BERTI, Gianlorenzo
Nacque a Seravezza, in Versilia, il 28 maggio 1696, da Luca e da Domenica Boncia, secondo di quattro fratelli. Nel 1711 entrò nel convento agostiniano di Barga, ove fece il periodo di oblatura; fu quindi novizio a S. Nicola di Pisa, emettendo la professione solenne nel 1713. Affiliato al convento di S. Spirito, a Firenze, vi seguì il corso di grammatica, trasferendosi poi a Roma, nel convento di S. Agostino, per i corsi di filosofia (1714-16), che completò nel convento della Consolazione di Genova (1716-17). Compì, quindi, gli studi di teologia ancora nel convento di S. Spirito a Firenze (1717-1718) e a S. Giacomo in Bologna (1718). Il 30 sett. 1719 il B. fu dichiarato lettore di filosofia, in seguito alla discussione pubblica di una tesi su s. Girolamo. Incerta è la data della sua ordinazione sacerdotale avvenuta probabilmente nel 1721 0 1722. Intanto, distintosi per le sue eccellenti doti oratorie, il B. fu invitato, in occasione del capitolo provinciale pisano tenutosi a Pistoia, a pronunciare il discorso panegirico Delle lodi della città di Pistoia (Perugia 1725). A Padova dal 1720 come lettore di logica, il B. insegnò filosofia dal 1722 al 1724, esercitando poi il medesimo incarico a Firenze (1724-25) e quindi a Perugia. Nella quaresima del 1725, in qualità di predicatore inquisitoriale, tenne una missione per gli Ebrei di Livorno, pronunciando l'orazione Che il vero Messia era già venuto, Livorno 1725. Quindi, superati gli esami ad regentiam il 25 nov. 1726, diresse successivamente gli studi maggiori di Genova (1728-29), Siena (1729-31), Firenze (1731-33). Ininterrotta fu in questi anni la predicazione quaresimale che il B. svolse a Padova, Verona, Roma, Rimini, Firenze, Fano; nel 1732 fu nominato anche esaminatore sinodale dell'archidiocesi fiorentina, e probabilmente in quello stesso anno entrò nel numero degli accadetnici Apatisti. Frattanto, il 9 giugno 1733 veniva dichiarato maestro di teologia e inviato a Bologna, ove fu reggente fino al 1735, allorché fu chiamato a Roma.
Questo trasferimento, che lo lasciava libero da ogni carica nell'Ordine, fu dovuto al desiderio del padre Nicolantonio Schiaffinati, eletto generale nel 1733, di affidargli la stesura di un nuovo manuale teologico per le scuole agostiniane, che soppiantasse i vecchi manuali e costituisse un efficace mezzo di diffusione delle proposizioni della scuola agostiniana "rigida". Era evidente in ciò l'obiettivo di riallacciarsi all'insegnamento del Noris e del Bellelli, nell'ambito di un tentativo volto a creare nell'Ordine una più intima religiosità, attingendo, contro la tradizione scolastico-aristotelica, direttamente alle fonti. Era perciò importante per lo Schiaffinati, accanto alla riforma dell'osservanza, la riforma degli studi.
Il B. lavorò all'opera dal 1735 al 1742. Frutto di questi anni di fatiche furono gli otto volumi De theologicis disciplinis; a Roma nel 1739 ne uscivano alla luce i primi tre: Prolegomena, de existentia et proprietatibus unius Dei; De summa Trinitate, de Angelis ac de creatione; De originali peccato, de libero arbitrio, de gratia;nel 1740 il quarto: De lege et praeceptis humanis;nel 1742 il quinto: De Verbo divino ac Redemptione; tra il 1743 e il 1745 gli ultimi tre: De sacramentis.
