MAIA MATERDONA, Gianfrancesco
Nacque a Mesagne, presso Brindisi, il 4 sett. 1590 da Pomponio Maia e da Ippolita Materdona, entrambi di famiglia nobile.
Fu destinato alla professione giuridica e si laureò nei primi anni del Seicento a Napoli, dove entrò in contatto con G.B. Manso marchese di Villa e con diversi esponenti dell'Accademia degli Oziosi. Da un documento dell'ottobre 1615 risulta che era già revisore degli Oziosi per i testi in volgare; è del 9 genn. 1616 un'importante lettera del M. a Bartolomeo Francone con diverse informazioni sull'attività dell'accademia (De Miranda, pp. 347-350).
Malgrado l'ammissione nella più importante esperienza culturale napoletana del tempo, emergono fin qui scarse prove poetiche del M.: le prime liriche, legate all'amore infelice per una Lisa, rimasero confinate a una circolazione manoscritta tra amici e sodali, lasciando tuttavia traccia in una serie di sonetti di Cataldo Antonio Mannarino (Rime, Napoli 1618, pp. 380-385).
Da testimonianze sparse nell'epistolario risultano soggiorni a Napoli, a Firenze, nelle Marche e in diverse città dell'Abruzzo (Chieti, L'Aquila, Vasto), fino all'approdo, nel 1621, a Roma dove, superata a stento una malattia grave (più avanti descritta nell'Utile spavento del peccatore, Roma 1649, p. 73 e in Rime, n. 390: da qui in avanti si cita dalle Opere, a cura di G. Rizzo), fu ammesso nell'Accademia degli Umoristi (presentato da Giulio Cesare Stella), ed entrò così nell'orbita della poesia di Giambattista Marino, largamente conosciuta negli anni napoletani.
Il clamoroso ritorno di Marino da Parigi fu celebrato in Rime n. 274 e ancora a Marino, seppure indirettamente, si collega l'esordio a stampa del M.: Alcuni versi per le virtuose donne Francesca Signorini Malaspina e Adriana Basile musiche famose, recitati pubblicamente nell'illustrissima Academia degli Humoristi di Roma (Roma 1624), dove l'omaggio alle due cantanti, scandito su tredici componimenti, si intreccia a una celebrazione della poesia di Marino (cfr. Rime, nn. 289-296), figura ancora dominante nei primi mesi del 1624, eletto principe degli Umoristi.
Una piccola silloge di versi, ancora per Cecchina Signorini e per la Basile, ma composti anche in occasione della morte del cardinale Alessandro Peretti (giugno 1623) e dell'elezione di Urbano VIII (agosto 1623), risulta sia stata dedicata al cardinale Maurizio di Savoia, ma non è pervenuta. Nel 1624, ancora dall'interno dei circoli culturali romani, il M. portò a termine una poderosa opera in prosa pubblicando, presso Ludovico Grignani, la raccolta di lettere Le buone feste.
La dedica sempre al cardinale Maurizio di Savoia, datata 1 settembre, e la premessa firmata dal conte Francesco Sforza mettevano in luce il disegno e la speranza del M.: accasarsi come segretario presso la vivace corte romana del cardinale. Le quattrocento missive, divise in proposte e risposte, scritte a nome proprio o a nome altrui, tutte in occasione di feste, volevano mostrare l'abilità dell'autore nell'arte della variatio, esercitata su un contenuto sostanzialmente identico, di volta in volta declinato secondo necessità. La peculiarità consisteva nella mancata individuazione dei destinatari, sostituiti dalla sigla N.N., con la sola indicazione del luogo di partenza (spesso Roma, Napoli, l'originaria Mesagne) e di quello di destinazione delle missive, a rendere più neutro l'insieme e più agevole il riutilizzo di formule ed espressioni entro altri contesti. Alcune lettere lasciano tuttavia trasparire il destinatario (Carlo Emanuele I di Savoia, il granduca di Toscana Ferdinando II de' Medici, ecc.) e consentono di intravedere elementi autobiografici: così l'importante lettera conclusiva indirizzata a Gabriele Zinano.
