TRAMONTANO, Giancarlo
– Nacque a Sant’Anastasia, casale di Napoli, il 20 ottobre del 1450, figlio di Ottaviano, banchiere e prestatore di denaro a corte, e di Fiola Penta.
Sposò Antonia Restigliano dalla quale non ebbe figli.
Non ricco ma ambizioso, conseguì i più importanti uffici del Regno di Napoli, fino a divenire un rispettato e temuto barone. In primo luogo fu maestro di Zecca all’Aquila ove si segnalò per la spregiudicatezza con cui maneggiava il metallo monetato e coniò i cavallucci, moneta di rame di scarsissimo valore. Inseguito dall’ostilità degli aquilani, fu costretto ad allontanarsi dalla città e a recarsi a Napoli ove divenne – per volontà di Alfonso II – maestro della Zecca, ubicata presso il monastero di S. Agostino Maggiore. In tale veste visse i momenti drammatici del tracollo del Regno e della fine della dinastia aragonese. Si segnalò per la sua vicinanza ai sovrani e, quando Alfonso II (1494-95) fu incoronato, in suo onore fece erigere un fastoso arco trionfale nella piazza di S. Agostino; tuttavia, giunto a Napoli Carlo VIII di Valois, non rifiutò la carica di eletto del nuovo seggio popolare che il sovrano francese aveva istituito l’8 giugno 1495 e che aveva sede nel chiostro di S. Agostino.
Nei mesi del governo francese a Napoli, mentre Alfonso II aveva abdicato in favore del figlio Ferrante II, riuscì a mantenere in pace la città approvvigionandola di viveri, anche se non mutò la sua devozione nei confronti degli aragonesi. Quando Ferrante II si avvicinò con una flotta a Napoli fu l’anima della congiura e della sollevazione che scacciò i francesi dalla città ripristinando il potere del re, anche grazie all’impiego di 500 popolari che egli aveva arruolato a proprie spese. Ferrante, in segno di gratitudine, riconfermò al seggio popolare i privilegi accordatigli da Carlo VIII, ma la sua improvvisa morte (7 settembre 1496) riaprì per il Regno un periodo di gravi difficoltà. Unico erede maschio alla Corona era lo zio Federico che dovette vedersela con le rinnovate ambizioni della Francia e, ben presto, anche con quelle dell’Aragona. In favore di Federico, al momento assente dalla capitale, si mossero il principe di Salerno, quello di Bisignano, i duchi di Gravina e di Melfi, altri grandi feudatari e Tramontano, che protesse la regina vedova di Ferrante I, Giovanna di Trastamara, che fungeva quasi da vicaria nell’attesa del rientro di Federico a Napoli.
Nel frattempo, Isabella Del Balzo, la moglie di Federico, si trovava in Terra d’Otranto ove aveva intrapreso un viaggio per visitare i suoi feudi. Quando seppe della morte del nipote imboccò la via del ritorno e, giunta a Barletta, fu omaggiata come nuova regina dai maggiori feudatari del Regno e dallo stesso Tramontano. A lui lo scrittore salentino Rogeri de Pacienza, autore del poema Lo Balzino, dedicò alcuni versi: «Poi venne Ioancarlo de Mathera, Magnanimo signor, como io discerno; De casa de Aragona isviscerato era, Et è mo più che mai et fia in eterno; Et c’ha monstrata la sua fe sincera, Havuto ha quel contato et quel guberno Questo se chiama lo gran Ragonese, Che monstrato ha suo valor in tucte imprese» (2010, II, versi 783-790).
Tramontano divenne sempre più indispensabile al re Federico, costretto per le ristrettezze economiche in cui versava ad alienare molte terre e città demaniali del Regno. Approfittando della circostanza, il nostro acquistò nel 1497 per 25.000 ducati la città di Matera con annesso titolo comitale, non senza aver prima esibito la propria nuova condizione cavalcando, il 2 ottobre dello stesso anno, per Napoli. Ma contro di lui montò l’odio popolare quando, su ordine del re, fece coniare le cinquine, monete in rame di scarso valore da tutti rifiutate, che provocarono l’aumento del prezzo del grano e il suo ulteriore arricchimento.
