DI VENANZO, Gianni
Nacque a Teramo il 18 dic. 1920 da Domenico e da Luigina Trinietti. Nel 1937 una precoce passione per il mondo del cinema lo indusse a trasferirsi a Roma e, pochi mesi dopo, ad entrare al Centro sperimentale di cinematografia dove rimase fino al 1940. Iniziò la sua attività come aiuto operatore alla Safa Palatino, collaborando con D. Scala, A. Tonti e L. Solaroli, in una fase di profondo rinnovamento delle tecniche e del gusto della ripresa: dopo M. Arata, A. Brizzi, N. Terzano, si avviava infatti al tramonto l'epoca della immagine "bella" e ad effetto, volutamente autonoma rispetto alla vicenda narrata nel film, e si imponeva invece una foto perfettamente integrata nella trama e caratterizzata da una sobria espressività. Particolarmente significativo fu, in questo quadro, per il D. l'incontro con A. Tonti, con il quale collaborò alle riprese di Ossessione di L. Visconti nel 1943; una esperienza questa "di capitale importanza per la sua formazione, il suo gusto, le sue amicizie, le sue predilezioni" (Garbarino, p. 208), poiché gli insegnò il fascino di inquadrature lucide, sintetiche e sottilmente coinvolgenti.
Richiamato alle armi, il D. fu attivo presso il reparto cinematografico dell'esercito Monte Mario; dopo la liberazione di Roma passò alle dipendenze del Publicity War Board come aiuto operatore di G. Pucci. Sempre come aiuto operatore partecipò alle riprese di due film di R. Rossellini, Roma città aperta nel 1945 e Paisà nel 1946, e di un film di G. De Santis, Caccia tragica nel 1947, sotto la guida di Otello Martelli. Ancora più di Tonti, Martelli fu per il D. un maestro sia per le sue eccezionali capacità tecniche sia per le sue immagini grezze e assorte che sapevano unire al rigore stilistico un denso impasto sentimentale. Operatore di macchina, fu quindi impegnato con G. R. Aldo in La terra trema di Visconti nel 1948 e in Miracolo a Milano di V. De Sica nel 1951.
Si concluse così una prima fase nella attività del D., che la ricorderà alla fine della carriera con particolare attenzione: "I grandi film del primo neorealismo ... mi consentirono di entrare e di mettermi in contatto con quegli autori come Rossellini, Visconti, De Sica che in quell'epoca indicavano al cinema italiano, e non solo a questo, la nuova via da percorrere. Oltre ad Ossessione ebbi la fortuna di collaborare a film come Roma città aperta, Paisà, La terra trema, Miracolo a Milano e altri ancora. Furono delle esperienze importantissime per la mia formazione professionale" (Garbarino, p. 209).
Nel 1951 girò, come direttore della fotografia, Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani, ma il vero successo giunse con Amore in città, un film "firmato" da D. Risi, Lizzani, M. Antonioni, F. Fellini e altri. Iniziò così una eccezionale carriera che lo portò a lavorare insieme con i più prestigiosi registi del tempo, dando vita a film molto diversi tra loro.
