GABRIEL (Gabrieli), Giannantonio
Nacque a Venezia, e fu battezzato col nome di Giovanni Antonio Fernando, nella parrocchia di S. Maria Mater Domini il 27 genn. 1722 da Triffone e da Anna Maria Girardi, appartenenti al ceto dei cittadini originari. Dal matrimonio erano nati altri due maschi, Gianfrancesco (1713), notaio e continuatore della famiglia, e Giambattista (1717), ecclesiastico. Il padre del G. - "legittimo discendente di sangue patrizio" dei patrizi Gabriel del ramo Bragora - viveva della rendita proveniente da beni immobili a Venezia e da possedimenti a Godega, presso Sacile, dove aveva anche una casa dominicale. Il G., come conveniva al suo ceto, ricevette una regolare istruzione scolastica e fu approvato dall'avogaria il 2 apr. 1729. La sua attività pubblica iniziò il 27 febbr. 1735, allorché fu scelto come ballottino dal doge Carlo Ruzzini, diventando poi notaio ducale. Il 5 febbr. 1737 fu nominato notaio "estraordinario" della Cancelleria ducale. Dal 1741 al 1743 fu a Palmanova al fianco del provveditore Alvise Mocenigo, che raccomandandolo al Senato ne sottolineò, oltre alla "fresca età", l'impegno sostenuto "con li numeri più desiderabili d'attenzione e d'abilità". Il 9 dic. 1743 il G. fu assegnato come segretario a Pietro Andrea Cappello, che si recava ambasciatore straordinario a Londra per riprendere i rapporti diplomatici interrotti nel 1737 a causa delle simpatie mostrate dalla Serenissima verso Carlo Edoardo Stuart, figlio del pretendente al trono inglese. Partito da Venezia nel gennaio del 1744, il G. rimase in Inghilterra fino all'agosto 1748 maturando una proficua esperienza dei problemi internazionali. Ritornato in patria, esercitò per qualche tempo le normali funzioni di Cancelleria e nel febbraio 1750 salì un altro importante gradino della carriera con la nomina a segretario del Senato, indispensabile per accedere poi agli incarichi più delicati.
Nel 1753 fu per la seconda volta accanto al Cappello all'ambasciata di Roma, una delle sedi diplomatiche più scomode per le frequenti crisi tra Venezia e la S. Sede; non pochi dei maneggi gravarono sulle spalle del G., che ne trasse tuttavia utili insegnamenti e prestigio, vivendo anche una parentesi culturale e arcadica col nome di Falcimbo. A partire dal 21 maggio 1757 con il richiamo del Cappello, accusato di connivenza col papa, fu lasciato al G. il compito di reggere in qualità di incaricato d'affari la sede diplomatica, in attesa del nuovo ambasciatore Pietro Correr. Nei sette mesi che seguirono, il G. trattò con la Sede apostolica innumerevoli questioni, di ordinaria amministrazione e di insidiosa rilevanza per i rapporti tra i due Stati. Particolare attenzione dedicò ai lavori del nuovo porto di Ancona e alle questioni internazionali, con un controllo attento dell'attività delle potenze europee. Nell'ottobre 1757 il G. fu inviato a Torino e il 7 genn. 1758 il Senato deliberò in suo favore un vitalizio di 9 ducati al mese, da aggiungere ai fondi ordinari. Per sottrarsi agli imbarazzi protocollari inflitti ai residenti veneti non patrizi, il G. ritardò il suo arrivo a Torino fino al 22 agosto.
Negli anni '50 lo Stato sabaudo si orientava verso una politica di rafforzamento sul piano internazionale e di modernizzazione interna. La corte di Carlo Emanuele III era tuttavia "gelosa nel lasciar scorgere le proprie intenzioni", ma il G. riuscì a svolgere al meglio il suo servizio utilizzando ampiamente - e non senza infortuni - i servigi di informatori prezzolati, nonché l'amicizia con Domenico Caracciolo, inviato straordinario del Regno di Napoli e futuro viceré di Sicilia. Osservatorio di prim'ordine per conoscere le vicende di Francia e Spagna e per intuire in anticipo sviluppi essenziali alla politica neutralistica di Venezia, Torino meritava l'alacre attivismo del G. e i suoi precisi resoconti.