L'intento perseguito dal B. nella sua opera non era quello di creare una nuova scuola, ma di spiegare in senso rigido quella egidiana, che per molti secoli era stata seguita dalla maggioranza degli agostiniani. Non v'è perciò una totale condanna degli scolastici, cui il B. non nega un certo valore, ma l'invito ad aggiornarli, giovandosi per gli studi teologici di una più profonda conoscenza dei testi patristici (De theologicis, I, p. XX: "vera tantum probate: ante interpretum commentaria scrutamini textus auctorum"). Il rifiuto sostanziale della "sicura" guida della filosofia scolastica e l'esortazione al ritorno alle "fonti" comportava il rischio di un eccessivo avvicinamento alle posizioni di quei gruppi religiosi che, partendo dallo studio diretto di s. Agostino, avevano dato vita al movimento giansenista. Il B. pensava di evitare tale pericolo seguendo la strada già additata da Cristiano de Wolf (Lupo) e soprattutto da E. Noris, F. Bellelli, G. Zazzeri e B. A. Gattini. I punti più controversi della dottrina dell'agostinianismo rigido riguardavano i problemi della grazia e del libero arbitrio, in quanto essa metteva in dubbio, contro l'opinione della scuola molinistica, la possibilità che l'uomo possa cooperare attivamente con Dio per raggiungere la salvezza eterna. Il B., sostenendo tale tesi, cerca di distinguerla nettamente dalla dottrina giansenistica: la grazia efficace, da lui concepita differente dalla grazia sufficiente, è dilettazione vittrice della concupiscenza, ma può essere rifiutata; il libero arbitrio pertanto, pur ferito dal peccato originale, aiutato dalla grazia del redentore, può operare per raggiungere la salvezza; i meriti del Cristo, comunque, se in teoria sono per tutti, ("voluntate antecedente"), nella pratica ("voluntate consequente") non vengono conferiti a tutti, come ai bambini morti senza battesimo, agli infedeli, ai peccatori induriti. Nella morale il B., riallacciandosi alle correnti rigoristiche, proclama contro il lassismo l'insufficienza dell'attrizione (timore della dannazione) per ricevere la grazia divina nel sacramento della penitenza, allorché manchi l'amore di carità, anche iniziale, verso Dio.
Il nuovo manuale, la cui prima edizione ebbe una tiratura di circa seicento copie, fu introdotto nel 1746, nonostante lo scarso favore dei padri reggenti, in tutti gli studi maggiori d'Italia, per ordine del padre generale Agostino Gioia. All'estero ebbe, invece, una minore fortuna, essendo adottato soltanto a Varsavia nel 1749 dal padre reggente Erasmo Bartolt, che aveva studiato in Italia, e verso il 1760 in alcuni collegi austriaci e tedeschi. In breve, comunque, la diffusione dell'opera fu tale da richiedere nuove edizioni (nel 1765 usciva a Roma la settima edizione), venendo scelta anche da altri ordini religiosi come testo scolastico. Ma, accanto al favore, essa suscitò anche violente reazioni.
Il primo attacco venne da parte del canonico de Gorgne, della diocesi di Soissons, che aveva avuto modo di conoscere i primi tre volumi del De theologicis disciplinis, mentre si trovava a Roma per il conclave del 1740:particolarmente nel terzo il de Gorgne scorgeva germi pericolosi di giansenismo, cosicché, nel denunziare al S. Uffizio il De modo reparationis del Befielli, vi aggiungeva dei Rémarques sur la théologie du père B., riguardanti la sua dottrina della grazia e del libero arbitrio. La tesi del de Gorgne venne nettamente confutata dal consultore del S. Uffizio G. Besozzi, cui si affiancarono subito dopo i consultori F. Tamburini e della Torre, i quali giudicarono ortodosse le opinioni dei due agostiniani. Per il momento sembra che il B. ignorasse la pericolosità degli oppositori (egli stesso nel 1740 aveva potuto togliere ogni dubbio circa la propria ortodossia al cardinale A. G. de Rohan).
Il B., che durante il periodo della stesura del manuale aveva esercitato le mansioni di archivista e soltanto casualmente, per l'assenza del segretario Giannicola Chiesa, nel capitolo generale di Rimini del maggio 1739 era stato creato pro-segretario, nel 1742 fu nominato reggente di S. Agostino a Roma, ove si stabilì dopo un breve soggiorno a Firenze, dovuto a motivi di studio. In questo periodo godette di grande considerazione: stimatò da Benedetto XIV, fu invitato a far parte, fin dalla fondazione, dell'Accademia di storia ecclesiastica, ove tenne numerose conferenze (alcune sono conservate nelle Prose volgari, Firenze 1759), riguardanti argomenti dottrinali dei primi secoli della Chiesa. Nel capitolo generale del 1745, cui partecipò come definitore generale della provincia pisana, egli venne eletto segretario generale con il titolo e i privilegi di ex assistente generale, conservando la carica di reggente a Roma, fino a quando, per lavori di restauro a S. Agostino, lo studio fu trasferito a Perugia. In tale occasione il B., preferendo la vita di studioso alla carriera curiale, rinunciò al segretariato (1° maggio 1746) e seguì i suoi studenti, ritornando poi a Roma come bibliotecario dell'Angelica.
