GIANNICOLA di Paolo
Figlio di Paolo di maestro Giovanni, agiato barbiere e cerusico, e di una possidente di terreni originaria della vicina Deruta, nacque a Perugia (e non a Città della Pieve nella famiglia Manni, come da alcuni erroneamente indicato), nel rione di Porta S. Pietro intorno agli anni 1460-65, poiché in un atto del 1484 figura come testimone ed è quindi già maggiorenne.
Tra il 1493 e il 1500, anno in cui risulta essere iscritto nella matricola dell'arte dei pittori, esercitando l'attività in una bottega in piazza del Sopramuro, eseguì numerosi lavori per il duomo e per il Comune, in gran parte perduti, tra cui un'Ultima Cena nel refettorio del palazzo dei Priori. Ne resta un lacerto collegato da Mancini (1997) al documento di allogagione stipulato il 23 sett. 1493 e già noto a Canuti, che pubblica anche tutti i pagamenti effettuati a favore dell'artista fino al 28 genn. 1496, quando ormai l'affresco doveva essere ultimato. Il piano decorativo prevedeva la realizzazione di un cenacolo, con le figure di Cristo e degli apostoli tradizionalmente distribuite intorno alla mensa, e l'esecuzione dei ritratti dei priori in carica e di quello del loro notaio. Dato il pessimo stato di conservazione, il frammento conservato non consente di stabilire se l'artista diede corso completamente alla commissione e non getta luci sulla sua primissima attività che, allo stato attuale delle conoscenze, è estremamente difficoltoso ricostruire, poiché a un accurato esame le opere generalmente scalate dalla critica tra la fine del Quattrocento e l'inizio del secolo successivo, sembrerebbero tutte da espungere dal suo catalogo.
Il Gonfalonedella beata Colomba in S. Domenico a Perugia, datato 1494, attribuitogli da Bombe, per le forme dure e legnose delle figure che lo popolano meglio andrebbe restituito all'ambito di Fiorenzo di Lorenzo. Il Crocefisso (inv. n. 325) della Galleria nazionale dell'Umbria a Perugia, in cui Gnoli (1923) volle riconoscere quello affrescato nel 1501 da G. per la Confraternita di S. Domenico, è stato, invece, più opportunamente attribuito a Pompeo Cocchi, in base a un puntuale raffronto stilistico con la ritrovata Crocifissione e santi del Louvre e a una rilettura attenta dei dati documentari (Tiranti). Così come semplicemente ad ambito peruginesco andrebbe ricondotto il Crocefisso un tempo nel monastero dei camaldolesi di S. Severo e oggi nella Galleria nazionale dell'Umbria (inv. n. 305), già assegnato a G. da Canuti e Gnoli (1923) in base al confronto con quello precedentemente citato.
Tra il 1500 e il 1505 l'artista, oltre a ricoprire alcuni incarichi pubblici, tra cui quello di priore nel 1502, risulta impegnato in numerose commissioni di varia entità, dalla pittura di stemmi e apparati ornamentali, alla realizzazione dei perduti affreschi nella camera del vescovo (1503-04) e della dispersa tavola per la cappella di S. Giacomo in duomo (1505). Impiegando un lascito di Margherita Della Cornia, moglie di Baglione di Montevibiano, il 18 nov. 1506 i domenicani di Perugia lo incaricarono di eseguire gli affreschi e una pala d'altare per la cappella della donatrice in S. Domenico Vecchio, ottemperando a un impegno assunto dal pittore con la committente già nel 1493 (Mancini, 1998). Perduta la decorazione parietale, conclusa alla fine dell'anno successivo, rimane a documentare questa fase stilistica del maestro la Pala d'Ognissanti, oggi conservata nella Galleria nazionale dell'Umbria (inv. n. 323).
