MARANA (Marrana), Gian Paolo
Primo dei quattro figli di Giovanni Agostino, orafo, e di una Maddalena di cui non si conosce il cognome, nacque, probabilmente a Genova, nel 1642.
Scarse le notizie sulla giovinezza del M.: nel 1656 fu processato per detenzione di coltello e subì una breve carcerazione. Poco si sa anche sulla formazione: conosceva senz'altro il latino, ma probabilmente la sua cultura, più che l'esito di un regolare corso di studi, era frutto delle curiosità e delle letture di un autodidatta.
Il 23 febbr. 1661 sposò Maria Vittoria Casareggio, morta verosimilmente prima del 1674, dalla quale ebbe almeno quattro figli.
Nel 1664 il suo nome compare tra i promotori di un Monte vitalizio, volto a sovvenzionare la Repubblica di Genova in caso di bisogno di liquidità, ma la proposta non incontrò il favore della Camera.
Il progetto, ripresentato dal M. il 5 ag. 1672, fu attuato il 23 genn. 1675, con l'istituzione di un banco riservato a soli sottoscrittori genovesi, con capitale di 200.000 scudi d'argento al 4%: ma non è noto se il M. abbia avuto parte nella gestione.
Nell'agosto 1670, a seguito di una denuncia anonima, il M., insieme con il fratello Giovan Battista, fu diffidato per aver minacciato un garzone della bottega del padre. Poco dopo fu coinvolto in una vicenda dai contorni romanzeschi. Il 24 ottobre si presentò alle autorità con alcuni documenti cifrati affermando di averli recuperati in un fosso nei pressi di Granarolo, poco fuori la città: decifrati, avrebbero rivelato un piano di invasione della città da parte di truppe francesi. Il racconto non convinse il Senato, che ordinò la perquisizione della casa del M. e lo affidò agli inquisitori di Stato: sottoposto a tortura, il M. confessò che i documenti erano falsi da lui creati per avvertire sui rischi di un'invasione francese e mettere in luce la disaffezione dei cittadini verso la patria. Accusato di mendacio, calunnia e falsità, il 15 apr. 1671 il M. fu condannato a 5 anni di prigione.
La carcerazione ebbe termine il 29 nov. 1674 e il 30 dicembre, pressato dalle difficoltà economiche, il M. rivolse una supplica al Senato (Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 2494). La sua situazione sembrò migliorare quando, all'inizio del 1675, ricevette da Giovanni Prato, già maestro di campo nelle forze genovesi nel 1671-73, l'incarico di compilare una storia della recente guerra tra Genova e il Ducato di Savoia, con l'obiettivo di fornire una versione di parte genovese degli avvenimenti.
Nota con il titolo di Successi della guerra del 1672, l'opera del M. richiese almeno un paio d'anni di lavoro (si conoscono due manoscritti: uno, "probabilmente autografo" [Roscioni, 1992, p. 62], nell'Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, T.V. 26; un secondo, ottocentesco, Torino, Biblioteca Reale, Saluzzo, 243). Ampiamente basato sulla cronaca di F.M. Viceti, lo scritto del M. accusava la Repubblica, resa debole dalle disuguaglianze interne, di imprevidenza e di scarsa capacità di mobilitazione contro minacce esterne.
Sebbene il Senato ne avesse espressamente vietato la divulgazione, il M. fece imprudentemente circolare alcune parti dello scritto. Il 21 ott. 1679 il governo della Repubblica ordinò l'arresto del Marana. Il manoscritto dei Successi della guerra del 1672 fu esaminato dagli inquisitori, che, pur non trovandovi nulla di apertamente compromettente, non lo restituirono al Marana.
Scontato un mese di prigionia, il M. fu rimesso in libertà dietro pagamento di una cauzione di 500 scudi di argento. Per timore di nuovi soprusi e per difficoltà economiche, egli fuggì da Genova, con parte dei preziosi custoditi nella bottega del padre, morto il 20 ag. 1679, e si portò a Monaco, che era sotto il protettorato francese, dove rimase per più di un anno. Qui maturò l'idea di rivedere i Successi per la pubblicazione. Gli inquisitori di Genova, interpellati, si pronunciarono il 22 ag. 1681, proibendo la stampa dell'opera. Allora il M., trasferitosi a Lione, vi pubblicò nel dicembre (ma con la data 1682) La congiura di Raffaello Della Torre, con le mosse della Savoia contra la Repubblica di Genova.
