CAPPONI, Giannozzo
Figlio di Cappone di Bartolomeo e di Francesca di Giannozzo Pitti, nacque il 17 sett. 1482.
Fin dal 1468 la famiglia del C. si trovava al bando da Firenze. Suo padre infatti, sotto l'accusa di aver congiurato contro i Medici, aveva sofferto prigionia, tortura ed infine l'esilio; probabilmente aveva aggravato la sua posizione e contribuito alla condanna la parentela con Luca Pitti, antagonista dichiarato dei Medici. Solo nel 1494 il C. e il padre furono richiamati a Firenze dal governo repubblicano, che in seguito affidò a Cappone numerose cariche.
Distintosi giovanissimo nello studio delle discipline liberali, il C. cominciò ad esercitare a Firenze l'avvocatura, immatricolandosi alla corporazione nel maggio 1513. Mentre il Fabroni lo annovera fra i migliori legali fiorentini, altre notizie ci fanno sospettare che forse ebbe una modesta pratica legale. Non è controversa invece la sua fama come giurista. Ancora molto giovane, fu chiamato ad insegnare diritto civile presso lo Studio fiorentino e nel 1515 fu nominato "iuris civilis magister" all'università di Pisa, presso la quale, l'anno successivo, gli fu assegnata anche la cattedra di diritto canonico. Pare che la sua carriera come docente sia stata bruscamente interrotta dagli intrighi del cardinale Silvio Passerini, che, conoscendo il passato politico del padre, sospettò anche nel C. un avversario dei Medici e nel 1525 lo fece rimuovere dal suo incarico a Pisa. Forse la diffidenza del cardinale non era del tutto ingiustificata se l'anno successivo troviamo il C. impegnato insieme con alcuni giovani in un tentativo antimedicco a Firenze.
Il 26 apr. 1526 il C. e gli altri sono asserragliati nel palazzo della Signoria. La sera stessa, però, il gruppo scende a patti e si accorda per arrendersi a condizione di aver salva la vita. Come scrive il Nardi, fra quelli che continuano a "romoreggiare" pur "essendo peggio che morti", è il C. che, anche in questo pericoloso frangente, non smette la toga e protesta, "non si soddisfacendo di qualche articolo del contratto [di resa] secondo che apparteneva alla sua professione".
Pare anche che nei tumulti del 1527 fosse fra i più decisi a far decretare il bando perpetuo da Firenze per i Medici e per il card. Passerini: una posizione con ogni probabilità dettata soltanto dal risentimento personale, perché, al di là di questi episodi, le scelte politiche del C. furono sempre di stampo moderato.
Dopo la cacciata dei Medici infatti il C. aderì alla parte moderata di Niccolò Capponi e i repubblicani intransigenti, nello stesso anno 1527, respinsero la sua candidatura quale ambasciatore a Carlo V, contrapponendogli Francesco Carducci, nel timore che egli finisse per concedere la riammissione dei Medici in Firenze quali privati cittadini. Forse per allontanarlo da Firenze, e mettere così fine alle polemiche fra i due partiti, nello stesso anno il C. fu inviato a Castrocaro, come commissario generale della Romagna. Nel 1529 fu nominato commissario di Pietrasanta.
La fitta corrispondenza del C. con il governo fiorentino in questo periodo insiste sulle difficoltà di quest'ultimo incarico. Pietrasanta e Motrone, le due fortezze affidategli, si trovavano in pessimo stato e scarseggiavano di uomini, armi e viveri; a Pietrasanta, scriveva il 29 luglio 1529, aveva trovato la fortezza del tutto "disordinata e derelitta" tanto che "non v'era pure una scala" che si potesse "fidatamente usare". A queste difficoltà si aggiungeva il timore di uno sbarco, presso Pietrasanta, "di qualche fanteria e la possibilità che la provincia fosse messa tutta sottosopra" (Arch. di Stato di Firenze, Strozziane, s. 1, vol. II). Un eco dei rapporti inquietanti che il C. spediva a Firenze si trova nelle relazioni degli ambasciatori veneti al Senato.
In ogni caso il C. fece poco onore al suo incarico: in quello stesso anno, infatti, fuggiva abbandonando le fortezze nelle mani delle truppe di Clemente VII. Fino al termine dell'assedio di Firenze trovò ricovero presso il marchese di Massa.
