CHIESA, Giannicola (al secolo, Marco)
Nacque a Genova il 25 apr. 1695 terzogenito di Bartolomeo e di Teresa Soppi (non Zoppi come riporta il van Luijk). Fin da fanciullo il C. trovò in casa un ambiente pronto a secondare in lui la tendenza ad abbracciare lo stato ecclesiastico. Al fratello maggiore Tommaso erano stati destinati l'onere e il privilegio di continuare il lavoro del padre, un mercante di discreta fortuna, ma non tale da poter aspirare all'ascrizione al secondo ordine dei cittadini genovesi. A far opportunamente maturare la vocazione del C. per il sacerdozio cospirarono con indefesso impegno in molti: genitori, fratelli, un parente, padre Angelo Giera, frate nel convento genovese di S. Agostino, il prelato Agostino Durazzo, amico di famiglia. Gli sforzi di queste pie persone in breve apparvero coronati da successo: il C. ben presto ebbe come divertimento preferito quello di costruire altarini su cui poter celebrare cerimonie sacre di sua invenzione alla presenza di piccoli amici; evitava invece accuratamente i giochi clamorosi e le feste mondane. Questi furono interpretati come segni promettenti di santità futura, specialmente dopo che il C., essendo ancora "ragazzo assai, un giorno prese i ferri da lavorare le calze della Madre e con questi si ferì in varie parti; e dimandato dalla Madre, perché aveva ciò fatto, tanto più che lo vedeva insanguinato rispose, perché far voleva penitenza" (Benincasa, pp. 3 s.: la testimonianza è raccolta dal padre stesso del Chiesa). Frattanto iniziò i corsi elementari presso gli scolopi; dal 1705 frequentò poi il collegio di S. Girolamo tenuto dai gesuiti, dove, grazie agli accurati studi di retorica seguiti nel biennio 1710-11, imparò a fare egregie allocuzioni e a comporre eleganti epigrammi e carmi italiani e latini.
Ormai maturo per la vita religiosa, il 16 genn. 1712 vestì l'abito monastico nel convento della Consolazione della congregazione di S.Giovanni Battista, allora appartenente all'Ordine agostiniano, e fece la professione solenne il 18 genn. 1713. Rimase fino all'autunno a Genova e quindi fu destinato a seguire, nelle scuole superiori dell'Ordine, i corsi di logica nel convento di S. Marco a Milano (1713-1715) e quelli di filosofia nel convento di S. Giacomo a Bologna (1715-1717) sotto la reggenza del padre maestro Felice Leoni. Questi, avendo compreso il bisogno di austerità morale del C. e il pericolo che egli abbandonasse l'Ordine agostiniano in cui v'era in quegli anni una certa rilassatezza, lo indirizzò alla Congregazione napoletana di S. Giovanni a Carbonara in cui vigeva la stretta osservanza. Il C. frequentò ancora a Bologna il primo anno di teologia (1717-18); il 31 luglio 1719 venne ordinato sacerdote a Genova da monsignor Agostino Saluzzo, vescovo di Aleria, e nel settembre di quell'anno raggiunse a Napoli il padre Leoni, professore di teologia e di filosofia nel convento di S. Agostino. Qui seguì il secondo e il terzo anno di teologia (1719-1721) e fu lettore di filosofia (1721-22) e di morale (1722-1724); nel 1724 fu dichiarato baccelliere. Frattanto incoraggiato dal padre Leoni e dall'amicizia dei padri Nicola Antonio Schiaffinati, Nicola Sersale e Ambrogio Manchi, chiese ed ottenne dalla Congrezione dei Vescovi e Regolari (15 dic. 1724) il passaggio alla Congregazione di S. Giovanni a Carbonara, cosicché il 23 dicembre venne affiliato al convento di S. Maria a Frattaminore. Divenne subito lettore di filosofia a S. Giovanni a Carbonara (anni scolastici 1724-25, 1725-26, 1726-27); nel 1726 fu discreto al capitolo provinciale, quindi respondens, cioè ripetitore (anni scolastici 1727-28, 1728-29, 1729-30); nel 1726-27 fu primo definitore della congregazione. Superato il 13 apr. 1728 l'esame per reggente, poté dirigere lo studio di S. Giovanni a Carbonara dal 1729 al 1735; fu anche maestro dei novizi negli anni 1729-1734, bibliotecario dal 1729 al 1734, sottopriore nel 1732-33, priore nel 1733-34, presidente del capitolo provinciale nel 1730 e nel 1734; più volte esercitò la carica di consigliere della congregazione; infine dal 1736 al 1738 fu eletto vicario generale.
