SELVA, Giannantonio
– Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Zulian, sestiere di S. Marco, il 2 settembre 1751, da Lorenzo, ‘ottico pubblico’ della Repubblica Serenissima di Venezia, e da Anna Bianconi (Bassi, 1936).
Il padre, autore del saggio Sei Dialoghi ottici teorico-pratici..., Venezia 1787, e il nonno Domenico, rinomato costruttore di lenti e di cannocchiali con bottega a S. Marco, furono conoscenti del conte Francesco Algarotti, cui Lorenzo dedicò un opuscolo del 1761 con la descrizione degli strumenti ottici congegnati da suo padre; la frequentazione della villa degli Algarotti sul Terraglio presso Carpenedo fu determinante nella formazione dell’adolescente Giannantonio, che assimilò lo spirito illuminista rappresentato da Bonomo Algarotti, fratello di Francesco, e infatti su richiesta di questi iniziò l’attività di saggista con la redazione del catalogo dei quadri della collezione del conte deceduto.
Fondamentale per la specifica istruzione nelle materie dell’architettura pratica e teorica di Selva fu Tommaso Temanza, famoso architetto allievo di Giovanni Scalfarotto.
Bartolomeo Gamba (1766-1841) riporta inoltre che Selva apprese le tecniche del disegno da Pietro Antonio Novelli (1729-1804) e che ebbe come maestro di prospettiva Antonio Visentini (1688-1782): però nessun influsso stilistico e metodico di tale accademico si riscontra nella pubblicazione Le fabbriche più cospicue di Venezia. Misurate, illustrate ed intagliate dai membri della Veneta Reale Accademia di Belle Arti, Venezia 1815, curata da Selva insieme a Leopoldo Cicognara e Antonio Diedo, repertorio le cui tavole dei disegni tecnici degli edifici, rilevati con la supervisione di Selva e restituiti in pianta, prospetto e sezione, dimostrano poche affinità con la serie di vedute artistiche incise da Visentini e tratte da Canaletto.
Il gusto per la decorazione d’interni in stile neoclassico derivò a Selva dal viaggio in Olanda e in Inghilterra, durante il quale ebbe modo di vedere varie realizzazioni degli architetti William (1688-1748) e Robert Adam (1728-1792); ne sono testimonianza i riattamenti di alcune dimore patrizie, come ad esempio la sistemazione del palazzo Dolfin Manin, del 1793.
Insieme all’amico fraterno Antonio Canova, dal 1778 al 1780 Selva trascorse un periodo a Roma, dove conobbe Giacomo Quarenghi, e nel 1778, su commissione del senatore Abbondio Rezzonico (1742-1810), realizzò la decorazione della sala da musica del palazzo del Campidoglio, da poco ultimata dal collega bergamasco; nello stesso anno si cimentò nell’addobbo della sala da ballo di palazzo Venezia su incarico dell’ambasciatore della Repubblica Serenissima, il patrizio Girolamo Zulian (1730-1795 circa).
Data al periodo romano anche l’incontro con il letterato Ippolito Pindemonte, che gli dedicò l’ode Al signor Giannantonio Selva veneziano, architetto illustre.
Solamente nel 1786 Selva ottenne il diploma di perito per l’esercizio della professione di architetto, ma già nel 1787 fu nominato professore di architettura statica all’Accademia di belle arti di Venezia, presso cui divenne titolare della cattedra dal 1797; la sua carriera fu poi coronata nel 1808, durante il Regno d’Italia, con la nomina a ingegnere direttore delle Fabbriche Comunali.
Selva svolse la professione di architetto prevalentemente in Veneto, ideando numerose opere, di cui alcune di notevole impatto urbanistico.
L’edificio esemplare di Selva, universalmente noto, è il teatro La Fenice. Nel 1787 la Nobile Società decise di erigere un nuovo teatro a Venezia, nel febbraio del 1789 Selva ricevette l’incarico di rilevare l’area individuata per l’edificazione, a S. Fantin, e il primo novembre uscì il bando di concorso per la progettazione; fu nominata una commissione di esperti composta da Simone Stratico (1733-1824), Benedetto Buratti (1724-1804) e Francesco Fontanesi (1751-1795), giuria che scelse il progetto di Selva, suscitando accese polemiche.
Nel 1790 iniziarono i lavori di edificazione, e il 16 maggio 1792 La Fenice fu inaugurata con la messa in scena dei Giuochi d’Agrigento, dramma con musiche di Giovanni Paisiello su libretto di Alessandro Pepoli (1757-1796).
