RIVERA, Gianni
Italia. Valle San Bartolomeo (Alessandria), 18 agosto 1943 • Ruolo: centrocampista • Esordio in serie A: 2 giugno 1959 (Alessandria-Inter, 1-1) • Squadre di appartenenza: 1958-60: Alessandria; 1960-79: Milan • In nazionale: 70 presenze e 14 reti (esordio: 13 maggio 1962, Belgio-Italia, 1-3) • Vittorie: 3 Campionati italiani (1961-62, 1967-68, 1978-79), 4 Coppe Italia (1966-67, 1971-72, 1972-73, 1976-77), 2 Coppe delle Coppe (1967-68, 1972-73), 2 Coppe dei Campioni (1962-63, 1968-69), 1 Coppa Intercontinentale (1969), 1 Campionato d'Europa (1968), 1 Pallone d'oro (1969)
Secondo molti è stato il più grande giocatore italiano: di certo, uno dei più rappresentativi e di maggior talento, tanto amato quanto (a volte ingiustamente) criticato. Campione precocissimo, ha forse avuto il 'torto' di bruciare le tappe più importanti della carriera di un calciatore: prima partita in serie A a quindici anni, prima maglia olimpica a diciassette, primo scudetto, convocazione in nazionale maggiore e primo Mondiale a diciannove. Non aveva ancora compiuto vent'anni che già aveva alzato al cielo la Coppa dei Campioni. E avrebbe giocato per altri sedici anni, arrivando a conquistare il terzo e ultimo scudetto proprio alla vigilia del suo ritiro. La sua classe purissima, la sua intelligenza tattica, la sua visione di gioco, i suoi tocchi leggeri e i suoi passaggi smarcanti ne hanno fatto una leggenda calcistica: a dispetto della sua presunta fragilità fisica, che Gianni Brera bollò annoverandolo nella categoria dei cosiddetti 'abatini'. Ma 'abatino' (per i nemici) o golden boy (per gli estimatori), Rivera ha sempre suscitato attenzione e ammirazione. Spesso anche per episodi o momenti non propriamente tecnici. Al culmine della sua maturità come calciatore, finì al centro di polemiche che ne condizionarono non poco la carriera: ai Mondiali del 1970, per esempio, dovette adattarsi alla celebre 'staffetta' con Sandro Mazzola ‒ leader dell'Inter e suo rivale in maglia azzurra ‒ che culminò con i famosi soli sei minuti giocati nella finale con il Brasile (finale alla quale l'Italia era arrivata proprio grazie al suo definitivo gol del 4 a 3 contro la Germania nella storica partita dello stadio Atzeca). Ma anche con il Milan visse momenti difficili: nel 1972 fu squalificato per due mesi per aver violentemente criticato l'arbitro Michelotti dopo un contestato rigore concesso al Cagliari di Gigi Riva (l'episodio ebbe addirittura una coda in tribunale, nella quale venne coinvolto il suo grande amico Padre Eligio, un religioso con il quale Rivera aveva e avrebbe compiuto opere molto importanti anche in campo sociale); nel 1975, avendo avuto la sensazione che il presidente Buticchi volesse scambiarlo con un fantasista emergente, Claudio Sala, 'comprò' la società alla guida di una cordata di imprenditori che scalzò il rivale. Ormai la sua carriera, votata esclusivamente alla causa milanista, era al declino. Prima di ritirarsi si prese ancora la soddisfazione di giocare nel Milan guidato dal suo grande maestro Nereo Rocco (chiamato a sostituire nel 1976 il poco duttile Pippo Marchioro) e soprattutto quella di vincere, ovviamente da capitano, lo scudetto della 'stella' sotto la guida di Nils Liedholm, che era capitano del Milan quando Rivera venne acquistato dall'Alessandria; inoltre, quell'anno giocò al fianco di un giovanissimo Franco Baresi che, in qualche modo, avrebbe raccolto la sua bandiera e la sua leggenda. Ritiratosi nel 1979, è stato vicepresidente del Milan fino al 1986. Nel 1987 è stato eletto alla Camera dei Deputati ed è stato sottosegretario alla Difesa dal 1998 al 2001.