Il cambiamento del titolo è significativo del modello storiografico che il M. aveva presente: la Congiura del conte Gio. Luigi Fieschi di Agostino Mascardi. Gli episodi genovesi relativi alla congiura ottengono più articolato sviluppo: sono messe in rilievo le divisioni interne di Genova e l'eccessiva morbidezza della Repubblica; fortemente letterario è il ritratto di Della Torre, secondo una linea della storiografia drammatica che aveva i suoi riferimenti in Sallustio e in Mascardi. Indice dell'acquisito passaggio alla fazione filofrancese è l'elogio finale di Luigi XIV e del suo intervento pacificatore.
Il M. si premurò di presentarne una copia a P.M. De Marini, da poche settimane residente della Repubblica in Francia, che nei confronti del M. manifestava non poca diffidenza.
Il gesto aveva l'intento evidente di non tagliare i ponti con Genova, ma l'incontro non fu particolarmente felice e terminò con un vivace alterco. Gli inquisitori di Genova non reagirono alla pubblicazione: l'opera non fu bandita, cosa che avrebbe attirato un'eccessiva attenzione, ma tacite disposizioni ne impedirono la circolazione nel territorio genovese.
Alla metà di dicembre 1681 il M. partì da Lione alla volta di Parigi, nella speranza - a detta di De Marini - di succedere a V. Siri, storiografo del re in lingua italiana.
Il soggiorno parigino fu segnato da una sostanziale difficoltà di garantirsi la sopravvivenza. Di fronte allo scarso interesse manifestato da Luigi XIV, il M. dovette accontentarsi di relazioni occasionali: così avvenne per quella intrattenuta tra 1683 e 1684 con Ph. Montaut-Bénac, duca di Navailles e maresciallo di Francia, che aveva chiesto al M. uno scritto encomiastico.
Le speranze di diventare storiografo regio, rinfocolate dalla morte di Siri nel 1685, svanirono quando poco dopo Luigi XIV soppresse la carica.
A Parigi il M. entrò in contatto con un gruppo, non folto, ma particolarmente agguerrito, di figure legate più o meno strettamente all'ambito genovese: oltre a Giacomo, figlio dello Stefano accusato di cospirazione contro la Repubblica nel 1650, Sinibaldo Fieschi, fuggito da Genova nel 1680 per dichiarata simpatia filofrancese, e Jean-Louis-Mario Fieschi, che accampava pretese sul territorio di Genova, divulgate in un memoriale del 1683. A Fieschi erano legati Ch. de Nointiel, ambasciatore di Francia a Costantinopoli dal 1670 al 1680, e i fratelli L.-M. e Fr. Pidou de Saint-Olon. Tramite Fieschi, il M. poté accedere alla collezione di turcherie di de Nointiel. A Fr. Saint-Olon, in special modo, ambasciatore di Francia a Genova dal 1682 al 1684, fornì diversi ragguagli sullo stato della Repubblica. Uno dei frutti più significativi della vicinanza tra i due è la Relazione circa lo stato della Repubblica di Genova. Databile al 1682-83, lo scritto ebbe ampia circolazione per tutta l'Europa a nome di Saint-Olon, ma in tempi recenti si è proposto di assegnarlo al Marana.
Nell'ottobre 1683, assicuratosi ulteriormente della gravità di alcune trame del M. con Fieschi e Saint-Olon, De Marini chiese al Senato genovese di prendere provvedimenti contro di lui e nel gennaio 1684 riferì che il M. aveva divulgato notizie segrete sull'attività del Minor Consiglio di Genova e aveva contribuito alla stesura dell'ennesimo opuscolo antigenovese.
Dopo un ultimatum del governo francese che imponeva a Genova condizioni da questa ritenute umilianti e perciò respinto, dal 18 al 21 maggio le navi francesi bombardarono Genova e, dopo una breve tregua concessa per avviare trattative, subito fallite, l'azione della flotta francese continuò fino al giorno 28, lasciando la città prostrata. Dopo questi eventi vide la luce il Dialogo fra Genova e Algieri, pubblicato ad Amsterdam alla fine del 1684 (con data 1685) in due edizioni, una italiana e una francese.