Un intervento urbanistico di grande impatto nell’assetto della città di Venezia fu affidato a Selva quando, nel 1807, il prefetto del Dipartimento dell’Adriatico insediò per la redazione del piano regolatore una Commissione per l’Ornato che propose di creare dei giardini pubblici a Castello; dopo il rifiuto dei primi due progetti, l’architetto presentò al viceré Eugenio Beauharnais una terza e ultima variante che prevedeva la demolizione di una vasta area edificata ritenuta di scarsa rilevanza; per dotare la città di un giardino pubblico si procedette quindi alla distruzione di molti edifici di edilizia minore e di complessi monumentali ecclesiastici che qualificavano il sito.
La stessa logica di rinnovamento urbano connotò il progetto ideato per l’isola della Giudecca, che non fu realizzato per l’importo esorbitante delle spese necessarie.
Un’altra opera con valenza urbanistica fu il cimitero di S. Cristoforo, i cui lavori di edificazione furono iniziati nel 1808. Oggi, però, la parte eretta da Selva non è più individuabile a causa di successive modifiche attuate da Annibale Forcellini a partire dal 1870: rimangono tuttavia i disegni a testimonianza della rigorosa essenzialità d’impostazione dell’impianto originario.
Su scala minore l’adattamento della chiesa di S. Maria della Carità, del convento dei canonici lateranensi e della Scuola Grande di S. Maria della Carità ad Accademia di belle arti fu un’operazione attuata da Selva per modernizzare edifici preesistenti; per quanto concerne il convento, tra il 1807 e il 1811 l’architetto demolì o alterò le parti residue della fabbrica eretta nel 1560 da Andrea Palladio, ormai fatiscente e semidistrutta da un incendio, e procedette a un restauro innovativo al solo scopo di recuperare il complesso per la nuova destinazione d’uso.
Un ambito in cui l’architetto fu attivo fu l’ideazione di opere effimere, come l’arco di trionfo sul Canal Grande che Selva allestì nel 1807 per l’ingresso in città di Napoleone Bonaparte re d’Italia; questa costruzione scenografica fu una delle realizzazioni più riuscite di Selva quanto ad apparato decorativo e impatto visivo della mole dell’arco a scavalco, di cui si conosce l’aspetto fastoso e imponente grazie al coevo dipinto di Giuseppe Borsato (1770-1849), intitolato Il corteo acqueo di Napoleone davanti alla Chiesa degli Scalzi.
Rimase invece sulla carta il grandioso complesso progettato per lo studio di scultura di Canova alle Zattere, concepito a un tempo come un laboratorio e un museo, un edificio che, se realizzato, avrebbe lasciato un segno memorabile nell’architettura veneziana.
All’esame critico la figura professionale di Selva presenta aspetti controversi in quanto è del tutto avulsa dall’idea di conservazione, e caratterizzata da interventi spesso poco rispettosi del dato storico, come le parziali demolizioni di opere di architetti a lui precedenti dimostrarono ampiamente.
Infatti Selva, sebbene cultore dell’architettura dei grandi maestri del passato, si dimostrò disinvolto nel modificare e alterare gli edifici esistenti laddove conservare avrebbe inficiato i suoi intenti. Del resto va rilevato che la specificità di Venezia ha sempre obbligato gli architetti a scelte legate al peso delle opere murarie, alla portata delle fondazioni e alla disponibilità di spazio, vincolandone così anche le opzioni formali e strutturali al particolare contesto. Dunque a Selva si presentarono talora solo due possibilità: demolire e modificare l’esistente oppure limitarsi a interventi morfologici. Ciononostante Selva risulta una personalità d’interesse tra l’ultimo quarto del Settecento e i primi lustri dell’Ottocento, se non altro perché ha lasciato a imperitura memoria un edificio celebre, il Gran Teatro La Fenice, e ha aperto l’epoca delle ingenti trasformazioni e delle devastazioni del patrimonio edilizio che hanno caratterizzato l’evoluzione urbana veneziana nei secoli XIX e XX.
Morì a Venezia il 22 gennaio 1819 (Gamba, 1819).
Nello stesso anno Emanuele Cicogna (1789-1868) riferì che era stata tratta la maschera del viso del defunto Selva con l’idea di fornire un rame a Canova affinché potesse modellarne l’effige, ma non si ha notizia di un ritratto di Selva eseguito dall’eccelso scultore. Esisteva invece un busto in gesso di Jacopo de Martini, che era esposto nell’andito d’ingresso alla scala a chiocciola dell’Accademia di belle arti di Venezia (Catalogo degli oggetti d’arte esposti..., 1869). Nella chiesa di S. Maurizio una lapide commemorativa con il suo ritratto in tondo lo ricorda ai posteri.
L’insegnamento accademico e le relazioni personali valsero a Selva numerosi titoli, tra cui la nomina a socio di merito all’Accademia di Venezia nel 1787 e poi quella ad accademico e a professore di ruolo all’Accademia di Firenze nel 1795, l’aggregazione all’Accademia nazionale di Bologna come socio onorario nel 1805, e infine la nomina ad accademico di S. Luca a Roma nel 1812.
