MARONI, Giancarlo (Giovanni)
– Figlio terzogenito di Bortolo e di Destinata Passerini, nacque ad Arco, nel Trentino, il 5 ag. 1893; nel 1913 per problemi di omonimia cambiò il nome Giovanni in Giancarlo. Dopo aver frequentato a Riva del Garda, dove viveva con la famiglia, la locale scuola civica, tra il 1910 e il 1911, si trasferì a Milano per continuare gli studi dapprima presso la scuola d’arte applicata all’industria, quindi alla scuola speciale di architettura dell’Accademia di Brera, dove ebbe per maestri Gaetano Moretti nel corso di architettura e Giuseppe Mentessi in quello di scenografia e prospettiva. Seguendo l’esempio dei fratelli, Italo e Ruggero, nel 1915 si arruolò nel corpo degli alpini, ma fu presto gravemente ferito in combattimento. Insignito della medaglia d’argento al valore, trascorse la convalescenza tra Torino e Milano e infine fu trasferito a Verona, dove rimase fino al termine della guerra. Nel 1919 tornò a Riva del Garda ed entrò nel Comitato per la liberazione di Fiume. Il 12 luglio dello stesso anno conseguì a Milano il titolo di professore di disegno architettonico.
A Milano, dove era entrato in contatto tra gli altri con G. Muzio, il M. doveva aver respirato il clima di trasformazione e contrastante vitalità, ancora memore delle suggestioni secessioniste viennesi, che oscillava tra l’eclettismo di Gaetano Moretti, il medievalismo di Giulio Ulisse Arata e le elaborazioni visionarie di Antonio Sant’Elia.
Tornato a Riva del Garda, aprì con il fratello Ruggero, ingegnere laureato alla Technische Hochschule di Vienna nel 1912, uno studio tecnico-artistico specializzato in cemento armato (Irace, in L’architetto del lago…, p. 13): cominciarono allora a partecipare all’infaticabile ricostruzione della città iniziata sotto la supervisione dell’Opera del genio militare, e fecero parte fino al 1924 della commissione edilizia del Comune di Riva del Garda.
Tra il 1919 e il 1921 il M. realizzò vari progetti di edifici pubblici, il restauro del palazzo dei Provveditori, la canonica e oratorio della Confraternita del Ss. Sacramento, i bagni pubblici della Cassa ammalati, il campo sportivo della Società sportiva Benacense. Ancora più numerosi furono gli interventi per i privati: il primo progetto fu la casa Bettinazzi (criticato perché troppo scolastico e «poco ambientato»; M. Lupano, in L’architetto del lago…, p. 40), quindi le residenze Zaniboni, Armani, Marzani-Parteli, Maroni. La vera svolta nell’attività del M. fu determinata dall’incontro con G. D’Annunzio, cui fu presentato dal capitano irredentista Giuseppe Piffer nella primavera del 1921. Il poeta aveva infatti bisogno di un architetto che lo aiutasse nella ristrutturazione della villa Cargnacco, a Gardone Riviera, in cui si era appena trasferito.
Iniziò così un rapporto committente-architetto, forse unico nel Novecento italiano, in cui il confine tra le richieste del poeta e le risposte progettuali del M. è difficile definire. Il giovane M. si uniformò quasi interamente ai gusti del «comandante»-committente adeguandosi e dando forma architettonica all’ideologia estetica dannunziana (R. Bossaglia, in L’architetto del lago…, p. 120).
Ma ancora prima di dare inizio all’opera che avrebbe occupato il resto della sua vita, il M. eseguì su incarico di D’Annunzio il progetto, mai realizzato, del monumento in ricordo dell’epopea fiumana a Maderno sul Garda.
Il progetto, cui il M. si dedicò fin dal marzo 1921, prevedeva un complesso monumentale che doveva sorgere sopra Maderno, raggiungibile dal centro abitato attraverso un’imponente scalinata a doppia elica; ampie mura dovevano circondare il sacrario, che nei desideri di D’Annunzio avrebbe dovuto essere addobbato di bandiere, gonfaloni ed emblemi in ricordo dell’impresa (L’Illustrazione italiana, 18 febbr. 1921).
Abbandonato il progetto di Maderno, forse troppo impegnativo anche economicamente, si diede invece avvio al cantiere di villa Cargnacco che proseguì fin dopo la morte di D’Annunzio (1° marzo 1938).
La villa – già di proprietà dello storico dell’arte tedesco Heinrich Thode, cui era stata confiscata allo scoppio della prima guerra mondiale – versava in cattive condizioni, essendo rimasta abbandonata per sei anni, ma conteneva ancora mobili, quadri e libri dello studioso. D’Annunzio dapprima la prese in affitto facendovi alcuni interventi per renderla abitabile, e il 31 ott. 1921 l’acquistò per 130.000 lire, cifra che raddoppiò con l’acquisto dei mobili. La proprietà originaria comprendeva un terreno di 2 ha, mentre l’attuale ne conta 9 per via degli acquisti successivi, effettuati tra il 1922 e il 1935. Il 22 dic. 1923 D’Annunzio fece una prima donazione della villa allo Stato italiano, con l’intenzione di farne un monumento nazionale, atto che fu perfezionato il 7 dic. 1930 e che gli permise di ottenere i mezzi economici per la grandiosa ristrutturazione e per gli ampliamenti, che andarono avanti di pari passo.
