GAMBARA, Gianfrancesco
, Gianfrancesco. - Ultimo dei cinque figli (con Niccolò, Pietro, Maffeo e Marsilio) di Brunoro (I) conte di Pralboino e di Ginevra del conte Leonardo di Nogarola, nobile veronese, nacque a Pralboino nel Bresciano nella seconda metà del XV secolo, probabilmente poco prima del 1468, anno in cui morirono prematuramente ambedue i genitori. Nipote di Maffeo, famoso condottiero bresciano, il G. trascorse i suoi primi anni a Brescia, in contrada S. Giulia nel palazzo oggi detto Maggi-Gambara, testimonianza della potenza cittadina del casato. Nel 1473, il G. otteneva dalla divisione ereditaria numerose proprietà, tra cui le terre di Canove, di Castel Merlino, e di Molin di Cignano, oltre ai beni immobili di Cremona e di Brescia e il feudo di Verola Alghise (Verolanuova), dove sempre visse, come suo ospite, il fratello Niccolò.
Il G. sposò Alda di Marco Pio da Carpi. Alda (a torto talvolta ritenuta moglie del fratello Niccolò), donna molto energica, in assenza del marito capeggiava la fazione ghibellina e antiveneziana dei Gambara. Il G. ebbe almeno sette figli, quattro maschi e tre femmine. Il primogenito fu Uberto, il famoso cardinale, e poi Ippolito, Brunoro (protonotario apostolico, che legò la propria fortuna a Carlo V e Paolo III) e per ultimo Camillo. Delle femmine ci rimangono soltanto due nomi: Veronica, la celebre poetessa, e Isotta.
Nel 1479, favorevole alla causa veneziana, il G., giovanissimo, già comandava una condotta di 100 cavalli e 20 uomini, e ancora nel 1483 combatteva con coraggio contro la lega di Sisto IV. Nel 1495, partecipava al tentativo dell’esercito comandato dal marchese Francesco Gonzaga di fronteggiare la risalita di Carlo VIII re di Francia, a fianco di altri nobili bresciani.
Almeno in apparenza ancora vicino alla causa veneta, il G. combatté, al soldo di Venezia, contro la Lega di Cambrai nel 1508, e prese parte alla battaglia di Agnadello nel 1509, dove con altri nobili bresciani esercitò funzioni di comando. Sconfitto l’esercito veneziano, il G. fu coinvolto nelle gravi accuse di tradimento a causa del dubbio comportamento di una parte dell’esercito alleato dei Veneti che, viste le sorti avverse, abbandonò il campo di battaglia e corse a Brescia dove i capi avviarono trattative con i nemici per facilitare la consegna della città.
Accusato di essere nel nucleo dei traditori e di essersi opposto a chi, come il provveditore della città Giorgio Gomer, voleva tentare di riorganizzare le fila dell’esercito, il G. portò per tutta la vita il peso di queste accuse, senza mai riuscire a scagionarsi completamente.
Probabilmente rimasto fedele ai Veneziani, il G. aveva seguito l’esercito alleato con i propri uomini fino a Peschiera, dove, licenziato, decise di tornare in patria e di abbracciare la causa filofrancese, consigliato dalla moglie e dal fratello Niccolò che tentavano di sollevare la popolazione per impadronirsi della città; questa scelta condizionò tutta la casata almeno sino al 1512. Invano i discendenti cercarono testimonianze per prosciogliere il G., portando come prova, ancora nel 1554-55, i ricordi di alcuni ormai vecchissimi soldati che avevano partecipato alla battaglia di Agnadello, ma le circostanze di quell’evento non vennero mai completamente chiarite. Dalla Francia la famiglia ebbe molti vantaggi e per questo si attirò inimicizie e gelosie che determinarono gravissimi contrasti con numerosi membri dell’aristocrazia cittadina, come il potente casato degli Avogadro.
Durante la dominazione francese il G. fu nominato ciambellano e consigliere del re insieme con il fratello Niccolò, non molto soddisfatto del poco aiuto ricevuto da Luigi XII nella causa relativa alla conferma dei feudi familiari di Quinzano, Manerbio e Gottolengo, il G. cambiò di nuovo linea politica; poco dopo la rissa di piazza del Novarino, scontro armato violentissimo avvenuto a Brescia nel 1511 tra Bresciani e Guasconi del capitano Pierre Terrail signore di Bayard, il G. si collocò contro i membri della propria famiglia ancora fedeli alla causa francese, tra cui il fratello Niccolò. Il G. avviava così trattative segrete con i Veneziani per cercare di facilitare la loro entrata in Brescia, operando tra l’altro per ottenere l’appoggio del Consiglio dei dieci, che già dall’ottobre del 1510 era entrato in contrasto con gli occupanti francesi. Nel giugno del 1511 il G. si trovava a Correggio, dove incontrò la figlia amatissima, Veronica. Poi, nel settembre, partecipando al blocco di Treviso con Jacques de La Palisse, probabilmente si ammalò e decise forse per questo motivo di ripiegare verso Brescia.
Mori a Brescia il 20 nov. 1511, e non a Collalto come comunemente si ritiene: lì accorse Veronica, che finì per essere coinvolta nel repentino quanto breve assalto condotto dai Veneziani contro la città. Il G. lasciò eredi i figli sopravvissuti e il fratello Niccolò. Fu sepolto a Pralboino.
Fonti e Bibl.: Brescia, Bibl. civ. Queriniana, Fondo Gambara, Copialettere; Cronache bresciane inedite dei secoli XV-XIX, a cura di P. Guerrini, Brescia 1922, I, ad ind.; O. Rossi, Elogi historici di bresciani illustri, Brescia 1620, ad nomen; C. Zilioli, Annali dell’Archivio Gambara, Brescia 1731, ad nomen; G.F. Gambara, Gesta de’ Bresciani durante la Lega di Cambrai, Brescia 1820, passim; V. Peroni, Biblioteca bresciana, II, Brescia 1823, pp. 96 s.; P. Guerrini, Per la storia dei conti Gambara di Brescia, in Riv. araldica, dic. 1925, pp. 309 ss.; A. Ferretti Torricelli, L’ultimo anno di «ita del conte G.F. G., ibid., dic. 1926, pp. 555 ss.; C. Pasero, Francia, Spagna, Impero a Brescia: [509-[5[6, Brescia 1958, ad ind.; P. Faita, Verolanuova. Memorie, Brescia 1968, ad ind.; F. Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, I, I castelli, Brescia 1975, ad ind.; Veronica Gambara e la poesia del suo tempo nell’Italia settentrionale. Atti del Convegno, Brescia-Correggio ... [985, a cura di C. Bozzetti - P. Ghibellini - E. Sandal, Firenze 1989, ad indicem.