Nell'articolazione della scena in due ordini paralleli sovrapposti, nonché nella paratattica disposizione delle figure in primo piano, nella tipologia di alcuni volti e fin nel paesaggio di sfondo ben si coglie il forte ascendente esercitato sull'artista da Pietro Vannucci, detto il Perugino, presente in città con numerose commissioni di assoluto prestigio, quali la Pala dei decemviri (1495-96 circa), il polittico per i benedettini di S. Pietro (1495-1500 circa), la decorazione ad affresco del Collegio del cambio (1496-1500 circa) e lo Sposalizio della Vergine di Caen (1504). All'ammirazione per questo maestro, di cui, secondo Todini, G. sarebbe stato negli anni precedenti uno stretto collaboratore, dipingendo su suoi cartoni la Pala Tezi, datata 1500, si assomma quella per Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, specie nelle figure della Vergine, di s. Paolo e di s. Girolamo, e del giovanissimo Raffaello, citato nella postura di profilo della Maddalena, così vicina alla fanciulla al seguito di Maria nello Sposalizio della Pinacoteca di Brera, eseguito dall'urbinate nel 1504 per la cappella Albizzini in S. Francesco a Città di Castello.
A una fase ancora stilisticamente informata da forti suggestioni peruginesche, verosimilmente da collocare entro il primo decennio del secolo, appartengono anche la pala d'altare raffigurante la Vergine con il Figlio tra santi, già a Berlino, e la Pietà e santi di Breslavia, entrambe segnalate da Todini; la Madonna delle Grazie in S. Lorenzo a Perugia, parzialmente ridipinta, forse la replica nella chiesa di S. Agostino, che meglio andrebbe restituita alla cerchia; e la Madonna con il Bambino tra i ss. Giovanni Evangelista, Giovanni Battista, Pietro Martire e il beato Giacomo Villa. Questo dipinto, eseguito per la cappella della residenza del vescovo e oggi esposto nel duomo di Città della Pieve, pur essendo legato ancora a modelli perugineschi, sembra preannunciare, insieme alle due tavole con S. Giovanni Evangelista e la Madonna dolente e la Maddalena e s. Sebastiano, in origine poste ai lati di un Crocefisso in S. Domenico a Perugia e oggi nella Galleria nazionale dell'Umbria (inv. nn. 308, 324), la svolta stilistica della pala con la Madonna, il Bambino e i ss. Quattro Coronati, conservata nel Museo del Louvre a seguito delle requisizioni napoleoniche.
La pala del Louvre documenta l'interesse con il quale G. dovette guardare sempre più insistentemente a Raffaello e ai pittori toscani, abbandonando progressivamente schemi e moduli desunti dal Perugino. Fu eseguita su incarico della Corporazione dei maestri lombardi di pietra e legname (per alcune precisazioni documentarie: Mancini, 1998, p. 190 n. 70), che aveva il suo altare nella chiesa di S. Maria dei Servi sul colle Landone, trasferito dopo il 1540 in S. Maria Nuova di Porta Sole. Nella tavola, originariamente inserita in una preziosa cornice intagliata tra il 1504 e il 1507 da Antonio Bencivenni da Mercatello e ultimata nella parte pittorica entro il 1512, G. adotta uno schema compositivo chiaramente ispirato alla Pala Ansidei, terminata da Raffaello nel 1506-07, superando così i ritmici e cadenzati allineamenti di ascendenza peruginesca. Nella resa delle singole figure si assommano echi di una cultura figurativa che supera i limiti circoscritti di Perugia. Specie nella predella con il Martirio dei ss. Castoro, Claudio, Simproniano, e Nicastro, protettori della Congregazione, conservata nella Galleria nazionale dell'Umbria (inv. n. 322), si notano, accanto a certe durezze plastiche presenti nel dipinto che possono ancora ricordare L. Signorelli (Sapori), aperture verso la pittura toscana, dai senesi G.A. Bazzi detto il Sodoma, G. Pacchia, B. Peruzzi, ai fiorentini Mariotto Albertinelli e Fra Bartolomeo.
