Contini, Gianfranco
Dopo alcuni scritti minori, il C. dà un primo fondamentale contributo agli studi danteschi con l'edizione delle Rime (1939). Al di là dell'analisi delle costanti o delle opzioni stilistiche (con fitti richiami alla tradizione poetica preesistente) vi emergono alcuni temi fondamentali di un'interpretazione globale della lirica dantesca. Tali il rifiuto della nozione unitaria di ‛ canzoniere '; l'attenzione volta alla poetica ‛ in re ' di D., cioè al " perpetuo sopraggiungere della riflessione tecnica accanto alla poesia " e quindi alla possibilità di ravvisare nelle rime di D. " le tracce di una cronologia ideale ", anzi una serie aperta di tentativi e sperimentazioni su vari fronti, secondo l'uso dei suoi maestri e amici ma con tutt'altro animo, scevro di scetticismo.
Nasce la formula critica di un sistema " plastico di rapporti tra cose " come solo modo d'esprimersi dello stilnovista; e d'altra parte il rifiuto di ogni deduzione grettamente realistica, non disgiunto dalla " possibilità germinale " di una ‛ ironia ' dantesca; o l'asserzione della mancanza di ‛ lirismo ', denotante " un processo d'inquietudine permanente ". In quest'ambito si collocano la riscoperta di Guittone in D.; il riconoscimento di una prima e decisiva svolta nelle poesie della ‛ loda '; e di una seconda nel passaggio dalla poesia amorosa alla morale, dalle nove rime al bello stile, dalla poetica oggettiva all'allegorica. In tali anni, all'entusiasmo scientifico-morale s'unisce quello dell'occitanista che riscopre direttamente i grandi testi provenzali: in primo piano Arnaut Daniel per le ‛ petrose ', esperienza perpetuata nella Commedia " come presa di possesso del reale non pacifico ". Viceversa la tenzone con Forese " offre la deformazione violenta della caricatura ". Così " la poetica del risentimento s'innesta singolarmente sulla poetica della vita morale ", che acquista a sua volta una " realtà figurativa " (Tre donne), con qualche segno però d'involuzione (Doglia mi reca e la ‛ montanina '). Cioè, " il conflitto delle cronologie si fa indizio perentorio della crisi fondamentale delle Rime, quand'esse stanno (non indarno) per cessare ". Nei Poeti del Duecento (1960) D. è il polo di confronto obbligato e mai evaso.
Col saggio sul XXX dell'Inferno (1953) ha inizio l'approccio del C. con la Commedia, caratterizzato da alcune direttive che rimarranno costanti: la strenua ricerca delle " immagini patologiche ", del vocabolo raro o unico, insomma dello ‛ stil comico ' di D.; l'analisi delle procedure di ‛ contaminatio ' nell'uso dell'‛ exemplum '; la consapevolezza " che si sta trattando un'epoca teologale dove la storia è universale e indistinta rappresentazione, e i suoi dati tutti equidistanti dallo spettatore "; l'insistenza sul nesso ‛ funzionale ' tra invenzione lirica e linea strutturale; infine la ricerca di ‛ fonti ' che alla funzionalità aggiunga " l'intensa storicità linguistica dell'invenzione ".
Tali interessi culminano nel saggio del 1958 su Dante come personaggio-poeta della " Commedia ", il cui canone del personaggio-poeta si fa " criterio esegetico e insieme scandaglio euristico ": in Adamo, Francesca, Cavalcanti, Forese, Bonagiunta, Guinizzelli, Arnaut Daniel.
Altri approdi negli Appunti su Purgatorio XXVII (1959): verifica strutturale della dialettica personaggio-poeta; prevalenza data al poeta-retore sul filosofo-teologo; recupero delle ascendenze occitaniche attraverso Guinizzelli; ricerca delle peculiarità lessicali e stilistiche o topiche, che stanno insieme a indicare la presenza del ‛ trobar clus ' nei suoi istituti più tipici. Lettore restio di canti isolati (commento al XXVIII del Paradiso, del 1965), il C. nutre però la fiducia che " sulla costruzione e lo sviluppo narrativo " predomini " l'esecuzione verbale, da verificare con meraviglia e sgomento ad ogni apertura di pagina ".
