TOLOMEI, Gian Paolo
– Nacque a Loreggia (Padova) il 10 dicembre 1814 da Bernardo e da Brigida Francescotti.
Dopo aver compiuto i primi studi in casa sotto la guida dei genitori, nel 1824 fu mandato a Treviso per frequentare il locale ginnasio e liceo. Nel 1834 si iscrisse alla facoltà giuridico-politica dell’Università di Padova, presso la quale si laureò nel 1839 con una tesi avente a oggetto il pensionatico, ossia la servitù di pascolo delle pecore diffusa da secoli nelle terre venete, un istituto che secondo Tolomei era ormai divenuto un serio ostacolo per lo sviluppo dell’agricoltura, nonché una fonte di gravi dissidi fra pastori, agricoltori e proprietari terrieri. Alla pubblicazione di tale dissertazione – con il titolo Sul pensionatico ossia sul pascolo invernale delle pecore, avuto speciale riguardo alle provincie venete. Dissertazione di Giampaolo Tolomei di Loreggia, in occasione della sua laurea in ambe le Leggi nell’I.R. Università di Padova, il dì 1 settembre 1839 (Padova 1839) – seguì una seconda edizione nel 1842, realizzata in occasione del IV Congresso degli scienziati italiani, che gli valse l’incarico da parte del governo lombardo-veneto di redigere un disegno di legge volto a sopprimere il pensionatico (tale progetto fu convertito con poche modifiche nell’ordinanza imperiale del 25 giugno 1856).
Nel 1838 si sposò con Elisa Gennari, da cui ebbe cinque figli, il primo dei quali – Antonio – fu un patriota delle guerre di indipendenza, poeta e giornalista, deputato del Regno d’Italia (1874-76) e sindaco di Padova (1881-85).
Fra il 1840 e il 1844 fu prima assistente e poi supplente del professor Giuseppe Todeschini, titolare presso l’Ateneo patavino della cattedra di introduzione enciclopedica allo studio giuridico-politico, diritto naturale privato e pubblico, diritto criminale. Nel 1844 Tolomei divenne professore ordinario e fino al 1876 insegnò le materie di enciclopedia delle scienze giuridico-politiche, filosofia del diritto, diritto internazionale, diritto e procedura penale. Mantenne fino alla morte l’insegnamento di storia dei trattati e della diplomazia. Rivestì anche il ruolo di supplente in altre materie, come diritto romano, statutario e feudale (1852-54), procedura giudiziaria civile e notarile e stile degli affari (1854-55), diritto civile austriaco (1856-57), diritto costituzionale (1870-72). Nel 1867 fu nominato direttore dello Studio politico-legale dell’Università di Padova e presidente della commissione ministeriale incaricata di redigere il nuovo Regolamento universitario generale (approvato l’8 ottobre 1868). Sino al 1873 rimase alla guida della facoltà, che in seguito diresse nuovamente dal 1881 al 1893. Divenuto rettore dell’Ateneo padovano nel biennio 1869-70, fu richiamato a ricoprire tale ruolo negli anni 1873-79.
Tolomei dedicò la maggior parte della sua vita allo studio del diritto, all’insegnamento e alla gestione delle strutture universitarie, ma ciò non gli impedì di mettersi anche al servizio del pubblico interesse in qualità di consigliere comunale (di Torreglia, Camposampiero, Padova) e provinciale. Nel 1867 fu eletto deputato al Parlamento del Regno d’Italia in rappresentanza del collegio di Pieve di Cadore, ma l’elezione non fu convalidata, perché il suo nome fu sorteggiato tra quello dei professori universitari eccedenti il numero consentito dalla legge elettorale. Membro di diverse commissioni legislative, istituite allo scopo di redigere i nuovi codici di diritto e di procedura penale (quelle del 1865, 1876, 1888, 1898), nel triennio 1889-92 fece parte del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Nel 1890 fu nominato senatore in qualità di membro di lungo corso della Regia Accademia delle scienze. Fra le numerose onorificenze conferitegli vi furono i titoli di cavaliere del Regno d’Italia (1868), commendatore (1873) e grande ufficiale della Corona (1876).
A dispetto del fatto di essere uno spirito prudente e conservatore, incline a rispettare ogni tipo di autorità (religiosa, politica, culturale) e quindi poco propenso a sposare ideologie radicali, Tolomei fu un convinto fautore delle libertà individuali e del liberalismo moderato. Dotato di una vasta cultura e di molteplici interessi, confidò sempre nell’utilità di esercitare un’ampia libertà di giudizio e di perseguire la mediazione fra gli opposti in ogni campo, rifuggendo da qualunque forma di estremismo. Forte di una salda e serena fede religiosa, che non lo rese uno spirito intransigente o bigotto, era in grado di conciliare i dogmi del cristianesimo con i capisaldi razionali della filosofia kantiana, i principi del diritto romano, le novità legislative, i progressi delle scienze giuridiche.