Proprio dal Sodoma discende il morbido modellato delle figure, di memoria leonardesca, che è il segno più tangibile della svolta impressa dall'incontro con la pittura toscana del primo decennio del secolo alla produzione di G., a testimoniare la quale rimangono anche le tre tavolette del Museo della cattedrale di Perugia, raffiguranti il Martirio di s. Lorenzo, S. Pietro e S. Paolo. Assieme con la lunetta con Cristo risorto tra i ss. Lorenzo ed Ercolano, ora sull'altare del gonfalone in duomo in parte eseguita da aiuti, sono le uniche testimonianze superstiti della decorazione della cassa d'organo realizzata nel 1513 e smontata nel 1784. Come nella coeva produzione ad affresco e nella tavola raffigurante la Madonna con il Figlio tra i ss. Caterina e Rocco e Cristo in pietà nella cimasa, un tempo nell'abbazia benedettina di S. Pancrazio a Collepepe e oggi nel duomo di Todi, vi si colgono oscillazioni fra ricordi di Raffaello e suggestioni toscane mediate dallo studio dei pittori più aggiornati e di successo del momento. Non è da escludere che tale aggiornamento avvenisse non solo e non tanto in terra toscana, ma a Roma, dove sullo scadere del primo decennio del secolo i senesi sono ampiamente documentati per assolvere alle commissioni loro affidate dai Chigi. Qui, del resto, l'artista, poté aver modo di guardare alle prime novità in senso manierista, di cui il ricordo si coglie nella sua produzione più avanzata.
L'esame degli affreschi realizzati da G. nell'arco di quindici anni nella cappella di S. Giovanni annessa al Collegio del cambio permette di notare il progressivo affrancamento dagli stilemi perugineschi, ben documentato anche dalla produzione su tavola scalata nel corso dei primi due decenni del secolo. Nel 1507 il cambiatori di moneta acquistarono dai monaci dell'abbazia celestina di S. Paolo a Valdiponte la chiesetta di S. Giovanni del Mercato e alcune casette a essa adiacenti, confinanti con la sala dell'udienza. Nel 1509, ultimati i lavori di riattamento dell'edificio sacro, commissionarono ad Antonio Bencivenni i seggi lignei decorati a grottesche posti nelle pareti laterali e, l'anno successivo, a G. un perduto affresco sopra l'ingresso esterno della cappella, forse raffigurante la Madonna con il Figlio tra i ss. Giovanni Battista e Giacomo pellegrino (Mancini, 1997). Nel 1511 Mariano di ser Austerio fu incaricato di dipingere il paliotto d'altare, ma evidentemente il lavoro non soddisfece i committenti, se nel 1512 affidarono nuovamente a G. il compito di affrescare la volta della cappella per un compenso complessivo di 120 fiorini, saldati a ultimazione dei lavori nel maggio del 1515. Il successo riscosso valse all'artista non solo un premio aggiuntivo in denaro, ma anche l'immediata commissione, riconfermata tre anni più tardi, delle Storie del Battista da realizzare sulle pareti per 150 fiorini. Il lavoro - compresa la pala d'altare, eseguita entro una complessa e preziosa macchina lignea intagliata da Antonio Bencivenni nel 1516 e messa a oro da Giovambattista Caporali - verrà ultimato soltanto nel 1529, dopo non pochi contrasti con i committenti per il suo lento procedere e comunque con il pagamento al maestro di 20 fiorini in più, rispetto al pattuito, per giudizio della commissione incaricata di stimarlo.
La decorazione del soffitto ha il suo perno nella figura dell'Eterno raffigurato in una gloria di angeli, intorno al quale si dispongono, con un preciso ordine gerarchico, gli apostoli, i dottori della Chiesa e i patroni di Perugia. Ai quattro angoli la scritta "Artis Cambii" non solo celebra i committenti, ma identifica la volta non con un cielo qualsiasi, ma con quello che sovrasta i cambiatori, per i quali si invoca protezione attraverso i santi cittadini e quelli dell'arte: Andrea, protettore del rione cui appartiene l'arte del cambio, Giacomo Maggiore, titolare dell'ospedale da loro gestito e il Battista, cui è dedicata la cappella e sulla cui figura si incentra il programma iconografico delle pareti. Il parallelismo fra la Vergine e Giovanni Battista è espresso nella pala d'altare tramite l'Angelo annunziante e la Vergine annunziata che inquadrano il Battesimo di Cristo, mentre le Sibille Eritrea e Libica, collocate sopra le nicchie laterali, oltre a ribadire la relazione fra il precursore e le antiche profetesse, introducono al tema della nascita di Gesù, implicito nell'annunciazione (Mancini, 1998, p. 155). Il ruolo del Battista, quale tramite tra Vecchio e Nuovo Testamento, è ribadito dai quattro episodi biografici: la Visitazione, la Nascita, il Banchetto di Erode e la Decollazione, ai quali si aggiungono i clipei nei sottarchi con la Famiglia del Battista, la Sacra Famiglia con s. Giovannino, il Battista nel deserto e la Predica del Battista.