Ad appena un mese dalla prima stampa, non essendo evidentemente riuscito il tentativo di accasarsi presso Maurizio di Savoia, il M. decise di mutare il dedicatario de Le buone feste, indirizzandole in una seconda edizione romana del 1624 a Marcantonio Borghese, con lettera in data 5 ottobre. Una nuova edizione, accresciuta, fu stampata a Milano nel 1630 (con la dedica al Savoia), accompagnata da una nota di Vespasiano Bianchetti che dava informazioni sui giudizi raccolti dall'opera nel corso degli anni, e tentava di rovesciare in pregio virtuosistico l'accusa sorta da più parti di una tendenziale monotonia. Un'aggiunta, probabilmente da ascrivere a iniziativa d'autore, si registra nella quarta edizione, napoletana del 1636, seguita da una nuova e più ampia romana del 1640, comprendente ormai più di cinquecento lettere (cfr. Opere, pp. 67-70).
Anche la dedica a Borghese non produsse frutti, e il M. fu probabilmente costretto a tornare a Napoli, dove intanto era morto Marino (Rime, nn. 321, 345, 434), passando a Pisa, come attestano alcuni versi in un'importante raccolta inedita di rime di encomio (Ghirlanda di fiori poetici per coronare G. M.M.).
Si tratta di una silloge, abbondante di componimenti in latino, in volgare, in spagnolo (tra gli autori Claudio Achillini, Gabriello Chiabrera, Andrea Barbazza, Giambattista Basile), raccolta nel ms. Bibl. apost. Vaticana, Borg. lat., 541, in vista di un progetto di edizione cui non pare estraneo lo stesso M. (cfr. c. 238r).
Nel marzo 1628 era a Bologna, in contatto con l'ambiente dei Gelati, ma già nel febbraio aveva stampato a Modena Alcuni sonetti boscherecci (in numero di 41), dedicandoli al principe Luigi d'Este.
Nella raccolta è evidente la presenza del modello di Marino, non soltanto per l'elaborazione di topoi pastorali ripetutamente variati nella sezione boschereccia delle Rime mariniane del 1602, ma anche per le prove all'insegna di una sperimentazione metrica (per es. il Pianto d'Ergasto, in versi sdruccioli), dove il M. mostrava l'attenta lettura condotta su alcuni idilli della Sampogna.
In una stampa bolognese la raccolta dei sonetti boscherecchi, con il titolo variato in Rime boscherecce, fu reindirizzata dal M. al granduca di Toscana Ferdinando II di passaggio per la città. È il segno più evidente, non l'unico, di un bisogno di protezioni cortigiane che, dopo il passaggio romano senza successo, continuava a condizionare pesantemente il percorso del M., e ne segnava intanto la vivace attività editoriale.
Nel maggio del 1628 andarono a stampa i Cento sonetti amorosi (Bologna), che in parte riprendevano la raccolta dei componimenti boscherecci. La dedica è indirizzata a Odoardo Farnese, duca di Parma e Piacenza. La celebrazione delle nozze del Farnese con Margherita de' Medici, a Firenze nell'ottobre 1628, cui il M. assistette, gli fruttò il dono di una collana d'oro (cfr. Rime, nn. 239, 243, 273), ma non, ancora una volta, un impiego stabile.
Nel 1629, con l'intento di stampare la raccolta delle rime in cui, alla soglia dei quaranta anni, riponeva molte delle sue ambizioni, il M. si spostò da Bologna a Milano e quindi a Venezia, dove entrò in contatto con Giulio Strozzi e partecipò con due sonetti alla raccolta di rime Preludii alle glorie degl'illustrissimi signori Nicolò Barbarigo e Marco Trevisano (Venezia 1630, p. 113) e, soprattutto, curò da vicino la pubblicazione delle sue Rime presso E. Deuchino.