La vena eclettica del D. nasceva dalla capacità di interpretare fedelmente i pensieri e gli intenti dei singoli registi, sottolineando con un uso sapiente delle luci l'atmosfera adatta ad ogni film. Ad una domanda di Tullio Kezich, che in una intervista gli chiedeva quale fosse la funzione dell'operatore, il D. rispondeva: "Mi sforzo sempre di capire le intenzioni del regista. La fotografia non esiste di per sé, deve essere in funzione del racconto. Bisogna interpretare lo stile, lo spirito di un film. Spersonalizzarsi". A questa dedizione corrispondeva però un tratto personale del D., riconoscibile in tutte le sue realizzazioni nella ricerca costante e coerente di un tipo moderno ed essenziale di raffigurazione e nel desiderio di sperimentare tecniche sempre nuove, raffinate ed espressive, di illuminazione.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta il D. fu accanto ai registi più prestigiosi del cinema italiano, da Lizzani, con cui girò Cronache di poveri amanti nel 1954, a C. Maselli, che lo chiamò alla realizzazione de Gli sbandati del 1955, a F. Rosi, che lo volle direttore della fotografia in La sfida del 1958 e ne I magliari, un'opera del 1959 nella quale il D. diede prova tra l'altro di grande perizia tecnica. Ma fu con Antonioni che il D. espresse, come rileva Sadoul, al meglio il suo talento, sottolineando il tono intimistico caro al regista e offrendo una ricostruzione di ambienti particolarmente suggestiva e coinvolgente. Ne Il grido del 1957 presentava "un esempio eccellente di fotografia psicologica, creando l'atmosfera di mestizia e di sfacelo morale che avvolge il protagonista" (Filmlexicon, II, col. 325). La notte del 1960 e L'eclisse del 1962 confermarono l'eccezionalità della collaborazione di Antonioni con il D. che affinò le sue scelte luministiche, rinunciando quasi completamente alla luce artificiale anche nelle mirabili scene di penombra dei due film e affidando il sapiente impasto luminoso alla sensibilità delle pellicole. Diversa nei timbri, ma non per questo meno riuscita, la fotografia del film di Rosi del 1961 Salvatore Giuliano, che gli valse il quarto Nastro d'argento della sua carriera, dopo quelli conquistati con Le amiche di Antonioni, Il grido e I magliari, rispettivamente nel 1955, nel 1957 e nel 1959.
Nel film di Rosi il D. insisteva su riprese a piena luce con il sole che batteva ostinatamente sui volti dei personaggi, sulle case e le campagne, alternate a momenti di penombra quasi innaturali: "Una illuminazione tipo acquario tutta diffusa e dall'alto ... in vista di una resa fotografica nitida e persino piatta, da documento più che da racconto" (Kezich).
Nel 1962, oltre a L'eclisse, girò Eva contro Eva per la direzione di Joseph Losey, che ebbe modo di apprezzare la professionalitA del D.: "He was marvellous in balancing exteriors and interiors and was never at all worried by complicated camera moves" (cfr. Gillet, p. 150). Nel 1963 iniziò una fortunata collaborazione con Federico Fellini che lo fece conoscere ad un pubblico più vasto e che mise in luce la modernità delle sue soluzioni tecniche; nel D. il regista trovò un collaboratore prezioso in grado di "rappresentare con estrema raffinatezza ed efficacia spettacolare il contenuto spettacolare dell'opera felliniana" (Rondolino, p. 115) e di stemperare un certo barocchismo felliniano. Il D. girò in bianco e nero Otto e 1/2 e va notato il particolare rigore espressivo del film rispetto alla precedente produzione felliniana e il gusto rarefatto della fotografia che interpretava magistralmente il carattere fantastico-allucinato della narrazione.
Lasciato il set di questo film, il D. realizzò, in collaborazione con Lina Wertmüller, la sua unica regia, I basilischi. Come il D. ricorderà in seguito (Qarbarino), il passaggio alla regia fu tutt'altro che semplice per una certa incapacità organizzativa e per l'impaccio a definire autonomamente il carattere di un'opera. Tornò quindi a dirigere la fotografia di numerosi film impegnativi; sempre nel 1963 Le mani sulla città di Rosi e La ragazza di Bube di Luigi Comencini, nel 1964 Gli indifferenti di Maselli. Nel 1965, dopo aver girato La decima vittima di Elio Petri, collaborò con Fellini per la realizzazione di Giulietta degli spiriti, film per il quale ottenne il suo primo Nastro d'argento per la fotografia a colori.
Per G. Rondolino, si tratta del momento più felice della collaborazione con Fellini e, inoltre, della più significativa delle opere del D., poiché "certe soluzioni coloristiche e timbriche devono essere considerate esemplari e costituiscono una tappa fondamentale per la storia della cinematografia a colori" (Rondolino, p. 116). Di fatto, malgrado il successo del film e l'evidente qualità delle riprese, la fotografia risentiva della diffidenza del D. verso il colore: "Il colore - egli affermava - è troppo reale. Con il bianco e il nero si può allo stesso tempo costringere lo spettatore al proprio gusto e lasciargli un ampio margine di immaginazione; con il colore questo non è possibile" (cfr. Garbarino, p. 210). Il tentativo di tradurre gli esasperati contrasti luminosi della produzione precedente e di ritrovare l'effetto di ambienti fumosi e dai contorni sbiaditi in una più netta organizzazione dei timbri di luce portò comunque ad alcune forzature, dall'insistito uso del giallo ad una evidente ricerca dell'effetto.