Con il trattato segreto di Granada (11 novembre 1500) Ferdinando II re di Aragona e Luigi XII re di Francia convennero di dividersi il Regno di Napoli. Federico ignorava che i castigliano-aragonesi giunti nel Regno avevano intenzione di detronizzarlo e di occupare il Paese e pensava che fossero sbarcati in Calabria per aiutarlo a combattere i francesi. Il conte di Matera aiutò il re arruolando uomini, prestandogli denaro e impegnando oro e gioielli. Il credito che vantava verso Federico gli valse importanti concessioni, fra le quali il diritto di sfruttamento delle saline di Metaponto, il fondaco del ferro e dell’acciaio a Matera, la proprietà dell’appartamento annesso alla Zecca di Napoli, che egli aveva già occupato abusivamente. Quando, sotto l’incalzare di francesi e spagnoli, il re nell’agosto del 1501 si rifugiò a Ischia, Tramontano spogliò la Zecca dell’argento che vi era depositato e lo consegnò al re, non senza averne trattenuta per sé una parte cospicua. Fu questo l’ultimo atto di lealtà del conte nei confronti di Federico, ormai pronto ad abbandonare il Regno e a rifugiarsi in Francia, dato che subito dopo passò dalla parte di Gonzalo Fernández de Córdoba (il Gran Capitano), comandante dell’esercito castigliano-aragonese in Italia meridionale. Egli, scrive Giuseppe Gattini (1967), fu uno «strano conio di uomo» che si mantenne fedele agli aragonesi finché poteva guadagnare profitto (p. 94). Certamente profitto gli doveva procurare la galera La Ghila che Federico confiscò quando si recò in Francia. Quella galera, che il re aveva promesso di restituire, affondò però a seguito di un fortunale nel mare di Liguria (5 novembre 1504).
Ormai al soldo del Gran Capitano, Tramontano ottenne una condotta di 100 uomini e partecipò ad alcuni fatti d’arme, in uno dei quali – presso Taranto – nel settembre del 1502 fu fatto prigioniero dai francesi. Liberato a seguito del pagamento di un ingente riscatto, tornò a combattere nelle fila dell’esercito spagnolo e partecipò alla battaglia di Cerignola del 28 aprile 1503.
Confermato nei suoi diritti e nei suoi privilegi, dovette scontare l’ostilità dei nobili napoletani che in lui vedevano un uomo arrivato alle più alte cariche grazie alla spregiudicatezza dei metodi adoperati.
Uno degli episodi che testimoniano dell’ostilità nei suoi confronti e nel contempo della sua grande potenza è quello che lo vide innalzare presso la Zecca un arco trionfale sotto il quale sarebbe dovuto passare il re Ferdinando II di Aragona (ormai re di Napoli), giunto in città il 1° novembre 1506, assieme alla sua seconda moglie Germana de Foix. Alcuni avversari riuscirono a deviare il percorso del corteo, ma inutilmente, perché il re ritornando dal duomo passò per la strada ove era l’arco. Qui trovò Tramontano, i cui uomini fecero cadere sulla folla una pioggia di monete appositamente da lui coniate; il conte, nella circostanza, donò al re una moneta d’oro dal valore di 25 ducati e 25 perle alla regina. Ma la calca della gente per raccogliere le monete provocò disordini, un morto e l’allontanamento del sovrano.
Le cronache fanno menzione di Tramontano in occasione del capitolo generale dell’Ordine agostiniano tenutosi nell’aprile del 1507, quando confluirono a Napoli più di mille frati per eleggere il nuovo priore generale dell’Ordine, tutti spesati dal seggio del popolo e dal conte, e della ventilata introduzione dell’Inquisizione spagnola nel Regno di Napoli, a riguardo della quale sembra che Tramontano si mostrasse favorevole.
Nonostante la grande influenza di cui godeva a Napoli, il suo destino si decise a Matera. Fortemente indebitato, egli cominciò a vessare con crescenti tributi i cittadini di quella città, i quali ricambiarono con un feroce odio nei suoi confronti le prepotenze delle quali erano fatti segno.