Intorno al 1736 l'arcivescovo di Napoli Giuseppe Spinelli nominò il C. confessore delle monache, esorcista pubblico ed esaminatore del clero della diocesi napoletana. Di tali uffici egli mostrò di preferire subito il primo, che gli permetteva un'attività più congeniale, mentre non riuscì mai come esorcista a secondare le propensioni ai teatrali riti liberatori cari ai fedeli napoletani.
Scaduta la carica di vicario generale, nominato discreto al capitolo generale di Rimini, nel maggio 1739 vi fu eletto segretario generale dell'Ordine dal nuovo superiore generale Felice Leoni. Avrebbe dovuto risiedere nel convento romano di S. Agostino, ma il 24 luglio, sotto pretesto d'una piaga alla gamba destra, ottenne di essere sostituito e ritornò a Napoli. In realtà egli non si sentiva adatto a ricoprire incarichi amministrativi o disciplinari ad alto livello, preferendo esercitare la direzione spirituale delle anime all'interno e all'esterno dell'Ordine. L'esperienza in questo campo, che l'aveva già portato ad applicare su non pochi penitenti le teorie mistico-ascetiche di s. Teresa, l'aveva anche spinto a pubblicare Il religioso in solitudine o sian essercizj spirituali proposti a' religiosi dell'Ordine eremitano di S. Agostino... Opera utile ad ogni Religioso,ed Ecclesiastico, Napoli 1736 (edizione latina, Pragae 1778).
Nell'introduzione il C. indicava l'ideale perseguito (pp. XXIII s.): "Il commerzio colle creature, quanto si voglia santo, e regolato, ci dà sempre un certo sapore di creatura; ed il maneggiar terra, ed il passeggiar sulla terra, benché sia con ogni cautela, non si può fare senza impolverarsi un poco le mani, ed i piedi. Per questo è necessario sovente licenziare le creature, trattare alla lunga con Dio solo, per più agiatamente conoscere, e più efficacemente provvedere a danni patiti dalla lontananza".
Dal 1740 al 1742 il C. fu ancora presidente del capitolo provinciale e il 21 apr. 1742 venne nuovamente eletto vicario generale per un triennio (1742-1745), con il compito di applicare i Decreta visitationis generalis et apostolicae peractae in conventu S. Ioannis ad Carbonariam, Neapoli 1742, emanati dal padre assistente d'Italia Agostino Gioia. Negli anni 1744 e 1750 fu esaminatore degli ordinandi e negli anni 1747-1750 primo definitore della congregazione; nel 1748 rinunciò alla carica di sottopriore e nel 1749 venne nominato ancora maestro dei novizi. Aveva frattanto pubblicato la Vita del padre Niccola Sersale dell'Ordine Eremitano di S. Agostino,ristoratore della Congregazione di S. Giovanni a Carbonara di Napoli, Napoli 1745, nella cui introduzione il C. esprimeva alti concetti sul valore della storiografia esaltando "lo spirito e l'amor sincero della verità, il quale deve animare lo storico, e fargli superare qualsivoglia timore, e rossore... Imperciocché lo storico è debitore della verità a tutto il Mondo presente, ed a tutti i secoli futuri; onde sarebbe un tradirgli, se nascondesse loro la verità, per amore, o timore di qualche particolare persona" (p. n. n.).
Un significativo esempio di come egli applicasse tale professione di fede è la narrazione - costruita su "testimonianze" ineccepibili - della titanica lotta vinta a colpi di esorcismo dal Sersale contro un demonio che insidiava il convento tentando di spaventare i novizi con atti vandalici (p. 71). Per la verità il C. aveva sperimentato anche nei propri confronti l'esistenza e la pesantezza della ostilità diabolica. Per quarantacinque anni circa (dal 1730 in poi) si recava a Sorrento una volta al mese per predicare e confessare e, puntualmente, al momento del ritorno a Napoli, "nel mentre ritrovavasi il Cielo in serenità e in calma il mare, posto che si era il P. Chiesa in barca, incominciava ad incresparsi il mare; di poi tratto tratto ad ingrossarsi e finalmente turbato il Cielo a tempestare; onde nel vederlo appena comparir sulla spiaggia alcuni Sorrentini ritornavano alle loro case, con dire: Parte il P. Chiesa" (Benincasa, p. 53). Si conquistò in tal modo una meritata fama di uomo straordinario, tanto più quando gli venne riconosciuto anche il dono della predizione, come nell'occasione (testimoniata dal chirurgo Giuseppe Caccavone: Benincasa, p. 157) in cui previde esattamente la rapida morte di una monaca per la cui malattia inguaribile i medici avevano pronosticato un lungo decorso.