Mentre negli affreschi della volta G. si mostra chiaramente debitore delle soluzioni adottate nell'attigua sala dell'udienza dal Perugino, specie nel gruppo centrale e nella scelta di articolare gli scomparti mediante quadrature adorne di grottesche, la pala d'altare e gli affreschi delle pareti ben mostrano la svolta in senso moderno dello stile del maestro. La pala d'altare rivela tanto nelle figure dell'Arcangelo Gabriele e della Vergine Annunziata, quanto nel dipinto centrale con il Battesimo di Cristo, una dilatazione di forme e una tendenza a inasprire i profili, più acuti e taglienti per effetto di ombre che più profondamente modulano le superfici, del tutto estranea al linguaggio ancora peruginesco della volta, dove soltanto alcune figure di contorno, in particolare l'energico Mattia, sembrano prevedere il deciso mutamento stilistico con la rottura delle ritmiche ed equilibrate composizioni impiegate dal Perugino. Si tratta di una svolta analoga a quella che si avverte nella Pala dei ss. Quattro Coronati dove, specie nella predella, i rapporti con la cultura toscoromana si fanno sempre più stretti, tanto da informare decisamente il Battesimo: "un'opera, questa, completamente estranea al gusto peruginesco, caso mai legata a ricordi signorelliani, stemperati, tuttavia, da un morbido chiaroscuro che rende soffici le forme immergendole in una calda atmosfera, delicatamente velata di grigio" (Mancini, 1998, p. 186). Nelle Storie del Battista, eseguite verosimilmente tra il 1526 e il saldo dei lavori, vi è un linguaggio marcatamente moderno, ormai completamente svincolato dall'interpretazione più corrente e ortodossa dell'"editoriale peruginesca" (R. Longhi, Percorso di Raffaello giovane, in Paragone, VI [1955], 65, pp. 8-23). Qui l'artista dà prova di comporre con un linguaggio libero da schemi precostituiti, sfruttando abilmente nel costruire le scena le stesse direttrici imposte dalle linee architettoniche della sala, facendo muovere le figure con estrema disinvoltura secondo le direzioni indicate dagli archi, ora seguendole, come nel caso della Visitazione e della Nascita del Battista, ora facendole comparire o scomparire dietro di essi, come nella Decollazione o nel Banchetto di Erode. Alle citazioni fiorentine di Andrea del Sarto nella Nascita, si aggiungono con maggior evidenza quelle romane, di Raffaello in particolare, richiamato, come già notava Venturi, dalle Sibille Libica ed Eritrea raffigurate sopra gli archi, o dalla prospettiva "a canocchiale" del Convito, chiaramente debitrice dagli affreschi eseguiti dall'urbinate negli appartamenti papali.
Nella quindicina d'anni in cui G. attese agli affreschi della cappella di S. Giovanni, con lunghe pause e interruzioni dovute non tanto ai committenti, desiderosi di vedere ultimata l'impresa quanto prima, ma ai suoi numerosi impegni, sono documentati diversi lavori andati perduti. Nel 1509 affrescò la cappella Olivieri Baglioni in S. Pietro con Eusebio da San Giorgio. Tra il 1512 e il 1521 è più volte menzionato assieme con Giovambattista Caporali per commissioni di svariata entità e prestigio: dalla decorazione dell'orologio, stimata nel 1512, fino ai ben più impegnativi affreschi della cappella di S. Ivo in duomo, avviati nel 1516, e a quelli della cappella dell'Annunziata in S. Pietro, ultimati nel 1521 da Caporali perché troppo a lungo trascurati da Giannicola. Nel 1516 eseguì un Crocefisso nel refettorio di S. Domenico. Nel 1519 restaurò la Madonna del Pergolato di Giovanni Boccati, ridipingendo quasi tutta la parte sinistra; venne pagato anche per l'esecuzione di una ricca cornice e di oggetti da porsi intorno alla medesima pala, tra cui due Angeli in legno scolpito, un paliotto e una croce. Nel 1520 gli vennero allogati due affreschi in S. Maria Maggiore a Spello, ma, dal momento che non vi mise mano, l'anno seguente furono affidati al Perugino. Nel 1522 i Cantagallina gli affidarono dei lavori per il loro altare in S. Agostino, cui aggiunsero una tavola nel 1532. Nel 1525 gli esecutori testamentari di mastro Franceschetto di Giovanni di Angelo lo incaricarono di eseguire un Crocefisso e s. Rocco e la relativa predella con una Storia di s. Giorgio e i Ss. Sebastianoe Pietro Martire per la chiesa di S. Maria degli Angeli a Perugia. L'anno successivo realizzò una pala per la Fraternita di S. Maria di Castiglion Fosco.