Apparsa anonima, l'opera fu subito riconosciuta come l'ennesimo frutto della pubblicistica antigenovese del M. e di Saint-Olon. L'accostamento delle due città era dovuto alla comune sorte di Algeri e Genova: la prima era stata bombardata nel 1682 e costretta a una resa assai poco onorevole nell'aprile 1684; anche per Genova la pace, più umiliante che onerosa, prevedeva che il doge Francesco Lercari e quattro senatori si presentassero a omaggiare Luigi XIV, cosa che si verificò a Versailles il 15 maggio 1685. Nel Dialogo è apertamente biasimata la superbia della Repubblica, che non aveva voluto piegarsi alle richieste di Luigi XIV. A testimonianza dell'ampia eco che lo scritto ebbe in tutta Europa stanno due riedizioni del Dialogo (Genova 1690; s.l. 1760) e alcuni materiali manoscritti (Londra, British Library, Add. Mss., 6144; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds Français, 2344).
Ai primi anni del soggiorno parigino risale anche la composizione del lavoro letterario più noto del M., il romanzo pseudoepistolare a sfondo orientale L'esploratore turco, pubblicato a Parigi presso C. Barbin tra il 1684 e il 1686.
Il manoscritto della prima parte (composta probabilmente entro il 1682) fu presentato dal M. a Luigi XIV nei primi mesi del 1684. Un paio di mesi dopo l'edizione italiana (L'esploratore turco e le di lui relazioni segrete alla Porta ottomana scoperte in Parigi nel regno di Luiggi il Grande, tradotte…), Barbin pubblicò una versione francese (L'espion du Grand-Seigneur…), ristampata verso la fine dell'anno ad Amsterdam.
La seconda parte fu presentata dal M. a Luigi XIV all'inizio del 1686 e alla fine dell'anno Barbin pubblicò un'edizione in francese in tre parti, contenenti rispettivamente 30, 38 e 33 lettere: l'ultima parte è probabilmente una versione francese di un perduto manoscritto italiano, mentre delle prime due si conservano le copie allestite per la stampa, forse di mano del M. (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds Italien, 1006 e 1007).
È generalmente accettato che le 102 lettere dell'edizione Barbin siano quelle attribuibili con certezza al Marana. Tale canone, con una partizione in quattro parti dovuta a ragioni editoriali, fu replicato nelle edizioni Amsterdam 1688 e Parigi 1689 e 1690. All'indomani di queste edizioni, le vicende testuali dell'Esploratore turco si fanno particolarmente complesse (il regesto fornito da J.P. Gaudier e J.J. Heirweg, pp. 48-52, raccoglie un totale di circa trenta edizioni, in inglese, francese e olandese). Snodo fondamentale è un'edizione londinese, tra 1691 e 1694, in otto parti, con il titolo Letters writ by a Turkish spy, contenente 630 lettere. Dall'edizione inglese dipende, con qualche modifica nell'ordine delle lettere e con interventi nelle parti ritenute poco ortodosse, la stampa di Cologne (probabile nome fittizio per Parigi o Rouen) nel 1696-99, alla quale, per quanto risulta, fanno capo tutte le successive.
La paternità delle circa 500 lettere testimoniate a partire dall'edizione londinese è controversa: se è sembrato verosimile che si tratti di rimaneggiamenti di materiali originali del M. ora perduti, sono state altrimenti considerate degli apocrifi, aggiunti da mestieranti legati al mondo della stampa. Per i francesi è stato avanzato - con scarsa verosimiglianza - anche il nome di P. Bayle; le ultime sette parti della prima edizione inglese sono state ricondotte alla figura di J. Bradshaw, scrittore e libellista, autore tra l'altro di una requisitoria antigesuitica. Una nona parte dal titolo Continuation of Letters written by a Turkish spy (Londra 1718), contenente 63 lettere, va quasi sicuramente assegnata a D. Defoe.