Si facevano sempre più frequenti, frattanto, gli attacchi polemici contro il suo manuale, tanto da provocare un intervento dello stesso padre Gioia, il quale lo invitava ad una giustificazíone. Il B. rispose con una lettera il 12 febbr. 1745 (Petisti a me…, in Bibl. Apost. Vat., Ottob. Lat.3153, ff. 86-89, pubblicata in parte dal van Luijk), in cui difendeva le proprie tesi, promettendo comunque di ritrattare, per dovere di obbedienza, le proposizioni che fossero eventualmente condannate come erronee. Il più serio di questi attacchi, comunicato direttamente al papa e patrocinato dal cardinale de Tencin, gli era stato mosso dal vescovo di Rodez, J. d'Yse de Saléon, con l'opuscolo Baïanismus et lansenianismus redivivi in scriptis PP. FF. Bellelli et Berti, s. l. 1744: ciò che più preoccupava era la minaccia di far condannare l'opera del B. dall'assemblea del clero gallicano. Ma Benedetto XIV volle che si agisse con molta cautela prima di giungere ad una condanna che avrebbe potuto provocare una frattura irrimediabile all'interno della Chiesa cattolica, in un momento in cui le dispute teologiche fervevano nuovamente, particolarmente in Francia: da parte degli antimolinisti già un domenicano di Rodez denunciava al segretario dell'Indice, G. A. Orsi, l'intento del suo vescovo di far condannare dalla S. Sede non tanto il giansenismo, quanto le dottrine tomistiche ed agostiniane. Il papa rispose pertanto al vescovo che avrebbe fatto esaminare le opere in questione da competenti ed imparziali teologi, dando tale incarico a G. Besozzi, il quale, riconoscendo che il Befielli e il B. non seguivano in materia di grazia il principio delle due dilettazioni sostenuto da Giansenio, diede torto al Saléon.
Benedetto XIV invitò, allora, il B. a difendersi dalle accuse fattegli, mentre invano il vescovo di Rodez cercava di ottenere un intervento della assemblea dei clero di Francia: infatti il presidente di questa, monsignor L. de Chapt de Rastignac, non accolse la tesi del Saléon per mancanza di altre testimonianze a lui favorevoli. Anche la facoltà teologica dell'università di Vienna si rifiutò di condannare il B. finché Roma non si fosse pronunciata; contro il B. si ebbe soltanto una censura della facoltà teologica di Magonza.
La difesa del B., Augustinianum systema de gratia…, Romae 1747, si basava sull'asserzione che la sua dottrina era quella di tutta la scuola agostiniana, che egli desiderava difendere da ogni accusa di giansenismo; secondo il B., Giansenio aveva adottato buoni principi scendendo a false conclusioni; se erano state condannate tali conclusioni, ciò non significava che fossero stati condannati anche tali principi: perciò non era vero che l'uso di un principio di Giansenio implicasse l'accettazione integrale della sua dottrina. Di questa difesa il papa aveva permessa la stampa, perché fosse inviata riservatamente agli accusatori, ma non la pubblicazione, essendo sempre più convinto che il metodo migliore per impedire dolorose lacerazioni in seno alla Chiesa, che doveva in quegli anni difendersi anche dai primi attacchi del movimento illuminista, fosse quello di sopire le dispute teologiche imponendo il silenzio.
Forse fu questo il motivo per cui il B. decise di allontanarsi da Roma, accettando la cattedra di storia ecclesiastica dell'università di Pisa, offertagli da G. Cerati (1748); secondo un'altra ipotesi, la partenza da Roma sarebbe stata causata da un dissidio avuto con il padre Gioia, che gli avrebbe rimproverato il fallimento degli esami di lettorato sostenuti dai suoi studenti nel 1747 e avrebbe impedito la sua nomina ad assistente generale dell'Ordine e a consultore dei Riti.
Nel 1749, comunque, l'apologia del B. veniva pubblicata, suscitando una replica del Saléon: Documentum pastorale… in commentitiam apologiam cui titulus Augustinianum systema, Vienne 1750; mentre un altro vescovo francese, J. J. Languet de Gercy di Sens, pubblicava il Iudicium de operibus theologicis FF. Bellelli et Berti, Sens 1750, inviandolo al papa e chiedendone l'approvazione. Benedetto XIV, pur disapprovando il modo di agire del B., che aveva incautamente riaperto la polemica diffondendo la propria opera (Lettere di B. XIV, p.281, 10 giugno 1750 al de Tencin: "Noi siamo malcontenti di Berti, che è un religioso insolente") e nonostante le pressioni dell'autorevole cardinale francese, riaffermò l'impossibilità di condannare il sistema teologico agostiniano, in quanto ciò avrebbe portato ad una "universale rivoluzione" (ibid.). Per il medesimo scopo, ad evitare, cioè, altre recriminazioni, il papa si adoperò, secondo i desideri del de Tencin, ad impedire che nel capitolo di Bologna del 1753 il B. fosse eletto generale dell'Ordine: non sembra, comunque, che egli vi aspirasse seriamente (Correspondance de Benoît XIV, a c. di E. de Heeckeren, II, pp. 257 e 274).