All’attività di architetto si devono numerose realizzazioni, tra le più significative delle quali si ricordano l’edificazione della chiesa di S. Maurizio, nel sestiere di S. Marco, iniziata nel 1806 sul modello del patrizio Pietro Zaguri (1733-1804) e continuata da Antonio Diedo; e l’erezione della chiesa del Nome di Gesù a S. Chiara, nel sestiere di S. Croce, che, iniziata nel 1815 e terminata sotto la direzione di Diedo, fu inaugurata nel 1834.
Tra le altre opere vanno annoverate: a Vicenza, sul monte Berico, la costruzione di villa Ambellicopoli, nel 1799; a Padova il rifacimento del palazzo Pisani de Lazara nel 1782, la trasformazione degli interni del palazzo Dotti Vigodarzere nel 1796, l’ideazione del monumento funebre della contessa tedesca Louise Diede zum Fürstenstein agli Eremitani nel 1803 (per cui Canova realizzò il vaso cinerario entro il 1806); a Verona la costruzione di casa Vela Negri; a Treviso il progetto di villa Manfrin a S. Artemio nel 1794 e l’erezione del casino Soderini presso Porta S. Tommaso nel 1796; a Feltre la trasformazione nel 1802 del salone dell’ex palazzo dei Rettori in teatro e, nello stesso anno, l’edificazione della casa dei conti Norcen; a Stra la scuderia della villa Gritti nel 1811; a Trieste l’avvio dei lavori della sala interna del teatro Grande, poi ultimata da Giuseppe Piermarini e Matteo Pertsch (1780-1834) tra il 1798 e il 1801.
Fonti e Bibl.: Disegni e progetti di Selva si conservano nel Fondo disegni d’architettura presso il Gabinetto dei disegni e delle stampe del Museo Correr di Venezia.
G. Selva, Catalogo dei quadri, dei disegni e dei libri che trattano dell’Arte del Disegno, della Galleria del fu signor conte Francesco Algarotti, Venezia 1776; A. Memmo, Semplici lumi tendenti a render cauti i soli interessati nel teatro da erigersi nella parrocchia di S. Fantino in Venezia..., Venezia 1790; S. Stratico, Teatro della Fenice e Palazzo Manin, Venezia 1790; G. Selva, Delle differenti maniere di descrivere la voluta Jonica, e particolarmente della regola ritrovata da Giuseppe Porta, detto Salviati, con alcune riflessioni sul capitello Jonico, Padova 1814; Id., Elogio di Michel Sammicheli architetto civile e militare, Venezia 1814; A. Diedo, Elogio del Prof. Gio. Antonio Selva, Venezia 1819; B. Gamba, Opuscolo di Gio. Antonio Selva postumo, colle notizie della sua vita, Venezia 1819; L. Cicognara, Biografia di Antonio Canova, Venezia 1823, pp. 45 s., 86, 101, 118, 126-128; Delle iscrizioni veneziane raccolte ed illustrate da Emmanuele Antonio Cicogna cittadino veneto, IV, Venezia 1834, pp. 7, 11, 27 s., 594; Lettere familiari inedite di Antonio Canova e di G. S., a cura di D. Selva, Venezia 1835; F. De Boni, Biografia degli artisti, Venezia 1840, p. 945; G. Fontana, Venezia monumentale. I palazzi, Venezia 1845, pp. 42-46; P. Selvatico, Sull’architettura e sulla scultura in Venezia dal Medioevo ai giorni nostri, Venezia 1847, pp. 167, 193, 283, 286, 330, 474 s., 477, 480; Catalogo degli oggetti d’arte esposti al pubblico nella R. Accademia di Belle Arti in Venezia, Venezia 1869, p. 4; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Milano 1926, pp. 135, 290, 437, 457, 479, 492, 613, 634; E. Bassi, G. S. architetto veneziano, Padova 1936; Ead., G. S., in Enciclopedia Italiana, XXXI, Roma 1950, pp. 330 s.; D.R. Paolillo - C. della Santa, Il Palazzo Dolfin Manin a Rialto, Venezia 1970, passim; E. Bassi, Il convento della Carità, Vicenza 1971; N. Mangini, I teatri di Venezia, Milano 1974, pp. 160 s., 167-170, 172, 220, 222 s.; E. Bassi, Palazzi di Venezia, Venezia 1976, passim; S. Piplovic, L’architetto G. S. ed il classicismo in Dalmazia, in Arte veneta, XXX (1976), pp. 214-218; G. Romanelli, Venezia Ottocento, Roma 1977, passim; M. Brusatin - G. Pavanello, Il Teatro la Fenice, Venezia 1987; E. Balistreri, G. S. Biografia e opere, Roma 2014.