Firmato l'ultimo dispaccio il 16 genn. 1763, il G., più esperto e cresciuto nella considerazione del suo governo, lasciò Torino per la prestigiosa sede di Milano. Vi giunse il 5 maggio e il 18 presentò le credenziali al ministro plenipotenziario conte C.G. Firmian.
Milano era investita dal processo di riforme - condotte da W.A. Kaunitz e dal Firmian - che colpiva i radicati interessi oligarchici e l'aristocrazia locale, alle ragioni della quale, come quasi tutti i diplomatici veneti in Lombardia, il G. si mostrava sensibile. Diversamente che a Torino, a Milano furono i fatti interni a monopolizzare le informazioni inviate a Venezia, in primo luogo le riforme teresiane, per i possibili contraccolpi su Venezia. L'impegno del G. fu assorbito prevalentemente dalle questioni confinarie relative al fiume Tartaro, già regolate dal recente trattato di Ostiglia, ma fonte di frequenti diatribe sulla sua applicazione. "Materia per sé medesima astrusa difficile e pericolosa" la definì il G., per l'ingarbugliata commistione di idraulica e politica. Altrettanto ostica fu la trattativa in materia di convenzione postale, che si trascinò dal 1764 al 1769. A negoziare entrambe le questioni il governo veneziano inviò uno dei suoi uomini più autorevoli, Andrea Tron, l'ispiratore della politica di pace e neutralità della Serenissima e in buoni rapporti con Vienna.
Il G., che al Tron era politicamente vicino, si legò ancor più a lui nell'importante ruolo di mediatore con le autorità milanesi; questo legame gli valse il sostegno dell'eminente patrizio nella carriera, a cominciare dalla nomina a residente a Napoli, cui teneva molto, e che gli giunse il 6 ag. 1766. L'ultimo dispaccio da Milano è del 6 ottobre e conclude una lunga serie di penetranti resoconti, corredati dai profili dei personaggi che aveva conosciuto, primo fra tutti il Firmian, verso il quale si mostra assai critico. Ne rivela l'egocentrica ambizione e la tendenza a mettere in ombra i collaboratori, compiacendosi di segnalare ogni voce a lui contraria e di coglierne le inquietudini dietro l'apparente sicurezza di potere. Il G. raggiunse la nuova destinazione solo il 30 apr. 1767 e il 12 maggio presentò le credenziali al primo ministro B. Tanucci.
Al G. si palesarono pienamente il clima politico, il malfunzionamento dell'apparato amministrativo e la stretta dipendenza del Regno da Madrid, nonché il diffuso desiderio di modernizzazione. Come al solito non tralasciò nulla che potesse interessare il suo governo, senza far differenza tra la cronaca minuta, gli avvenimenti di alta politica e gli scenari internazionali. Diritti consolari, commercio, pirateria, tariffe doganali, i dettagli sulle guerre europee e coloniali o sulla rivolta dei Paolisti di Corsica furono oggetto dell'attenzione del residente. Ma già il 9 giugno il G. scrisse: "Qui frattanto non d'altro ragionasi che delle vicende de Gesuiti, divenuti essendo un sogetto non indifferente". È l'esordio di una lunga serie di note sulla campagna di delegittimazione della Compagnia di Gesù, chiaro episodio della politica giurisdizionalistica attuata dalle potenze europee che finì per imporsi anche a Napoli. In un crescendo di tensioni e di instabilità sul piano operativo, il 24 nov. 1766 si arrivò al decreto di espulsione dei gesuiti. Con gusto per il dettaglio il G. offre un resoconto vivo della vicenda, accompagnando l'altalenante susseguirsi dei fatti con giudizi che, pur aderenti all'azione del governo, non mancano di obiettività, né evitano di registrare la manifesta ostilità popolare al provvedimento. Centrale la figura del Tanucci che "con l'arguta sua direzione", col "sapere" e il "ragiro" teneva le redini della politica partenopea.