Il fatto di essersi allontanato da Roma non valse, tuttavia, a dare al B. una maggiore tranquillità: sembra anzi che più ardente fosse in lui il desiderio di proseguire nella via intrapresa, nella lotta contro il molinismo e per la diffusione della dottrina agostiniana. Prova evidente ne è lo scarso impegno con cui condusse i due lavori eruditi commissionatigli nel 1749 dal padre Gioia, cioè la preparazione del Bollario e degli Annali agostiniani. Né grande valore ebbe il suo insegnamento nello studio pisano: le sue lezioni, una volta pubblicate (Dissertationum historicarum quas habuit in Archigymnasio Pisano volumina tria, Florentiae 1753-56), incontrarono scarsi consensi, soprattutto per la superficialità e la mancanza di senso critico del B. che dava credito a molte pie leggende. Il suo insegnamento fu anche lontano da atteggiamenti regalistici e non sentì l'influsso delle correnti filo-illuministiche che si diffusero in quel periodo nell'ateneo pisano. Creato teologo di S. M. Imperiale, il B. partecipò, comunque, alla riforma del tribunale dell'Inquisizione in Toscana, nel 1755-56.
Ormai la sua polemica teologica aveva suscitato vasti echi anche in Italia. Socio dell'Accademia degli Apatisti di Firenze, annessa all'università, il B. fu invitato nel 1752 a tenervi un discorso inaugurale, che ne apriva un nuovo periodo di attività: l'argomento fu uno studio comparativo del concetto di Dio nelle varie religioni (Prose volgari, pp.1-79). L'anno seguente suscitò perplesse osservazioni un altro intervento oratorio del B. che definiva come platonici i padri della Chiesa (ibid., pp. 299-318). Più strettamente connesse con la sua polemica sono le tre conferenze Della dottrina teologica contenuta nella Divina Commedia di Dante Alighieri, Firenze 1756, che gli davano modo di ribadire le sue posizioni, con una sintesi delle opinioni della scuola agostiniana. Sempre nello stesso anno il B. pubblicava una vita di s. Agostino (De rebus gestis s. Patris Augustini, Venetiis 1756), per esortare i confratelli ad una più approfondita conoscenza del santo: l'opera, comunque, veniva subito giudicata mediocre e di gran lunga inferiore alle precedenti biografie agostiniane del Tillemont e del Muratori.
Frattanto il B. doveva controbattere la vena polemica dei gesuita F. A. Zaccaria, il quale fin dal 1750 aveva iniziato la pubblicazione della sua Storia letteraria d'Italia,in cui attaccava violentemente l'Augustinianum systema, prendendo le difese e le parti del Saléon (II, Venezia 1751, pp. 13-33, 209, 481),accusava il B. di essere l'autore della Lettera di fra Guidone Zoccolante a frate Zaccaria gesuito, Cosmopoli 1751,offensiva per la Compagnia di Gesù (III, Venezia 1752, pp. 747-751)e di svolgere in generale un'accanita propaganda antigesuitica con le conferenze pubbliche fiorentine (IV, Venezia 1753, pp. 208 s., 286-317).
Il B. rispose al primo attacco con il Ragionamento apologetico, Torino 1751,in cui ripresentava le sue convinzioni teologiche, e al quarto volume dello Zaccaria con il Disinganno del padre Fulgenzio Moneta da Bagnone all'autore dell'opera intitolata "Storia letteraria d'Italia…", Arbenga 1753,in cui respingeva, tra l'altro, l'attribuzione della Lettera di fra Guidone (scarso fondamento ha pure l'attribuzione al B. del Supplemento ovvero osservazioni fatte a' cinque primi tomi della Storia letteraria d'Italia, Lucca 1753-54). Pubblicava poi, per incitamento del giansenista G. Cerati, provveditore dello Studio pisano, una risposta al Languet: In opusculum… inscriptum Iudicium de operibus theologicis FF. Bellelli et Berti aequissima huius expostulatio, Liburni 1756. Un altro giansenista, il conte De Gros, lo incaricava quindi di confutare una satira gesuitica contro un'enciclica di Benedetto XIV diretta ai vescovi francesi (Exomnibus Christiani orbis del 16 ott. 1756), in cui, intervenendo sulla questione se la bolla Unigenitus fosse "regula fidei", il papa ne initigava il valore dommatico, spiegando che dovevano ritenersi scomunicati soltanto coloro che notoriamente le erano disobbedienti.