Nel Corso elementare di diritto naturale o razionale (Padova 1849) Tolomei espose con la chiarezza propria di un manuale concepito a uso degli studenti una concezione del diritto naturale piuttosto tradizionale e conforme ai dogmi della religione cattolica, riprendendo gli insegnamenti del suo maestro Todeschini e filtrandoli alla luce del pensiero di diversi filosofi e giuristi italiani, austriaci ed europei (come Immanuel Kant, Karl Anton von Martini, Franz von Zeiller, Gian Domenico Romagnosi, Antonio Rosmini). Egli considerava lo stato di natura creato da Dio come un sistema basato su regole costanti nel tempo e non condivideva l’idea che la storia si potesse definire come un lento e incessante processo evolutivo, tendente al graduale perfezionamento dell’umanità. Il diritto privato e pubblico prodotto dall’uomo su ispirazione divina rifletteva, a sua volta, i principi delle immutabili leggi naturali e morali concepite da Dio, poiché esisteva un rapporto di costante tensione ideale fra la legislazione positiva e le regole deducibili con il mezzo della ragione dall’osservazione del creato e delle interazioni umane. Di conseguenza, un’approfondita conoscenza dei principi del diritto naturale, della religione, dell’etica, della giustizia e della politica era il presupposto indispensabile per la promulgazione di leggi destinate a garantire la pace, la sicurezza e il benessere comune. Inoltre, era necessario separare ma non isolare, bensì conciliare, i diversi ambiti di competenza delle autorità statali e religiose, emanando norme che delineassero i contenuti e i limiti della libertà di coscienza e di quella di culto. Per essere realmente liberi, i cittadini dovevano essere in grado di poter contestare e censurare i principi alla base delle istituzioni e della società civile, con il solo limite di non mettere in pericolo l’ordine pubblico, il rispetto delle leggi, la pace delle famiglie, l’autonomia delle autorità religiose. Ecco perché una concezione tradizionale del matrimonio, inteso come un legame perenne e indissolubile finalizzato alla procreazione e all’educazione della prole, poteva convivere con la legittimazione attribuita dal pensiero liberale a tutte le forme di governo in cui i poteri espressione della sovranità (primus inter pares quello legislativo) fossero esercitati nell’interesse della società e per indirizzare la volontà dei cittadini senza dominarli.
Nel successivo trattato Diritto e procedura penale esposti analiticamente ai suoi scolari (Padova 1874) Tolomei tornò a identificare in Dio il solo legislatore supremo e universale, nonché a ribadire l’esistenza di un inscindibile nesso di derivazione fra diritto positivo, precetti religiosi e principi della morale. Il potere dello Stato di punire gli autori di un crimine traeva la sua legittimazione dalla volontà divina, che si era manifestata nella possibilità attribuita alle autorità di imporre con la forza il rispetto di regole ispirate al perseguimento della pacifica convivenza, mentre la pena doveva intendersi come la necessaria conseguenza della volontaria violazione di una legge statale e il giusto castigo inferto al reo per il male arrecato ad altri. Al pari del suo mentore Todeschini e degli esponenti della Scuola classica del diritto penale, Tolomei attribuiva, quindi, alla sanzione comminata dallo Stato lo scopo precipuo di assicurare l’osservanza delle norme emanate nell’interesse pubblico e dei singoli cittadini. Peraltro, nel corso del dibattito che portò all’abolizione della pena di morte egli si schierò contro il ricorso a tale misura, ritenendo che il suo impiego non fosse mai necessario per tutelare l’ordine sociale, né tanto meno utile a reintegrare i diritti lesi dal reato.
Tolomei fu un convinto fautore della Scuola classica, che difese dalle critiche dei sostenitori della Scuola positiva. In I vecchi e nuovi orizzonti del diritto penale (Verona-Padova 1887) si schierò in favore del tradizionale approccio allo studio del diritto penale basato sul ricorso a principi e categorie astratte, contestando il valore del nuovo metodo sperimentale propugnato dai positivisti, perché incentrato sul ricorso a scienze non giuridiche, come quelle aventi per oggetto la psiche e i comportamenti umani. Parimenti, egli si mantenne sempre fedele alla concezione dell’imputabilità penale intesa come una condizione scaturente dalla libertà del volere umano e dalla capacità di autodeterminazione degli individui, criticando le tesi secondo cui in determinate circostanze gli uomini avrebbero potuto trovarsi nella condizione di non riuscire a distinguere il bene dal male e decidere con piena coscienza se delinquere. Tolomei dissentiva anche in merito all’impiego del manicomio criminale come misura di sicurezza, alternativa al carcere, da applicare a tutti i criminali affetti da pazzia conclamata, perché riteneva iniquo privare della libertà personale coloro che fossero del tutto irresponsabili e non colpevoli sotto il profilo giuridico a causa di una malattia mentale.
Morì a Padova il 9 maggio 1893.
Opere. Oltre a quelle già citate, si segnalano: Trattato elementare di diritto penale ragionato, Padova 1849; Diritto penale. Elementi e studi proposti ai suoi scolari sui punti fondamentali della scienza e della legislazione avuto specialmente riguardo al codice penale austriaco e sue novelle, Padova 1863; Diritto penale filosofico e positivo austriaco avuto speciale riguardo alle provincie Lombardo-Venete, Padova 1866; Procedura penale. Introduzione, Padova 1866; Sull’odierno sistema penale nel Regno d’Italia, Padova 1883.
Fonti e Bibl.: F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, II, Trento 1894, pp. 260 s.; A. Cavagnari, Commemorazione del senatore professore G. T. letta nell’Aula Magna della R. Università di Padova il 3 dicembre 1893, Padova 1894; F. Lampertico, Commemorazione di G. P. T., in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, VII (1895-1896), pp. 39-81; A. Zanetel, Dizionario biografico di uomini del Trentino sud-orientale, Trento 1978, pp. 337-342; E. Novello, Una vexata quaestio: G. T. e l’abolizione del pensionatico, in Archivio veneto, CXXVII (1996), 182, pp. 5-59; G. Zordan, L’insegnamento del diritto naturale nell’ateneo patavino e i suoi titolari (1764-1885), in Rivista di storia del diritto italiano, LXXII (1999), pp. 68-72; R. Isotton, T., G. P., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, p. 1956.