SOLDANIERI, Gianni
(Giannuzzo). – Nato presumibilmente a Firenze nel corso del terzo decennio del XIII secolo, è con ogni probabilità da identificare in uno dei figli del cavaliere Giandonato di Gianni di Soldaniero; la madre non è invece conosciuta.
I Soldanieri vantavano all’epoca una solida tradizione di presenza nelle istituzioni cittadine. La famiglia era già piuttosto influente nell’ultimo quarto del XII secolo: Rinaldino del Mula era tra i consoli della città nel 1197, mentre in quel medesimo anno Gianni di Soldaniero, nonno di Gianni, era console di Giustizia in una delle curie cittadine. Nel 1203 fu anch’egli console della città. L’importanza raggiunta in quegli anni dalla casata è confermata da diversi documenti che attestano frequentazioni ad alto livello all’interno della società fiorentina con famiglie quali gli Uberti o i Fifanti, e istituzioni quali la chiesa di Santa Trinita. In città le loro proprietà si concentravano nel sesto di Borgo, mentre fuori Firenze vantavano diversi possedimenti nella campagna a nord-ovest del centro urbano, nella zona di Sesto e di San Donato a Torri. Almeno tre esponenti della casata nel 1234 sedettero in uno dei consigli cittadini: tra costoro vi fu messer Giandonato, il padre di Gianni, che fu nuovamente consigliere nell’agosto del 1245. Gli incarichi politici, le proprietà immobiliari, le frequentazioni e il possesso della dignità cavalleresca da parte di numerosi Soldanieri collocano la casata tra le principali famiglie della militia fiorentina.
Soldanieri è citato per la prima volta in un documento del giugno del 1251, che attesta l’importanza all’epoca già da lui raggiunta all’interno della parte ghibellina di Firenze. Insieme con Mazzingo di Rinaldesco dei figli di Soldaniero, Soldanieri appare a fianco dei principali del partito, che avevano nominato come loro delegato il cavaliere Vendemiolo, della nobile famiglia fiorentina, anch’essa ghibellina, dei Lamberti.
Non lontano da Monteriggioni, lungo la via francigena per Siena, Lamberti giurò a nome dei ghibellini che rappresentava di aiutare il Comune di Siena in ogni guerra e controversia. Dopo alcuni anni di predominio ghibellino Firenze era infatti passata da pochi mesi nelle mani del Popolo e, nel tentativo di sovvertire il nuovo regime, i ghibellini della città avevano aderito alla Lega antifiorentina siglata tra i Comuni di Siena, Pisa e Pistoia. Essendo stato scoperto il tradimento, molti di loro abbandonarono Firenze per trovare riparo in Poggibonsi, Siena e Arezzo.
In assenza di prove documentarie, non è possibile affermare se Soldanieri fu tra coloro che lasciarono Firenze; per l’intero decennio del predominio guelfo, sino a Montaperti, mancano notizie specifiche su di lui ed è giocoforza limitarsi alle vicende della casata, per la quale, così come per le altre famiglie di milites di lunga tradizione, il decennio del regime di Primo Popolo (1250-60) corrispose comunque a un periodo se non di allontanamento completo dal governo della città, di ridimensionamento tangibile del loro ruolo politico.
Alcuni tra i Soldanieri rimasero in città: Iacopo del Mula, appartenente a un ramo della casata, fu consigliere del Comune nel luglio del 1255, mentre messer Rinaldo di Gianni, zio di Gianni, fu tra i cavalieri assegnati a proteggere il carroccio nella battaglia di Montaperti del 1260. Ma nel complesso il rapporto dei Soldanieri con il Primo Popolo fu piuttosto conflittuale. Nel 1258 i Soldanieri compaiono nuovamente tra i ghibellini fiorentini che complottarono insieme al Comune di Siena e al cardinale Ottaviano degli Ubaldini contro la città di Firenze e il suo governo. Anche questa cospirazione fu scoperta e molti ghibellini abbandonarono la città, per rientrarvi da vincitori due anni più tardi.