Il 9 sett. 1769 il G. fu eletto segretario del Consiglio dei dieci e il suo soggiorno napoletano si concluse alla fine di giugno del 1770. Tornato a Venezia, svolse per quattordici anni i delicati compiti di segretario dell'"Eccelso tribunale" in una città oscillante tra un sicuro conservatorismo e sussulti di cambiamento, ancora dominata dalla figura del Tron. Il 7 giugno 1784 fu eletto dal Maggior Consiglio cancellier grande, assumendo quindi la guida di tutto l'apparato amministrativo centrale. Adeguata e rituale l'ampia serie di componimenti encomiastici sull'avvenimento, sulla brillante carriera e, significativamente, sulle origini patrizie del neoeletto. La carica fu esercitata dal G. con la consueta scrupolosità sia nell'adempimento delle mansioni di routine, come il riordino dell'archivio, sia di quelle straordinarie, come la trascrizione delle leggi statutarie. Numerosi i pareri che egli fornì al Consiglio dei dieci su questioni inerenti l'organizzazione degli uffici. Di particolare rilievo le sue osservazioni sulla trascrizione delle leggi statutarie che aveva preso avvio con Arcangelo Zavanti e che il G. continuò ad aggiornare. Richiamò l'attenzione del Consiglio dei dieci su sviste ed errori, suggerendo un'accurata revisione e un aggiornamento, con congruo apparato di note e un sommario. Per migliorare l'efficienza della Cancelleria, inficiata dalla mancanza di zelo e dalla deviazione di alcuni addetti dai loro doveri, propugnò tra l'altro il mantenimento della progressione nelle carriere e la garanzia di incentivi per chi assumesse gli incarichi. La carenza di personale (72 tra ordinari e straordinari, anziani o troppo giovani e alcuni con tre o quattro incarichi) e la tendenza dei notai ordinari a sottrarsi al servizio straordinario spinsero il G. a proporre l'utilizzazione pro tempore degli ordinari in aspettativa. Per ovviare all'inconveniente del personale giovane assegnato troppo presto alle cariche fuori Venezia e che arrivava in Cancelleria senza il necessario bagaglio di conoscenze, suggerì che i più giovani - una volta compiuti i diciotto anni - fossero destinati in Cancelleria.
Il 12 maggio 1797 la fine della Repubblica di S. Marco trascinò con sé il G., ridotto sul lastrico per la perdita della dignità e delle prebende e oberato dai debiti contratti al momento di assumere il cancellierato. Il 18 genn. 1798 gli Austriaci entrarono a Venezia e il G. inviò una supplica all'imperatore, chiedendo la concessione di una investitura perpetua su alcuni fondi boschivi nel Pordenonese per sottrarsi al vergognoso disagio economico che tanto pesava sulla famiglia. L'appello fu accolto con benevolenza ma senza risultati concreti. La notte del 27 luglio 1803 (il 23 secondo il nipote Vettor) "Il Nob. Signor GioAntonio Kr Gabrielli q. Triffon ex Canc.r Grande, in età d'ani 81" mentre rincasava a tarda notte "dentro della porta di sua abitazione assalito da forte colpo centrale finì di vivere in pochi minuti". I nipoti - con i quali il G., scapolo e senza figli, visse - fecero celebrare funerali solenni nella chiesa a S. Marcuola, ove il G. era andato ad abitare.