Molto ricercato come direttore di coscienza, specialmente dalle penitenti di sesso femminile, il C. non dovette peraltro incontrare un unanime consenso se alla fine del 1750 si levarono alcune voci ad accusarlo di "ingerenze domestiche, che ai Direttori e Confessori non appartengono" e di essere un "disturbatore dell'altrui quiete" (Benincasa, p. 65). Intervennero l'arcivescovo Spinelli e il generale degli agostiniani Gioia, ai quali la condotta del C. apparve biasimevole: il 5 marzo 1751, nominato visitatore del convento della Consolazione di Genova, gli venne ingiunto di allontanarsi da Napoli con grande dolore delle sue numerose penitenti; poiché cercò di dilazionare la partenza, fu necessaria la minaccia di una sospensione a divinis per indurvelo (17 aprile). A Genova trovò una lettera del Gioia che annullava la sua visita e gli revocava la facoltà di confessare. Dovette perciò vivere ritirato nel convento genovese, ove, trovato un manoscritto latino del confratello T. M. Rolandi, lo tradusse in italiano pubblicandolo alcuni anni dopo: Cento sospiri del cuore verso Dio, Napoli 1755. Nell'aprile 1752 il nuovo superiore generale F. S. Vazquez, accogliendo una supplica dei confratelli napoletani, reintegrò il C. nelle sue funzioni permettendogli il ritorno a Napoli, dove riprese a dedicarsi alla direzione delle anime.
Venne allora a sapere che all'origine delle accuse contro di lui era stata una lettera apocrifa attribuitagli: egli volle individuarne l'autrice in Isabella Milone, una giovane donna che godeva fama di possedere doni soprannaturali (sosteneva di avere visioni celesti e, in particolare, colloqui con l'arcangelo Michele) e che, per il suo vasto seguito presso la massa dei fedeli e in molti conventi napoletani, aveva già attraversato la strada del C., provocandone il risentimento. Forte di tale convinzione, si adoperò ad insinuare nell'animo di molti nobili dei dubbi sulle sante azioni di lei sostenendo che fosse una "diavola incarnata" (Benincasa, p. 147), fino a provocare la richiesta di un processo informativo che nel 1761 venne inoltrata dal governo alla Curia arcivescovile. La Milone, riconosciuta colpevole, venne dapprima rinchiusa nella Vicaria criminale, quindi destinata alla clausura perpetua nella S. Casa dell'Incurabile. Soltanto in punto di morte, il 22 nov. 1772, si piegò ad una ritrattazione in cui riconosceva le sue finzioni come "operarazioni del Demonio", convalidando le accuse del C., che vide rafforzata la sua fama di uomo santo.
Dal 1752 al 1758 fu membro della Congregazione dei confessori e degli ordinandi per la città di Napoli collaborando con monsignor Sersale, allora vicario generale della diocesi (il C. ne scriverà poi la biografia, Vita di Don Giuseppe Sersale,arcivescovo di Sorrento, Napoli 1763). Il 21 giugno 1756 fu rieletto vicario generale per un triennio; dal 1759 al 1762 fu maestro dei novizi, primo consigliere del convento ed esaminatore degli ordinandi. Nel 1762 presiedette il capitolo provinciale e dal 1765 al 1768 ricoprì per l'ultima volta la carica di vicario generale; in seguito esercitò soltanto funzioni di secondo piano (presidente del capitolo provinciale nel 1771, primo definitore della congregazione dal 1774 al 1778).
Negli ultimi anni di vita si dedicò a chiarire in una serie di scritti i suoi metodi di direzione spirituale, che avevano ingenerato sospetti di quietismo. Il primo fa la Breve istruzione intorno alle vie mistiche purgativa,illuminativa ed unitiva..., Napoli 1768.