Lo scritto del B. (Dissertatio in defensionem encyclicae Summi Pontificis Benedicti XIV adversus improbum quattuor dubiorum consarcinatorem, stampata nella settima edizione del De theologicis disciplinis, Romae 1765, II, pp. 361-368) non trovò il gradimento di monsignor G. Bottari e del gruppo giansenista dell'Archetto, che vi scorsero un'eccessiva indulgenza per i molinisti. In sostanza era proprio il nucleo della dottrina teologica del B. a non soddisfare il Bottari, il quale trascurò due volte, nel 1755 e nel 1759, di appoggiare la candidatura del B. al cardinalato. Per i più coerenti giansenisti italiani, infatti, il B. poteva costituire un'ottima copertura per la loro dottrina, data la somiglianza di alcune affermazioni; ma allorché essi cercheranno di affermare positivamente le loro idee di riforma religiosa, le sue opere saranno giudicate severamente. Scipione De Ricci scriveva al granduca Pietro Leopoldo alla vigilia dei sinodo di Pistoia, il 4 ag. 1786 (E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, I, Firenze 1941, 125 n.): "la dottrina del Berti mostra che quell'autore è di peggior fede dei gesuiti"; mentre l'anno dopo, durante l'assemblea dei vescovi di Toscana, F. De Vecchi reagiva vigorosamente al tentativo dei vescovi di S. Miniato, Arezzo e Sansepolcro di includere il corso teologico del B. nel piano di studi, definendolo "pernicioso ed erroneo"; e nell'ultima sessione presentava insieme a V. Palmieri e F. Longinelli una relazione contro le opere del B. (Atti dell'Assemblea degli arcivescovi e vescovi della Toscana, Firenze 1787, III, pp. 443 ss.).
Negli ultimi anni, per incarico del padre generale F. S. Vazquez, il B. scrisse un manuale storico per gli studenti dell'Ordine (Historiae ecclesiasticae breviarium, Pisis 1760), che ebbe una certa fortuna nel trattare gli avvenimenti più recenti si nota una certa esitazione nell'uso del termine "giansenista".
Nel 1761, avendo difeso in un suo parere il giuspatronato della Repubblica di Lucca sulla mensa arcivescovile contro le pretese papali, fu aspramente ripreso da Clemente XIII e dal Vazquez, e forse ciò non fu estraneo ad un attacco di apoplessia sofferto nel 1762. Ripresosi, pubblicò un Consulto teologico-morale in difesa dell'innesto del vaiuolo (Pisa 1763), in cui interveniva a favore dell'allora discussa pratica medica. Nello stesso anno si recò a Venezia e a Bassano del Grappa, ove si accordò col tipografo G. B. Remondini per la stampa delle sue Adnotationes in Historiae Pelagianae libris duobus, Bassani 1766, e dell'Opera omnia del Noris (Bassani 1769, postuma).
Dopo aver respinto l'ultima accusa di giansenismo (Augustini latinorum patrum nobilissimi quaestionum de scientia, de voluntate et de providentia Dei, nec non de praedestinatione ac reprobatione atque de gratia reparatoris dilucidatio, Pisis 1766) il B. si spegneva a Pisa il 27 marzo 1766.
Fonti e Bibl.: Per un più completo elenco delle fonti e della bibl. relative alla vita, alle opere e alle polemiche teologiche del B., rimandiamo alle ricche note del saggio di B. Van Luijk, Gianlorenzo Berti agostiniano (1696-1766), in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XIV(1960), pp. 235-262, 383-410, che è l'unico lavoro critico dedicato finora al Berti. Ci limitiamo qui a ricordare alcune opere pubblicate successivamente: N. Carranza, Monsignor G. Cerati provveditore della univ. di Pisa, in Boll. stor. pisano, s. 3, XXX (1961), pp. 136, 150, 155 n., 164, 279; E. Appolis, Entre zelanti et jansénistes, Le tiers Parti catholique au XVIII siècle, Paris 1960, ad Indicem; F.Margiotta Broglio, Estremisti e moderati nelle lotte dottrinali e politiche del Seicento e Settecento, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XVI(1962), pp. 299-301, 303; A.Vecchi, Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, Venezia-Roma 1962, pp. 249 s., 376-378, 423-25, 438, 452, 463 s., 476, 519, 609; Lettere di Benedetto XIV al card. de Tencin, a cura di E. Morelli, II, Roma 1965, ad Indicem; M. Rosa, in Diz. Biogr. degli Italiani, VII, Roma 1965, pp. 624-627, s. v. Bellelli Fulgenzio.