Si configurava così una commistione tra pubblico e privato per cui una residenza personale veniva realizzata con fondi statali. L’accondiscendenza, più volte manifestata da B. Mussolini, si spiega anche con la ferma volontà di mantenere il poeta lontano da Roma e dalla vita politica, confinato in una sorta di esilio dorato. In questo clima celebrativo la funzione del M. dovette essere sostanzialmente di progettista, collaboratore, esecutore dei desideri e delle idee di D’Annunzio, nonché di organizzatore dei rapporti con tutte le maestranze e gli artisti nel cantiere, dando vita a un laborioso processo di identificazione fra committente e progettista. Al M. si devono infine gli acquisti non solo dei materiali, ma degli arredi sulla base delle infinite, stravaganti richieste del poeta.
Di fatto il Vittoriale, nome desunto probabilmente dall’antica cronaca del Victorial di Pedro Niño, non è una semplice villa, ma piuttosto un’articolata struttura architettonica che si compone di più edifici tutti realizzati dal Maroni. Negli anni D’Annunzio proseguì all’acquisto di nuovi terreni per isolarsi ulteriormente da altre eventuali costruzioni.
Dal 1922 il M. si trasferì al Vittoriale dove rimase tutta la vita in qualità di architetto, segretario e conservatore della villa. Dal 1934 abitò nel Casseretto (in gergo marinaro ponte di comando), rustico preesistente riadattato a suo studio-abitazione, e nel 1937, quando il Vittoriale divenne fondazione (Vittoriale degli Italiani), fu insignito ufficialmente del titolo di primo soprintendente.
Del 1931 è il progetto della piazza antistante il Vittoriale, che il M. eseguì in armonia con il prospiciente monumento ai caduti e la chiesa di S. Nicolò, collegate con un loggiato le cui arcate si uniformano all’ingresso della cittadella, in un’atmosfera non lontana da richiami dechirichiani (Irace, in L’architetto del lago…, p. 31). Realizzato dal M. fra il 1926 e il 1930, l’ingresso al Vittoriale si compone di un doppio arco di accesso, l’uno porta alla Prioria, ovvero la palazzina principale, e allo Schifamondo, l’altro al teatro all’aperto, al Casseretto e alla villa Mirabella.
La facciata della Prioria, la cui trasformazione avvenne a partire dal 1924, segue su esplicita richiesta di D’Annunzio il disegno del palazzo del Podestà di Arezzo, e sempre secondo i dettami del poeta è arricchita di stemmi e iscrizioni in ordine sparso; completa il prospetto un pronao in pietra di Verona sovrastato da un balcone con ringhiera. Ogni architettura e ogni nome che la definisce al Vittoriale segna un richiamo da luoghi e iconografie del passato alla ricerca di una italianità che fece da subito della cittadella un luogo pubblico e un simbolo dell’identità nazionale. La Prioria, risultato del rifacimento della villa di Thode, fu abitata da D’Annunzio dal febbraio del 1921 fino alla morte. Oltre a occuparsi della ristrutturazione della villa il M. procedette nella progettazione di mobili e scaffali. Sono su suo disegno gli scaffali e le sedie della stanza del Mascheraio, i caminetti della stanza della Musica e della stanza del Giglio, le scaffalature della stanza del Mappamondo e della Leda, quelle dell’Officina, lo studio del poeta dove il M. disegnò anche i tavoli, rifacendosi ai dipinti di Carpaccio (V. Terraroli, in L’architetto del lago…, p. 131). Quest’ultima stanza fu realizzata nel 1926, anno in cui il M. iniziò a lavorare alla nuova ala, quella di Schifamondo che fu ultimata dopo la morte di D’Annunzio. Concepito come un luogo più appartato, rifugio del poeta dal mondo, è collegato alla Prioria attraverso la stanza della Cheli, in greco tartaruga, la più tarda sala della Prioria, scenograficamente déco, terminata soltanto nel 1929, interamente disegnata dal M., coloratissima, l’unica stanza non triste, a detta di D’Annunzio (Andreoli, p. 60), in cui il rosso pompeiano si alterna al blu e il soffitto è decorato con motivi di conchiglie in oro zecchino. Progettati dal M. sono anche le sedie e il tavolo. Nella stanza da letto di Schifamondo, dove D’Annunzio non fece in tempo a trasferirsi, accanto ai calchi michelangioleschi dei Prigioni e dell’Aurora fu esposta la salma del poeta il 2 marzo 1938, prima delle solenni esequie che si tennero il giorno seguente.