Del comportamento di Tramontano e dell’ostilità che i materani nutrivano nei suoi confronti è traccia nel racconto di Benedetto Croce Il villano di Matera e Ferdinando il Cattolico, in cui si narra di un fortuito incontro in Spagna del re con un uomo proveniente dal Regno di Napoli, in cui questi gli chiedeva giustizia per le angherie che continuamente riceveva dal conte. Come è normale in queste edificanti narrazioni, il re – nella sua funzione di supremo magistrato – ordinò che al villano fosse resa giustizia e dichiarò Tramontano responsabile di qualsiasi accidente che gli potesse capitare.
Per timore dei suoi vassalli il conte, che si circondò di uomini armati, fece erigere un castello che sovrastava Matera e che costò ai cittadini oltre 25.000 ducati. Debitore del mercante Paolo Tolosa per una somma ingente che gli era servita per acquistare i diritti feudali su Ginosa e sul feudo rustico di Girifalco, il 28 dicembre 1514 convocò i cittadini di Matera a parlamento per ottenere la loro approvazione all’introduzione di nuove tasse, con il cui provento avrebbe dovuto, almeno in parte, estinguere i suoi debiti. I materani finsero di acconsentire alla sua richiesta, ma alcuni di loro decisero di ucciderlo.
L’assassinio avvenne il 29 dicembre 1514 nella cattedrale di Matera ove il conte si era recato per assistere alla messa. Quando entrò in chiesa, Tramontano fu assalito da un gruppo di persone armate; si difese strenuamente e fu costretto a fuggire da una piccola porta pensando di salvarsi nel portone della casa di un amico, ma fu raggiunto e ucciso. Il suo corpo fu vilipeso e sottoposto al pubblico ludibrio. I congiurati decisero di portarsi alla sua casa per saccheggiarla, ma furono fermati da alcuni cittadini che riuscirono a porre in salvo la moglie. Ancora oggi la stradina presso la cattedrale nella quale Tramontano fu ucciso è chiamata via del Riscatto.
Alla notizia della morte del loro feudatario tutti i materani si sollevarono in nome del re chiedendo il ritorno della città alla demanialità, ma ben presto giunse in città il regio commissario Giovanni Villani. Il Comune ammise le proprie responsabilità e addivenne a una composizione che le costò 10.000 ducati, mantenendo i propri diritti e privilegi, ma senza conseguire la demanialità.
Fonti e Bibl.: G. Passero, Storie in forma di giornali..., Napoli 1785, parte II, pp. 77, 112; F.P. Volpe, Memorie storiche profane e religiose della città di Matera, Napoli 1818, pp. 158-168; Cronica di Napoli di Notar Giacomo, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, pp. 291-293; G. Racioppi, Indulto della città di Matera, in Archivio storico per le provincie napoletane, II (1877), pp. 265-282; N. Faraglia, G. T., conte di Matera, ibid., V (1880), pp. 96-130; G. Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma 1889, pp. 179-182; B. Croce, Isabella del Balzo regina di Napoli in un inedito poema sincrono, in Archivio storico per le provincie napoletane, XXII (1897), pp. 632-701; [G. De Blasiis], Racconti di storia napoletana, ibid., XXXIII (1908), pp. 474-544 (in partic. pp. 522-524); B. Croce, Il villano di Matera e Ferdinando il Cattolico, in Id., Varietà di storia letteraria e civile, Bari 1935, pp. 11-34; G. Gattini, Note storiche sulla città di Matera, Matera 1967, pp. 94-103; A. Copeti, Notizie della città e cittadini di Matera, Matera 1982, pp. 50-52; E. Verricelli, Cronica de la città di Matera nel regno di Napoli (1595- 1596), Matera 1987, pp. 37 s., 88; Storia della Basilicata, III, L’età moderna, a cura di A. Cestaro, Roma-Bari 2000 (in partic. L. Santoro - G. Zampino, Castelli e torri, pp. 55-65; R. Giura Longo, Fortuna e crisi degli assetti feudali dalla congiura dei baroni (1485) alla rivoluzione del 1647-48, pp. 156-159); G. Fuscolillo, Croniche, a cura di N. Ciampaglia, Arce 2008, pp. 23 s.; R. de Pacienza di Nardò, Lo Balzino (libri III-VI). Il viaggio attraverso la Puglia di Isabella del Balzo (1498), a cura di M. Marti, I-II, 2010, http:// www.viaggioadriatico.it/biblioteca_digitale/autori/de-pacienza-rogeri-di-nardo (18 settembre 2019).