In Lunigiana il C. si era rifugiato con tutta la famiglia; qui, infatti, il 28 nov. 1530 sua moglie Maddalena, figlia di Giovanni Vettori, dava alla luce Francesca. Maddalena, sposata nel 1520, era la terza moglie. Infatti già nel 1512 il C. aveva contratto matrimonio con Marietta di Niccolò Valori, da cui non aveva avuto figli. In seguito alla morte della prima moglie si era unito a Laudomia di Gherardo Gianfigliazzi nel 1515.Questa nel giugno 1519 moriva di parto, lasciando due figlie: la neonata Costanza (nel 1533 monaca tra le vallombrosane di S. Verdiana) e Lucrezia, nata il 23 apr. 1518 (poi suor Monica a S. Gaggio nel 1535).Anche Francesca, Maria e Caterina, figlie di Maddalena, entrarono in convento, sicché nessuna fra le figlie del C. si accasò: da ciò sembra di poter dedurre che il chiostro fu imposto alle femmine per esimersi dal fornirle di dote, evitando così di indebolire un patrimonio forse non ingente.
L'attività pubblica del C. riprendeva con la caduta della Repubblica allorché fece ritorno a Firenze. Il poco ardore messo nel difendere Pietrasanta e la fuga ingloriosa probabilmente tornavano a suo merito agli occhi dei Medici, che non solo gli permettevano il ritorno, ma ben presto lo insignivano di numerose cariche. Nel 1537 fu inviato da Cosimo I a Roma per comporre la vertenza sorta con Paolo III per l'assegnazione della carica di gran maestro dell'Ordine ospitaliero di Altopascio a Ugolino Grifoni, una missione che non ebbealcun successo. In seguito il C. ottenne molti uffici forensi, ma soprattutto mandati amministrativi in varie città toscane: nel 1538 governava Castrocaro, Volterra nel 1542, Certaldo nel 1544 e poi di nuovo nel 1562, Cortona nel 1548, Pistoia nel 1556 e Pisa nel 1559. Fu anche eletto per due volte fra gli Otto di guardia e balia. Cosimo I nel 1550 lo creò senatore. Morì il 4 luglio 1563.
Fra i figli maschi del C. è degno di nota Cappone. Nato l'11 nov. 1531, veniva destinato dal padre alla carriera ecclesiastica. Divenuto abate di S. Zeno a Pisa, si distinse per la saggia e oculata amministrazione. Particolare cura dedicò alle terre dell'abbazia sulle quali faceva eseguire opere di bonifica, rendendo così coltivabili vaste estensioni. Come il padre, anche Cappone aveva fama di valente giureconsulto; insegnò diritto civile a Pisa dal 1557 al 1563, anno in cui otteneva la cattedra di diritto canonico che conservò fino al 1587.Lasciò l'incarico perché eletto priore mitrato della chiesa dei cavalieri di S. Stefano di Pisa (entrò nell'Ordine il 25nov. 1588).Nello stesso anno fu scelto come provveditore dell'università pisana; nel 1592svolgeva lo stesso incarico per lo Studio fiorentino. Morì nel 1603.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, LXIV, cc. 6, 29, 56, 83, 114, 129 s., 152, 212; LXV, cc. 9, 42, 61, 83, 153, 231, 258; LXVII (lettere del C. 1529); CXXXIX, c. 17 (una lettera del C. del 1516); Firenze, Bibl. nazionale, Mss. Vincenzio Capponi, 199; Ibid., Mss. Gino Capponi, cass. I, c. 8; Ibid., Mss. Passerini, 186; G. B. Busini, Lettere a B. Varchi sopra l'assedio di Firenze, Pisa 1822, pp. 60, III; Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di E.Alberi, s. 2, I, Firenze 1859, pp. 142, 150; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, II, Firenze 1888, p. 120; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, I, Pisa 1791, pp. 173 s., 383, 389; L. Cantini, Saggi stor. di antichità toscane, IX, Firenze 1798, p. 68; F.T. Perrens, Histoire de Florence, III, Paris 1890, p. 131; L. Martines, Lawyers and Statecraft in Renaissance Florence, Princeton, N. J.,1968, p. 489; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Capponi, tavv. VI, VIII; L. Spreti, Enc. storico-nobiliare, II, p.293.