Nel percorso opposto alla Prioria, vicino all’ingresso del Vittoriale, all’aperto, nei giardini che sono parte integrante del progetto monumentale, si incontra il teatro, chiamato da D’Annunzio il Parlaggio. Fu progettato dal 1930 su modello del teatro greco, e per ricercarne le origini classiche il M., su richiesta di D’Annunzio, fece un sopralluogo a Pompei in compagnia di Renato Brozzi, uno degli scultori attivi al Vittoriale. Ma il più suggestivo allestimento dei giardini è senza dubbio la prua della nave Puglia, donata a D’Annunzio dalla Marina militare in ricordo dell’epopea fiumana. Giunta a Gardone smontata, trasportata in 20 vagoni ferroviari, fu rimontata al Vittoriale con la prua rivolta verso il mare Adriatico ornata da una Vittoria alata in bronzo. La parte posteriore, realizzata in pietra, si collega ai camminamenti dei viali.
Monumento conclusivo della cittadella è il mausoleo, voluto già dal 1930 da D’Annunzio, che aveva previsto un’arca sorretta da quattro colonne. Nel 1940 il M. iniziò la progettazione del monumento, realizzato in marmo bianco sul punto più alto del Vittoriale, una sorta di cittadella sacra formata da terrazze circolari concentriche ispirate alle tombe a tumulo romane, e pose l’arca del poeta al centro, sulla sommità dell’edificio circondata da quelle di dieci legionari fiumani. La salma di D’Annunzio vi è stata traslata solo per il centenario della nascita, nel 1963. Di là da alcune discutibili scelte linguistiche, nel Vittoriale il M. dimostra una notevole capacità di controllo di tutte le scale di attuazione del progetto architettonico: dal rapporto con il paesaggio alla verifica del dettaglio costruttivo.
Contemporaneamente all’impegno nell’imponente cantiere del Vittoriale, il M. compì altri interventi presso Riva del Garda, tra cui la realizzazione del campo sportivo progettato nel 1921, ripreso nel 1928 e terminato nel 1931. Particolare degno di nota è la copertura a sbalzo della tribuna, dove il M. sperimentò con successo le nuove potenzialità del cemento armato.
Sono da ricordare inoltre due suoi progetti legati al rinnovamento turistico di Riva del Garda: la ristrutturazione dell’hôtel Sole (1922-25) e la creazione dello stabilimento balneare detto Spiaggia degli Olivi, oltre alla partecipazione alle scelte progettuali della centrale idroelettrica del Ponale.
Più tradizionale l’albergo, che doveva mantenere soprattutto nella facciata sud aperta sul lago l’eleganza dell’edificio preesistente; erano previsti loggiati sovrapposti, enfatizzati dalla grandiosità di una galleria vetrata, mentre un ponticello veneziano di raccordo ribadiva il richiamo alla cultura architettonica italiana. In realtà il progetto fu molto ridimensionato e non furono realizzati né la galleria vetrata né il ponte. La valorizzazione turistica cittadina richiedeva inoltre un moderno stabilimento balneare, la Spiaggia degli Olivi, che il M si accinse a progettare a partire dal 1932 e che fu inaugurato il 3 giugno 1934. Il progetto ebbe grande sostegno e un indubbio successo presso le autorità politiche e gli organi di stampa locali. Si tratta di un’opera di grandi ambizioni, quasi un’architettura ideale, con forme riprese dal mondo classico e stilemi reiterati, quali i porticati ad arco posti intorno all’edificio dalla forma ellittica che accoglie le sale di ritrovo e per la danza. Notevole il trampolino-faro, dove si sintetizza la figura di un architetto incerto nella scelta tra uno schietto modernismo e un eclettismo di maniera.
Il M. morì a Gardone Riviera il 2 genn. 1952, compianto anche dalla vedova di D’Annunzio, Maria di Gallese, che considerò la sua scomparsa una seconda morte del poeta (L’architetto del lago…, p. 265).
Fonti e Bibl.: D’Annunzio. Carteggio inedito con G.C. M., a cura di E. Mariano, in Quaderni del Vittoriale, 1979, n. 16 (numero monografico); M. Piacentini, G.C. M. architetto del Vittoriale, in Architettura e arti decorative, X (1930), pp. 145-168; A. Bruers, Il Vittoriale degli Italiani, Roma 1941; F. Licht, The Vittoriale degli Italiani, in Journal of the Society of architectural historians, XLI (1982), pp. 318-324; G. Dotoli, La maison d’un héros. «Le Victorial» de D’Annunzio, in Gazette des beaux-arts, CXXV (1983), 102, pp. 75-86; V. Terraroli, D’Annunzio, M. e la «Santa Fabbrica», in Gabriele D’Annunzio e la promozione delle arti (catal., Gardone Riviera), a cura di R. Bossaglia - M. Quesada, Milano-Roma 1988, pp. 79-83; Album D’Annunzio, Milano 1990, ad ind.; L’architetto del lago. G. M. e il Garda (catal., Riva del Garda), a cura di F. Irace, Milano 1993 (con ulteriore bibl.); A. Andreoli, Il Vittoriale, Milano 1993.