Scrittore italiano (Milano 1867 - Breglia, Plesio, 1914). Complessa e contraddittoria figura di transizione tra Ottocento e Novecento, dalla scapigliatura lombarda si avvicinò al futurismo, da cui si staccò poi clamorosamente. Fu narratore, poeta, critico, sempre animato da acume satirico e impeto polemico. Tra le opere: il romanzo Gian Pietro da Core (1895); i versi di Revolverate (1909); il saggio Ragion poetica e programma del verso libero (1908).
Figlio di un eroico garibaldino, cominciò assai giovane l'attività letteraria, spinto da F. Cameroni; laureatosi in legge a Pavia (1892), investì quasi tutte le sue sostanze nella fondazione di una casa editrice, iniziativa che si risolse in un disastroso fallimento. Il dissesto economico e la grave malattia, che lo consumò di giorno in giorno fino alla morte, travagliarono la sua esistenza, angosciata anche da una perenne inquietudine spirituale; antimilitarista, socialista e anarchico per temperamento, non aderì a nessun partito per una sorta di sdegno aristocratico.
Dal romanticismo della scapigliatura lombarda (fu ammiratore e studioso di C. Dossi: L'ora topica di C. D., 1911), approdò al futurismo, tramite il dannunzianesimo, al quale, pur intendendo ribellarsi (Antidannunziana, 1914), in verità lo univa l'amore sensuale della parola. Più tardi si staccò apertamente e clamorosamente dai futuristi (Come ho sorpassato il futurismo, 1913). Poeta (Revolverate, 1909, con prefaz. di F. T. Marinetti; La solita canzone del Melibeo, 1910), narratore (Gian Pietro da Core, 1895; Le indiscrezioni di Trilby, 1913, e i racconti Vigilie d'amore, 1910), critico (importante, anche per le anticipazioni, l'ampia "proposta" sul verso libero nel volume Ragion poetica e programma del verso libero, 1908), scrittore di filosofia e di politica, ben si riflette in lui, anche negli eccessi, la parabola e l'inquietudine della sua generazione. La figura di L. è stata recentemente analizzata e rivalutata, individuandone aspetti di precursore delle neoavanguardie.