Il C. dunque eredita dalla più recente esegesi dantesca il gusto per la problematica del ‛ personaggio ' che dice " io " nella Commedia ma orienta la ricerca verso il tessuto formale e i valori linguistici del poema. L'elemento di mediazione fra continuità narrativa o contenuto ideologico del viaggio e il contrappunto di ritmo e poesia è fornito dal richiamo all'azione del protagonista come personaggio-poeta, che opera cioè secondo schemi che lo qualificano anzitutto come poeta. Tale sintesi dinamica consente di attenuare un'altra antinomia tradizionale, quella fra allegoria e simbolo: se l'una infatti rimanda il lettore alla linea sistematica della Commedia per il rispetto che essa impone per i principi che regolano gli eventi, e invece l'altro alla forza espressiva centrifuga che sottrae parole e ritmi allo schema teologico e li perpetua nella memoria, il livello artistico appare raggiungibile solo quando la carica simbolica si è neutralizzata nella grezza trama. Adesione dunque alla problematica del doppio registro e insieme ripresa della dicotomia crociana, qualora ai rapporti spaziali si sostituiscano metafore temporali, come ‛ durata ' d'immagini liriche nella memoria del lettore. La varietà di quel mondo potrà così riportarsi a talune costanti della ‛ memoria ' di D.: volta ora alle proprie letture, recuperate in una coesistenza simultanea; ora all'acquisizione della realtà in tutte le sue accezioni, anche topiche; ora infine verso sé stesso, in echi o anticipi, e per tramiti più musicali o analogici che semantici o narrativi. Se le preferenze del C. vanno all'interpretazione di rilievi tecnici o di astrazioni ritmiche, proprio in quanto egli intenda recuperarne i nessi mnemonici ove si cela embrionalmente tanta sapienza artistica, ciò tuttavia non significa rinuncia a definire il macrocosmo poetico o l'ideologia dantesca. Nel C., certo, l'allusione alla totalità del mondo dantesco sopraggiunge, discretamente, per un atto d'interiore vigilanza, solo quando chiaro si avverte il pericolo - implicito nella tendenza a porre in rilievo prevalente la componente letteraria dell'ispirazione dantesca - di far scadere la rettifica dell'univoca interpretazione romantica di D. in un'altrettanto ambigua limitazione della sua personalità entro un profilo di ‛ chierico ' o ‛ retore '.
Non sorprende invece che il C. si sia spinto ultimamente a una rischiosa operazione di recupero del testo più illustre della: ‛ appendix ' dantesca, riproponendone una lettura in chiave stilistica e rinnovando con eleganza una questione che sembrava sopita: " Il Fiore... s'inserisce assai razionalmente nella contrastata carriera di Dante, di cui perfino le opere più indiscutibili smentiscono la monumentale invariabilità e sanciscono vitali contraddizioni. Il poemetto non è un aneddoto di gioventù, è un anello della grande catena ".
Scritti danteschi del C.: recens. a D.A., De vulgari Eloq., a c. di A. Marigo (Firenze 1938), in " Giorn. stor. " CXIII (1939) 283-293; D.A., Rime, a c. di G.C., Torino 1939 (19462); Esercizi d'interpretazione sopra un sonetto di D., in " Immagine " I (1947) 288-295; Sul XXX dell'Inferno, in " Paragone " XLIV (agosto 1953) 3-13, poi in Lett. dant. 585-594; rec. a M. Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di D. (Pisa 1953), in " Giorn. stor. " CXXXI (1954) 220-226; Postilla dantesca, in Freundesgabe für Ernst R. Curtius, Berna 1956, 95-102; rec. a C.S. Singleton, Dante Studies, I (Cambridge 1954), in " Romance Philology " IX (1956) 463-467; D. come personaggio-poeta della " Commedia ", in " L'Approdo letterario " IV (1958) 19-46, poi in Secoli vari ('300-'400-'500), Firenze 1958, 21-48; Alcuni appunti su Purgatorio XXVII, in Studi in onore di A. Monteverdi, I, Modena 1959, 142- 157; Postilla celestiniana, in " Studi d. " XXXVIII (1961) 128-130; Un esempio di poesia dantesca..., in " L'Approdo letterario " XI (1965) 3-18, e col titolo Il canto XXVIII del Paradiso, in Lect. Scaligera III 5-34; Filologia ed esegesi dantesca, in " Atti Acc. Naz. Lincei " CCCLXII (1965) VII 1 18-37; La questione del " Fiore ", in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 768-773; D. oggi, in " Corriere della sera " 30 luglio 1965; Un'interpretazione di D., in " Paragone " CLXXXVIII (ottobre 1965) 3-42; Manoscritti meridionali della " Commedia ", in D. e l'Italia meridionale, Firenze 1966, 336-341; Cavalcanti in D., in Le Rime di G. Cavalcanti, a c. di G.C., Verona 1966, 3-25; Stilemi siciliani nel " Detto d'Amore ", in Convegno di studi su D. e la Magna Curia, Palermo 1967, 83-88. Si vedano inoltre note, introduzioni e indici generali dei Poeti del Duecento da lui curati, Milano-Napoli 1960; Esperienze d'un antologista del Duecento poetico italiano, in Studi e problemi di critica testuale, Bologna 1961, 241-272.