Giandonati
Antica e nobile famiglia fiorentina, alla quale allude D. (Pd XVI 130) riferendosi ai casati che ebbero milizia e privilegio dal marchese di Toscana, Ugo; insieme con i Calfucci, i Bellincioni e gli Uccellini, i G. pretesero di essere consorti con i Donati, il cui stemma era simile al loro, anche se con i colori posti in posizione inversa.
I cronisti ne parlano come di una delle più importanti consorterie consolari, proprietaria di tenute nel contado e di case, torri e logge in città, nel sesto di Borgo, attorno al Mercato Nuovo. Ruggero G. fu console nel 1204.
Nel quadro delle ben note divisioni politiche cittadine, i G. si schierarono tra i guelfi, della cui fazione furono esponenti nell'ambito del loro sestiere, contro i Soldanieri, gli Scolari, i Giudi, i Galli e i Cappiardi. A Montaperti, Ridolfo di messer Ruggero era tra i guelfi, e dové abbandonare Firenze dopo la battaglia, insieme con i suoi consorti. Le case e le torri dei G. furono danneggiate dai ghibellini e sono elencate, per ciò, fra i beni di cui i guelfi chiesero il risarcimento dopo la vittoria definitiva.
Non pochi membri di questa famiglia figurano fra i sottoscrittori della pace promossa nel 1280 dal cardinal Latino (Neri e Tribaldo di messer Guerriero, Giannotto, Ridolfo e Sozzo, tutti decorati dell'ordine equestre, e Banco, Dinozzo, Davizzo e Giandonato), ma la loro origine magnatizia li fece includere già nel 1282 tra le casate escluse dal conferimento dei maggiori uffici del comune, esclusione che fu confermata nel 1293 dagli Ordinamenti di Giustizia. Nell'ambito delle divisioni fra i guelfi, i G. non furono concordi nelle scelte politiche. Se alcuni di essi seguirono la Parte bianca e furono banditi insieme con D. - Vanni G. fu condannato poi alla pena di morte per aver preso parte ai tentativi armati contro il comune -, se altri (Bartolone di messer Ciango e Gianguerriero di Tieri) si schierarono con i ghibellini al seguito di Enrico VII, altri ancora (Maligno di messer Sozzo, Neffo di messer Rosso, Scolaio e Orsacchio di messer Tebaldo) accorsero a difendere la città e meritarono, invece, la condanna da parte dell'imperatore. Anche in seguito, i G. rimasti fedeli al comune guelfo figurarono come cavalieri tra le file dell'esercito fiorentino nella battaglia di Montecatini (Nozzo e Scolaio perirono annegati nella Gusciana) e di Altopascio (Vanni, Maligno, Tribaldo, Tano e Ranieri). Nel 1343 parteciparono agli avvenimenti politici che portarono alla cacciata del duca di Atene, e ciò valse ad essi la cancellazione dall'elenco dei magnati e la conseguente riammissione tra le famiglie capaci di adire ai pubblici uffici.
Se ne trovano, infatti, fra i priori (Gherardo di Altobianco di Lodovico, 1 maggio-30 giugno 1477; Lodovico di Lodovico di Altobianco, 1 marzo-30 aprile 1503; 1 maggio-30 giugno 1512) e fra i membri dei consigli e delle magistrature cittadine nei secoli XIV-XVI. Si estinsero il 21 agosto 1583, con la morte di un Donato di Raffaello. Di quest'ultimo furono eredi i celebri stampatori Giunti, discendenti da una sorella di lui.
I G. furono molto legati da relazioni di amicizia con i monaci Olivetani, i quali pagavano alla famiglia un censo dalle caratteristiche singolari, consistente in un coscio di maiale maschio accompagnato dagli organi sessuali e dalla coda dell'animale, in un paio di galline nere con qualche penna bianca, e in alcune staia di spelta. In più, il monastero si era assunto l'onere di aiutare la famiglia, nel caso che essa fosse decaduta economicamente, e di mantenerle a proprie spese un servitore e un cavallo. Il censo, però, non venne più pagato dopo la morte di Donato, quantunque i Giunti ne pretendessero la continuazione a loro favore.
Nei secoli XIV e XV si trovano fra i priori altri G., abitanti nel quartiere di Santa Maria Novella, gonfalone Unicorno; ma essi non avevano parentela alcuna con quelli già descritti. Nel 1353 erano iscritti all'arte dei vinattieri e, secondo la tesi cara agli araldisti e genealogisti fiorentini del Settecento, non potevano vantare origini nobiliari.
Bibl. - Per la genealogia dei G. si veda: Archivio di Stato di Firenze, Carte Pucci, XXV 11; Carte dell'Ancisa, CC 561; HH 374; LL 336, 642; MM 30; Priorista Mariani, VI 1468; Biblioteca manoscritti, 422, 230, 423, 355; Biblioteca Naz. Centrale di Firenze, Carte Passerini, 188. Altri documenti sulla famiglia e sui singoli membri di essa sono editi dal p. Ildefonso di San Luigi, in Delizie degli eruditi toscani, Firenze 1770-1789, ad indicem. Le poche notizie riferite dai cronisti (Malispini CLXXII; Compagni 12, Il- 6, III 2; G. Villani IV 14; Marchionne di Coppo Stefani XXXV, LXIII, CXXIV, CCXVII) sono riprese e rielaborate dagli eruditi e storici fiorentini: V. Borghini, Discorsi II, Firenze 1755², 46, 80, 83, 94, 102, 103, 521; P. Mini, Discorso della nobiltà di Firenze e de' fiorentini, Firenze 1593, 55; ID., Difesa della città di Firenze e de' fiorentini..., Lione 1577, 296, 300, 303, 306, 310; B. De' Rossi, Lettera a Flamminio Mannelli... delle famiglie e degli uomini di Firenze, Firenze 1585, 55; U. Verini, De illustratione urbis Florentiae, Parigi 1583, 50; M. Salvi, Delle historie di Pistoia e fazioni d'Italia..., I, Roma 1656, 231, 262. Dei G. nel quadro della generale storia cittadina parla più volte il Davidsohn (Storia, ad indicem); la loro vicenda genealogica è delineata sommariamente da G. Passerini, nel commento al romanzo storico Marietta de' Ricci, di A. Ademollo, I, Firenze 1845², 285; da G.G. Warren Lord Vernon, L'Inferno di D.A., II, Documenti, Londra 1862, 485-486; dallo Scartazzini, Enciclopedia 894-895.