estremo del piacere.
Malgrado l'esordio di alcuni promettenti registi come S. Terayama, N. Tsuchimoto, T. Matsumoto, e i riconoscimenti ottenuti nei festival da autori della vecchia guardia (Imamura vince a Cannes nel 1983 con Narayama-bushi ko, La ballata di Narayama), dal 1970 in poi il cinema giapponese si avvia verso il declino, causato in buona parte dallo sfruttamento non limitato dei film attraverso il mezzo televisivo. La televisione infatti assorbe quasi totalmente la produzione per coprire le esigenze di milioni di spettatori che si nutrono di ogni forma di spettacolo attraverso più di 25 milioni di apparecchi a colori, come risulta da un'indagine dei primi anni Ottanta. Lo stato di crisi della produzione ha finito col penalizzare maggiormente il cinema d'autore, costretto a finanziarsi con capitali occidentali per poter continuare a esprimersi. Ne sono prova le ultime opere di Kurosawa, Dersu Uzala (1975), Kagemusha (1980), Ran (1985) e Dreams (Sogni, 1990), coprodotte con finanziamenti sovietici, francesi e americani (con Hachigatsu no rapusodi, Rapsodia in agosto, Kurosawa è tuttavia tornato a impegnarsi personalmente nella produzione).
Bibl.: J.L. Anderson, D. Richie, The Japanese Film: Art and industry, Rutland, Vermont e Tokyo 1959 (trad. it., Il cinema giapponese, Milano 1961); AA.VV., Schermi giapponesi, 1. La tradizione e il genere; 2. La finzione e il sentimento, Venezia 1984.