Dal fratello Gianfrancesco erano nati due maschi, Vettor e Giannantonio - che servirono nella Cancelleria ducale prima, e poi sotto le amministrazioni municipalista, francese e austriaca - e tre femmine: Giustina, maritata con Gerolamo Zanetti, Vittoria, che sposò Gerolamo Agazzi, e Marianna.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori dei patrizi veneti, II, c. 187; Cancellier grande, rr. 1, 3-9; bb. 19, 20, 22; Ibid., Avogaria di Comun, bb. 369, 409; Ibid., Compilazione leggi, I serie, b. 108, c. 658; Ibid., Notai di Venezia, Atti, Indice delle parti, lett. G, f. 6; ibid., Indice generale, II (1802); ibid., Testamenti, b. 17, n. 503; Ibid., Segretario alle Voci, Elezioni in Pregadi, rr. 23, 25; Ibid., Dieci savi alle decime in Rialto, b. 323, n. 1; r. 1328; reg. 1526, c. 286; regg. 1531, 1534; Ibid., Misc. codd., I, Storia veneta, 6: G. Toderini, Cittadini, p. 907; Ibid., Misc. Atti diversi mss., filza 138, n. 29; Ibid., Consiglio dei dieci, Comuni, r. 193 (9 dic. 1743); Ibid., Senato, Terra, r. 353, c. 430v; Ibid., Dispacci Expulsis papalistis, filza 40; Ibid., Dispacci degli amb. e residenti, Roma, filza 277; Ibid., Torino, filze 11-13; Ibid., Milano, filze 203-208; Ibid., Napoli, filze 147 s.; Ibid., Secreta, Materie miste notabili, filza 181; Ibid., Arch. propri degli amb., Roma, 126, cc. 884-902; 128, c. 906; 177; Ibid., Censo provvisorio, Notifiche, n. 2727; Ibid., Governo generale, 1798, XI, 81 (b. 237); 1798, XII, 58, 66 (b. 239); 1802, IV, 246; 1802, XXIX, 26 (b. 1436); bb. 1733, 1994; Ibid., Provveditori e sopraprovv. alla Sanità, Necrologi, b. 991; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 504 (=7611); 2000 (=7716); Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Donà dalle Rose, bb. 291, 401; Ibid., Mss. Cicogna 3015/VIII, 3215, 3231/5; Ibid., Mss. P.D. C 902; Ibid., Mss. Correr, 1375; Ibid., Opusc. Cicogna 840/6. Tra i numerosi componimenti encomiastici: Poesie per l'ingresso solenne…, Venezia 1785 (con incisioni); P.A. Evangelo, Orazione nel solenne ingresso…, [Venezia] 1785; M. Filippi, Componimenti…,Venezia 1785; [C. Tentori], Raccolta cronologico-ragionata di documenti inediti… della rivoluzione e caduta della Repubblica di Venezia…, Firenze 1800, II, p. 265; A. Longo, Dell'origine e provenienza in Venezia de' cittadini originari, Venezia 1817, pp. 59 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane…, IV, Venezia 1834, p. 689; Verbali delle sedute della Municipalità provvisoria di Venezia 1797, II, a cura di A. Alberti - R. Cessi, Bologna 1932, ad ind.; A. Tirone, I residenti veneti e il riformismo in Lombardia, in Studi veneziani, VIII (1966), pp. 481-489; Relazioni dei rettori veneti…, XIV, Provv. generale di Palma[nova], a cura di A. Tagliaferri, Milano 1979, p. 475; G. Tabacco, Andrea Tron e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, Udine 1980, p. 149; D. Sella - C. Capra, Il Ducato di Milano dal 1553 al 1796, Torino 1984, p. 378; A. Zannini, Burocrazia e burocrati a Venezia in età moderna: i cittadini originari (sec. XVI-XVIII), Venezia 1993, p. 114; G. Scarabello, L'albergo universale dei poveri: una riforma mancata nella Venezia settecentesca, in Chiesa Società e Stato a Venezia, Miscell. di studi in onore di S. Tramontin, a cura di B. Bertoli, Venezia 1994, pp. 187, 195 n.