Meno evidenti questi limiti negli altri film a colori, che il D. girò a partire dal 1958, come Rascel-Marine di Guido Leoni, La prima notte di Alberto Cavalcanti, Crimen di Mario Camerini fino a Il momento della verità di Rosi del 1965. Si tratta per lo più di opere di minore impegno per il D. che si valeva di una fotografia nitida e precisa che sottofineava icaratteri e dava verosimiglianza agli ambienti. Di questo filone secondario della produzione del D. fanno parte numerosi film (da Il capitano di Venezia di G. Puccini, girato nel 1952, a Donne e soldati di Luigi Malerba e Antonio Marchi del 1954, a Un ettaro di cielo di A. Casadio e I soliti ignoti di M. Monicelli del 1958, a Nel blu dipinto di blu di P. Tellini del 1959, all'episodio Gente moderna di Monicelli nel film Alta infedeltà del 1964), che malgrado il loro valore spesso modesto hanno un peso nella evoluzione del Di Venanzo.
Riprendendo decine di storie di intreccio, costruite sulla caratterizzazione di alcuni "tipi" umani, il D. imparò a concentrare la sua attenzione sulle figure immaginarie che si muovevano nella pellicola: "Attraverso il tempo, si è abituato a giudicare, a vedere, a 'sentire' e quindi a ritrarre il personaggio, non l'attore. Attraverso il personaggio - e non già attraverso l'attore - si crea la fotografia; ed il personaggio ha bisogno di un'atmosfera e di un rilievo particolari, suoi propri" (Garbarino, p. 209).L'ultimo film al quale il D. partecipò fu The honey pot di J. L. Mankiewicz, che venne terminato da P. De Santis. Morì a Roma il 3 genn. 1966.
Oltre ai film già citati nel testo, ricordiamo del 1953: Ai margini della metropoli di C. Lizzani, Terra straniera di S. Corbucci; 1955: Lo scapolo di A. Pietrangeli; 1956: Difendo il mio amore di V. Sherman e G. Macchi, Quando tramonta il sole di G. Brignone, Suor Letizia di M. Camerini, Kean di V. Gassman, Terrore sulla città di A. G. Majano; 1957: La legge è legge di Christian-Jacque, Rascel-Fifi di G. Leoni; 1958: Un ettaro di cielo di A. Casadio; 1959: La prima notte di A. Cavalcanti, Il nemico di mia moglie ovvero Il marito bello di G. Puccini; 1960: Un mandarino per Teo di M. Mattoli, Vento del Sud di E. Provenzale, I delfini di F. Maselli; 1961: Il carabiniere a cavallo di C. Lizzani; 1964: La donna è una cosa meravigliosa (episodio La balena bianca di M. Bolognini), Alta infedeltà (episodio Gente moderna di M. Monicelli), Gli indifferenti di F. Maselli; 1965: Il momento della verità di F. Rosi (in coll. con A. Paolin e P. De Santis), Il morbidone di M. Franciosa.
Fonti e Bibl.: F. Carpi, Cinema ital. del dopoguerra, Milano 1958, pp. 244, 250, 254; J. Gillet, G. D., in Sight and sound, XXXIV (1964), 3, p. 150; V. Spinazzola, Film 1964, Milano 1964, p. 234; A. Garbarino, G. D. Un uomo che ha paura, in Rivista del cinematografo, XXXVIII (1965), 4-5, pp. 209 ss.; J. Sadoul, Dictionnaire des cineastes, Paris 1965, p. 70; A. Perrone, G. D., in Unitalia, XVII (1966), 4, p. 47; G. Rondolino, Dizionario del cinema ital., Torino 1969, pp. 115 s.; G. Grazzini, Gli anni Sessanta in cento film, Bari 1977, pp. 40, 79, 117, 146; T. Kezich, Una luce all'italiana, in La Repubblica, 11 nov. 1981; Enc. d. spett., Aggiorn., coll. 290 s.; Filmlex., II, coll. 324 s., Aggiorn., I, col. 794.