Caratteristico del C. è l'ottimismo con cui guarda alle capacità dell'uomo: ogni anima "per sua elezione, servendosi della grazia, ed ajuti ordinarj di Dio" può giungere alla perfezione (p. 3). La prima tappa è la via purgativa (gradi: confessione generale, rimozione della causa di peccato, meditazione del peccato, dei novissimi e della passione di Cristo; mortificazione dei sensi; frequenza al sacramento della penitenza). Solo il direttore di coscienza può giudicare quando sia stata superata per poter entrare nella via illuminativa e iniziare la "pratica delle virtù per amore delle virtù" non per odio del peccato. Ultima tappa è la via unitiva "in cui si ama per amare" mediante la contemplazione, che attraverso i suoi gradi porta alla "trasformazione dell'anima in Dio, e matrimonio consumato" (p. 117);questa unione in Dio può essere maggiore o minore e manifestarsi nell'estasi, nelle visioni, nei sentimenti, nelle stimmate, ferite, slogamenti, calore, splendore del volto. Consapevole che la sua dottrina nustica avrebbe potuto essere assimilata a quella dell'orazione di quiete condannata in Molinos e in Fénelon, il C. dichiarava di ispirarsi all'insegnamento di Alvaro de Paz e del cardinale Bona e poneva in guardia contro le false estasi, in realtà deliqui, e più ancora contro l'amor sensuale che facilmente s'insinua durante l'orazione mentale (p. 33: "La fantasia scorretta rappresenta vivamente, e quasi al pari degli occhi, gli obbietti, e le azioni più oscene, come praticate da altri, o dalla persona medesima, anche con Gesù Cristo, ed ogn'altro santo"). In un'appendice (Dissertazione sopra la necessità del timor servile,e della meditazione de' Novissimi) egli respingeva la teoria dell'estrema difficoltà di ottenere la salvezza eterna, contro l'opinione dei rigoristi. Questo scritto fu aspramente attaccato e il C., accusato di quietismo, costretto a difendersi con l'Apologia sopra la dissertazione circa il timore di Dio detto servile,e la necessità della meditazione de' Novissimi,ed altri punti di Dottrina Cattolica... in risposta all'operetta intitolata: Il Santo Pensiero de' Novissimi difeso dalle critiche del Signor N. N., Napoli 1769.
Egli confermò le proprie teorie mistiche nelle Istruzioni per chi desidera la perfezione evangelica (Napoli 1773), ove, sulla linea agostiniana, riconosce la debolezza e corruzione dell'uomo, pur dichiarandosi contrario agli scrupoli eccessivi delle coscienze e alla visione rigorista della difficoltà della salvezza e manifestando fiducia nella misericordia divina e nell'efficacia delle opere buone; ma l'obiettivo è l'esaltazione della "morte mistica", dell'annullamento in Dio. Contro i tardivi seguaci italiani dell'Arnauld indirizzava quindi il breve Trattato della frequente e della cotidiana comunione con la giunta degli atti preparatorj per la santa comunione (Napoli 1776), sforzandosi di "tenere una via di mezzo".
L'ultima opera del C. fu il Catechismo o sia Dichiarazione della dottrina cristiana composto da un religioso della Congregazione di S. Gio. a Carbonara, Napoli 1777, in cui segue con equilibrio la dottrina agostiniana.
Malato fin dal 1776, il C. morì a Napoli il 23 apr. 1782.
Tra le opere del C. vanno ancora ricordate le Considerazioni religiose e cristiane per tutte le domeniche,ferie ed alcune principali solennità dell'anno..., Napoli 1756 (2. ediz., è irreperibile la prima); traduz. latina, Viennae 1772-73; e gli Affectus s. Augustini erga Deum ex libris Confessionum excerpti..., Neapoli s.a.
Fonti e Bibl.: Vita del padre reggente G. C., agostiniano della Congregazione di S. Giovanni a Carbonara, Napoli 1783; F. Benincasa, Vita del Servo di Dio il padre G. C. ..., Napoli 1787; J. Lanteri, Postrema saecula sex religionis augustinianae, III, Romae 1860, pp. 276-283; T. Lopez Bardón, Monastici Augustiniani R. P. Fr. Nicolai Crusenii continuatio, Vallisoleti 1918, pp. 41-43; D. A. Perini, Bibliographia augustiniana, I, Firenze 1929, pp. 226-227; B. van Luijk, Padre G. C. agostiniano(1695-1782), in Augustiniana, XI (1961), pp. 121-153, 336-361, 583-601; Enc. catt., III, col. 1525.