La raccolta si articola nelle sezioni Amorose, Encomiastiche, Sacre (dedicate rispettivamente a Carlo Emanuele I di Savoia, al cardinale Roberto Ubaldini, al cardinale Francesco Boncompagni); a queste segue una serie di proposte e risposte (tra i nomi presenti, figure del calibro di Chiabrera e G. Casoni). All'interno di ogni sezione, i sonetti precedono i madrigali e le canzoni, creando dunque una progressione di ordine metrico all'interno di ogni gruppo tematico. Nell'insieme, nell'alternanza di componimenti amorosi o di innesti quotidiani all'insegna del peregrino (Ad una zanzara, Alla sua lucerna), la lirica del M. rientrava nella tendenza concettistica, impiegando sovente l'argomento come supporto all'espressione del concetto e rielaborando anche ossimori come Felicità infelice o Pietà disperata (rispettivamente, Rime, nn. 47 e 41), fino all'esercizio esplicito di Amorosi contraposti (n. 19). Nella sezione delle Amorose manca ogni aspetto narrativo, per un procedimento a ondate che ripropone a distanza temi e motivi congeniali (la bellezza femminile, soggetti o dettagli inconsueti argutamente commentati), ma lascia intatto lo schema iniziale dell'amore infelice, declinato anche nella versione pastorale con il recupero dei sonetti boscherecci della raccolta precedente. La sezione delle Encomiastiche è scandita, come precisa il M., secondo la cronologia dei componimenti; comprende omaggi a re e duchi, pontefici e cardinali ma anche a scrittori e artisti, da Marino ad Achillini, da V. Malvezzi a G. Ciampoli a G. Reni. L'ultima parte della raccolta, dedicata ai componimenti sacri, più esile, declina temi devozionali in forme brevi e concettuose.
Una seconda stampa delle Rime (Bologna 1629) è caratterizzata da varianti e spostamenti di sonetti; in conclusione il M. collocò un sonetto, intitolato Proemio di nuove rime, che annunciava una raccolta poetica del tutto autonoma. Dopo un'edizione milanese del 1630 la stampa napoletana del 1632, con l'aggiunta di numerosi componimenti in lode del M., anche in questo caso secondo il modello della Lira mariniana, oltre che con diverse revisioni e correzioni, testimonia una continua attività di rettifica e la forte attenzione del M. agli aspetti di architettura interna e agli equilibri delle sue raccolte.
Con la dedica del primo libro delle Rime a Carlo Emanuele I di Savoia (e al suo interno con una piccola sezione encomiastica: Rime, nn. 232-235), il M. si era preparato un approdo torinese. Giunto in città nella primavera del 1630, assistette alla morte del duca, nel luglio, e dovette riparare a Vercelli per evitare l'epidemia di peste.
L'episodio gli suggerì versi dagli accenti amari, profondamente avvertiti della durezza della condizione umana, anche al di là di una precaria dimensione individuale. Ancora in omaggio alla casa di Savoia, compose e rapidamente mandò a stampa nell'aprile 1631, a Cherasco, la La pace stabilita in Cherasco, quartine celebrative degli accordi che sancivano il termine della lunga guerra per il Monferrato. La dedica a Cristina di Francia, moglie del nuovo duca Vittorio Amedeo I, attingeva accenti di speranzosa devozione.
Le Rime nuove, annunciate nella stampa 1629 delle Rime, apparvero a Milano nel 1632, con dedica a Francesco d'Este. Nella raccolta, meno di ottanta componimenti divisi secondo le partizioni della precedente, si vede quasi spegnersi la sezione amorosa (poco più di una ventina di sonetti e madrigali, con un simbolico sonetto d'apertura che aveva come argomento Amante moribondo) e, con l'accentuarsi dei toni più amari e ripiegati della sezione di rime sacre, il M. nel complesso spinge sull'elemento della sofferenza, distillando in rime un decennio pieno di delusioni.