I sei anni di predominio ghibellino in Firenze che si aprirono all’indomani della sconfitta fiorentina a Montaperti corrispondono al periodo di maggiore influenza politica dei Soldanieri in città. Le poche liste di consiglieri che si sono conservate per quegli anni (datate rispettivamente 22 novembre 1260, 11 gennaio 1261 e 16 marzo 1266) attestano una presenza costante e molto numerosa di esponenti della casata nelle assemblee comunali. Gianni Soldanieri è citato in tutti e tre gli elenchi e fu probabilmente in questi stessi anni che fu investito della dignità cavalleresca: con il titolo di dominus compare solo nella lista di consiglieri del marzo 1266.
Fu nel novembre dello stesso anno, quando il regime ghibellino in Firenze era ormai in affanno, che Gianni Soldanieri tradì la propria parte schierandosi a fianco del Popolo insorto contro il conte Guido Novello, capo dei ghibellini toscani, e i mercenari tedeschi di stanza a Firenze. Secondo la tradizione cronachistica, la scelta fu dettata dall’ambizione personale: avendo messo le proprie case a disposizione del Popolo in armi (che fu così in grado di tenere testa ai ghibellini), ottenne come ricompensa la nomina a capitano del Popolo. L’incarico, tuttavia, ebbe breve durata: gli fu sottratto per volontà di Clemente IV, avverso alla politica popolare e a un magistrato che non dava sufficienti garanzie di fedeltà alla causa guelfa.
L’avvicinamento alla parte popolare non lo salvò comunque dalle successive condanne inferte ai ghibellini dal nuovo regime guelfo, e fu costretto a lasciare Firenze nel 1267 con molti altri esponenti della sua casata.
Negli anni seguenti alcuni Soldanieri sono rammentati tra gli esuli ghibellini: tra di loro si distinse in particolare messer Gualterone di Chiarissimo Rinaldeschi, ambasciatore dei ghibellini estrinseci in occasione del tentativo di pacificazione promosso nel 1273 da papa Gregorio X. È probabilmente collegata a questi eventi una lettera del febbraio di quell’anno con la quale Carlo I d’Angiò ordinava al suo vicario in Firenze di cessare di molestare i Soldanieri – tra i quali sono citati i figli di Giandonato – e di non distruggerne i beni in quanto suoi fedeli.
Gianni Soldanieri tuttavia giurò ancora una volta come ghibellino in occasione della successiva pacificazione promossa da papa Niccolò III e mediata dal cardinale Latino Malabranca (1280). Negli atti della sentenza di pace, compare fra i cavalieri aurati di parte ghibellina, registrato nel sesto di San Pier Scheraggio: circostanza questa che lascia presumere una sua emarginazione o allontanamento dal resto della casata, visto che tutti i Soldanieri sono registrati nel sesto di Borgo. Fu questo forse uno strascico degli eventi del novembre 1266 e del tradimento della parte ghibellina (anche se, invero, il cronista Paolino Pieri afferma che tutti i Soldanieri si schierarono con il Popolo in quella occasione).
Gianni Soldanieri compare un’ultima volta in alcuni documenti del 1285 relativi a una rappresaglia che gli era stata concessa contro il Comune di Prato per il pagamento di un non meglio specificato salario. Si ignora la data di morte.
Il tradimento della parte ghibellina nel 1266 gli garantì la condanna da parte di Dante, che nella Commedia ne incontra lo spirito all’Inferno, confitto nel ghiaccio dell’Antenora insieme ad altri traditori della patria (Inferno XXXII, 121). Giovanni Villani, invece, pur rammentandone il gesto avverso ai ghibellini, lo cita tra i personaggi più illustri di Firenze, vittime dell’incomprensione dei propri concittadini. L’assoluzione del cronista fu forse dettata dalla sua simpatia per il movimento popolare: nell’azione di Soldanieri, Villani vide dunque non tanto un tradimento verso i ghibellini, quanto un gesto di attaccamento alla patria, analogo a quello che pochi anni prima aveva spinto un altro ghibellino, Farinata degli Uberti, a contrapporsi alla propria parte per salvare Firenze dalla distruzione.
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