Soldanieri, Gianni (o Giannuzzo) de'
Personaggio fiorentino di cui D. colloca lo spirito, confitto nel ghiaccio dell'Antenora, fra i traditori per motivi politici, accanto a Gano di Maganza e a Tebaldello degli Zambrasi (cfr. If XXXII 121). Causa della condanna immaginata dal poeta è la parte avuta dal S. nell'insurrezione avvenuta in Firenze l'11 novembre 1266 contro il conte Guido Novello, capo dei ghibellini toscani, e i suoi mercenari tedeschi.
Il tumulto costituì l'epilogo del dissidio scoppiato fra i ghibellini, ancora padroni della città, e il popolo che li aveva abbandonati alla loro sorte dopo la scomunica loro comminata da Clemente IV alla metà dell'ottobre, rompendo la linea politica di solidarietà antiguelfa che ne aveva contraddistinto i rapporti fin dall'agosto precedente. Guido Novello, presentendo vicino lo scontro, aveva concentrato in città, accanto ai seicento cavalieri tedeschi, un migliaio circa di compagni di partito, fatti venire da Pisa, da Siena, da Arezzo e da altri luoghi della Toscana; forte dell'esercito così radunato, aveva tentato di ottenere dai Trentasei - i membri dell'ufficio dalle attribuzioni prevalentemente finanziarie istituito da qualche settimana in ossequio alla volontà del pontefice - l'imposizione di una nuova ‛ gravezza ' che procurasse il denaro necessario al pagamento dei suoi mercenari. Le difficoltà e i temporeggiamenti interposti dai Trentasei, poco inclini a sottoporre i cittadini a nuove tassazioni, irritano il conte che, ritenendosi forte a sufficienza, mosse all'assalto della bottega dei consoli di Calimala dove i Trentasei tenevano consiglio. I Lamberti diedero il segnale dell'attacco, mentre al soccorso dei Trentasei cominciavano a muovere i popolani armati, raccoltisi in brevissimo tempo attorno ai gonfaloni delle Arti. La zuffa, tuttavia, si sarebbe difficilmente risolta a favore del popolo, mancando esso di edifici fortificati in cui asserragliarsi contro le scorrerie dei cavalieri, se Gianni S. non fosse all'improvviso passato coi suoi dalla parte popolare, mettendo a disposizione degli artieri le case della consorteria di cui era fra i principali esponenti. Da queste e dalla vicina torre dei popolari Girolami divenne più facile ai popolani bersagliare con grosse pietre i cavalieri ghibellini, mettendone in crisi lo schieramento e obbligandoli a ritirarsi.
Fu in conseguenza di questo inatteso tradimento che Guido Novello, scoraggiato e incerto sul da farsi, chiese ai frati gaudenti rettori del comune di poter uscire con i suoi dalla città; nella quale, quantunque lo tentasse il giorno seguente, non sarebbe più potuto rientrare. La giornata dell'11 novembre, grazie all'intervento del S., segnò così la fine della prevalenza ghibellina in Firenze e avviò la crisi finale di quella Parte politica che si sarebbe conclusa il 16 aprile 1267 con l'esodo dei ghibellini dalla città, mentre vi si avvicinavano i cavalieri inviati da Carlo d'Angiò per troncare le residue tendenze del comune popolare a una politica di pacificazione e di equilibrio fra i due gruppi avversari.
In premio del tradimento Gianni S. fu nominato capitano del popolo e venne inserito, insieme con i frati gaudenti, ai Trentasei e ai priori delle Arti, nel governo provvisorio istituito in attesa che Clemente IV provvedesse a dare a Firenze un regime stabile secondo i suoi interessi. Ma restò per breve tempo sulla cresta dell'onda, sospetta com'era al papa la sua troppo fresca conversione al guelfismo (come il pontefice stesso confidava a Iacopo da Collemedio - cui intendeva conferire la carica di podestà di Firenze -, scrivendogli il 23 novembre che " nos convenit et decet quod sit aliquis ibi [in Firenze] populi capitaneus, sed fidelis et de parte Ecclesiae et qui te in omnibus adiuvet nec possit iurisdictionem tuam in aliquo enervare "), e fu ben presto privato della carica a opera di Elia Peleti, reggente il governo comunale in attesa dell'arrivo del Collemedio. Giunge a questa conclusione il Salvemini osservando che di lui non si fa più cenno nelle lettere inviate da Clemente IV ai Fiorentini, e che i cronisti non lo ricordano altrimenti, dopo averne sottolineato il gesto traditore insieme col danno che ne era derivato non solo alla Parte ghibellina ma allo stesso autore (" si fece capo del popolo per montare in istato, non guardando al fine, che dovea riuscire a sconcio di parte ghibellina ", scrive G. Villani [VII 15]).
Allontanatosi da Firenze insieme col fratello Pipino, Gianni riparò in Prato, ov'era ancora vivo nel 1285, quando intentò una lite contro i reggitori del comune.
Bibl. - G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Torino 1960², 267-317 (Excursus I, Il passaggio del comune di Firenze a parte guelfa. 1266-1267); cfr. anche Davidsohn, Storia II I 829); II II 210 e seguenti.