Appartengono a una fase stilistica non lontana dal Battesimo della cappella di S. Giovanni l'affresco staccato della chiesa di S. Cristoforo a Civitella d'Arna, raffigurante la Madonna con il Figlio tra il Battista, s. Giuliana e le monache committenti, realizzato nel 1515 con la partecipazione di aiuti; la Vergine con il Figlio tra angeli già nel monastero benedettino di S. Pietro e oggi posta nella lunetta all'ingresso della basilica; e la Madonna con il Figlio tra i ss. Lorenzo e Giovanni Evangelista nella chiesa perugina di S. Martino al Verzaro, apprezzata già da Orsini (1784, p. 184) per la resa plastica delle forme, la precisione del disegno e la stesura del colore, per cui "i suoi affreschi sono sì fattamente nelle tinte uniti con morbidezza, che sembrano fatti a olio".
Perduti i documentati lavori degli anni Trenta, tra cui una Resurrezione di Cristo (1533-34) per il monastero di S. Pietro e gli affreschi nella cappella del Corpo di Cristo a Paciano (1540 circa), rimangono soltanto alcuni dipinti oggi conservati nella Galleria nazionale dell'Umbria ad attestare l'ultimo quindicennio di attività del maestro. L'Incredulità di s. Tommaso e santi (inv. n. 367) fu dipinta per l'altare maggiore dell'omonima chiesa perugina, non più esistente. Cavalcaselle (p. 125) la giudicò "l'opera migliore tra le ultime del nostro pittore […] condotta con vigore e sicurezza di pennello". La sua esecuzione è contemporanea alla fase conclusiva della cappella di S. Giovanni, poiché nel 1529 l'artista, come ha puntualizzato recentemente Mancini (1998), si rivolge al vicario del vescovo per avere il saldo del compenso pattuito per la tavola consegnata già da qualche tempo. Nell'opera, sensibilmente modificata dopo il 1555 con dei santi domenicani aggiunti sulla sinistra in luogo di una figura precedente (Bon Valsassina, 1994), G. impiega le stesse ombre scure, molto marcate, che contraddistinguono, assieme a degli improvvisi bagliori cromatici, le Storie del Battista al Cambio. Recupera al contempo modelli elaborati in precedenza, poiché nella figura di s. Giovanni Evangelista ripropone con poche varianti quella del santo genuflesso in primo piano a sinistra nella Pala dei ss. Quattro Coronati, mentre i volti di s. Benedetto e di s. Giorgio sono molto vicini a quelli di Giuseppe d'Arimatea e di s. Giovanni Evangelista nella Pietà (inv. 366) che eseguirà per S. Francesco al Prato, verosimilmente nel 1539, accogliendo la testimonianza di Orsini. È questo apparentemente l'ultimo lavoro noto di G., che qualche anno prima, per la cappella di S. Luca nella stessa chiesa, aveva realizzato l'Orazione nell'orto (inv. n. 375), terminata nel 1532 per un compenso di 80 fiorini pagati dal berrettaio perugino Antonio di Luca. Per il pessimo stato di conservazione, lamentato già nelle guide seicentesche, l'opera, ricordata da Vasari, non è sostanzialmente giudicabile, se non nell'impianto compositivo dove sembrano riemergere forti ricordi perugineschi.
G. morì a Perugia il 27 ott. 1544. In questo stesso anno il priore della Fraternita di S. Maria Novella a Perugia gli aveva allogato una tavola da eseguire insieme con Domenico Alfani, cui G. non poté mettere mano.
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