Già nel dicembre 1631 era intanto tornato a Napoli, dove l'anno successivo curò l'edizione delle Rime, una sistemazione in cui pure non confluirono i versi delle Rime nuove. Fu anche eletto principe dell'Accademia dei Solitari. Era quasi una tappa di passaggio verso il rimpatrio a Mesagne, dove il M. giunse nel 1633. Lì si fermò fino al 1637, quando fece ritorno a Roma. Più che la partecipazione alla silloge delle Poesie de' signori accademici Fantastici (Roma 1637, pp. 130-134), con riprese di nove testi già editi, conta l'ordinazione sacerdotale, che giunse alla fine del 1638. Si tratta di una svolta in parte annunciata dai toni della raccolta del 1632 e icasticamente espressa in un rogo dei propri manoscritti di materia amorosa che il M. avrebbe descritto in una pagina dell'Utile spavento del peccatore, overo la Penitenza sollecita (Opere, p. 76). A parte la composizione e la stampa, nel 1644, dell'Ad beatissimam Matrem Virginem canticum rhythmicum (Roma), componimento in latino di circa quattrocento versi, è appunto all'Utile spavento che si indirizzarono gli sforzi del M. sacerdote negli anni Quaranta. L'opera che coronava il nuovo corso della sua scrittura fu pubblicata a Roma nel 1649, articolata in otto parti, con dedica simbolica a s. Giovanni Battista, e riscosse un notevole successo, date le quattro ristampe veneziane eseguite entro il 1680.
L'effetto perseguito dal M. era il timore in cui calare il lettore, con i toni foschi suggeriti da un'età difficile, con la prospettiva spaventosa di una dannazione incombente e di una dimensione umana precaria, labile e sempre a rischio, quasi a creare un bastione da porre contro il peccato, e un invito a rivolgersi all'unica certezza rappresentata dalla dimensione della fede, e dalla gioia di una comunione con la divinità. Ne sortì un'opera di novecento pagine che, posta accanto agli inizi mariniani del M., completa un'esperienza poetica e umana esemplare, se si pensa alla condanna della poesia amorosa a favore della scrittura in lode di Dio: "Ma se' cristiano cattolico nato per pascerti de' frutti dello spirito, non per cogliere fiori su lo sterile Pindo [(] per gareggiar con Crisostomo e con Bernardo, non per imitar gli affetti e le frasi di Claudiano o di Ovidio" (Opere, p. 353; altri passaggi significativi sulla distanza dalla poesia, ibid., pp. 342, 354 ss.).
La stampa dell'Utile spavento è l'ultima traccia della vita del M., che dovette morire, probabilmente a Roma, non molto dopo il 1649.
Non si hanno notizie (con l'eccezione delle missive e delle rime andate a stampa) di molte delle opere annunciate sin dalla premessa di Francesco Sforza a Le buone feste del 1624: "Le lettere Accademiche, le toscane Poesie, gli Epigrammi, il restante delle lettere missive, una Apologia in difesa di una sua Canzona, varii Problemi naturali e morali, una Pastorale, alcuni Ragionamenti Spirituali, opere tutte compiute [(] e forse anco qualche prosa o qualche rima in castigliano". Lo stesso vale per un poema di cui non è noto neppure l'argomento, che il M. avrebbe iniziato nel 1630 e che era annunciato da Vespasiano Bianchetti a margine dell'edizione 1630 de Le buone feste. È probabile che il M., con il ricordato rogo di manoscritti successivo all'ordinazione sacerdotale, abbia davvero cancellato tanti dei suoi progetti letterari.
Fonti e Bibl.: Il punto di riferimento per la biografia e l'opera del M. è l'edizione delle Opere, a cura di G. Rizzo, Lecce 1989, a cui si rinvia per la rassegna ragionata della critica (pp. 59-61); molti dei dati biografici risultano da una ricostruzione del 1780 di O. De Leo pubblicata da W. De Nunzio-Schilardi, La "Vita" di G. M.M. nell'inedito di Ortensio de Leo, in Annali della facoltà di magistero dell'Università di Bari, XIII (1973-74), pp. 87-116. Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat., 3891, c. 110r (sonetto per il cardinal F. Barberini); A. Basso, Poesie, Napoli 1645, p. 74; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, V, Bologna 1930, p. 207; A. Quondam, Dal "formulario" al "formulario": cento anni di "libri di lettere", in Le "carte messaggiere". Retorica e modelli di comunicazione epistolare, a cura di A. Quondam, Roma 1981, pp. 21 s.; G. De Miranda, Una quiete operosa: forma e pratica dell'Accademia napoletana degli Oziosi (1611-1645), Napoli 2000, pp. 53 s., 111 s., 133, 175 s., 347-350.