L'Esploratore turco presenta una contorta architettura, congeniale alla mentalità del suo autore: il M. avrebbe ritrovato un fascio di scritture in lingua araba che, una volta tradotto, si sarebbe rivelato il lungo carteggio di una spia turca, Mahmut, inviata in Europa dalla Porta di Costantinopoli per fornire precisi ragguagli sul mondo occidentale. Visto l'indubbio interesse di queste lettere, che coprono un lasso di tempo compreso tra 1637 e 1682, il M. si sarebbe limitato a tradurle e pubblicarle. Vergate con uno stile franto e laconico, talora sciatto e frettoloso, si soffermano di volta in volta sulle convenzioni sociali dei Francesi, sui gesuiti, sulle pratiche religiose dei cristiani, esprimendo a più riprese stupore o critiche. L'espediente di far parlare uno straniero su questioni a lui estranee ma ben familiari ai lettori non cela, tuttavia, la componente encomiastica volta all'esaltazione della monarchia francese, in particolare di figure chiave come Enrico IV o il cardinale Richelieu.
Matrice per futuri esperimenti analoghi, fu considerato alla stregua di uno scritto libertino che rivelerebbe i segreti del potere politico; ebbe perfino sporadiche letture a chiave (Parigi, Bibliothèque de l'Arsenal, Mss., 7067). Anche se non accettato da tutti gli studiosi, si è sostenuto che esso abbia fornito spunti a Montesquieu per le Lettres persanes. A causa di questa tangenza con questioni affrontate nella libellistica libertina, l'Esploratore turco finì all'Indice nel 1705.
All'indomani della formale pacificazione del 1684 tra la Francia e Genova, il nuovo ambasciatore francese presso la Repubblica, Nicolas de Sève d'Aubeville si fece carico della sorte degli esiliati politici genovesi, ma il governo genovese, a proposito del M., respinse la richiesta di reintegro, in quanto dichiarato delinquente comune per il furto dei gioielli dalla bottega paterna.
Il M. cercò di attirare ancora una volta l'attenzione di Luigi XIV con una serie di scritti encomiastici rimasti allo stato di abbozzo, nei quali, tuttavia, non trascurò di rivolgere parole interessate a Genova: Il Trionfo di Parigi e le più nobili azioni della vita del re contenute in tre lettere che l'autore scrive alla sua patria (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds Italien, 862, autografo, databile all'aprile-maggio 1687); Le più nobili azioni della vita e regno di Luigi il Grande, di cui si conoscono due diverse fasi redazionali riconducibili ai mesi successivi: la prima contiene 13 lettere (ibid., 2208); la seconda 37 (ibid., 867-868). La progettata opera in lode di Luigi XIV sembrò trovare una forma definitiva nel panegirico Per le memorabili imprese et heroiche azioni fatte in pace et in guerra da Luiggi il Grande (l'originale ibid., 990), risalente ai primi mesi del 1688. Tradotto in francese da Saint-Olon con il titolo di Les evénemens les plus considérables du RÈgne de Louis le Gran (Ibid., Fonds Français, 5857), il lavoro fu poi pubblicato a Parigi nel 1690, ma, a dispetto della sua laboriosa redazione, non ebbe alcun successo.
Gli ultimi anni della vita del M. furono condizionati dalla progressiva diffidenza di Luigi XIV nei confronti degli esuli genovesi e dallo scarso interesse di altri illustri personaggi affannosamente contattati. La notizia accennata da Dreux du Radier e data per buona da alcuni biografi successivi, secondo la quale il M. nel 1689 sarebbe tornato a Genova per poi morirvi, non trova riscontro documentario.
Secondo la notizia fornita dal residente di Genova a Parigi F. Gastaldi, il M. morì a Parigi, "carrico di molti debiti" (Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 2207), il 26 ott. 1693.
Vanno ricondotti a quest'ultimo periodo gli Entrétiens d'un philosophe avec un solitaire sur plusieurs matières de morale et d'erudition, editi a Parigi nel 1696 da M. Jouvenel, e la Traduction d'une lettre italienne, écrite par un sicilien à un de ses amis, contenant une critique agréable de Paris, datata 20 ag. 1692 e pubblicata nella raccolta Saint-Evremoniana, ou dialogues des nouveaux dieux con erronea assegnazione a Ch. de Saint-Evremond (Parigi 1700, pp. 374-425). Ripubblicata nel 1702 e nel 1710 in nuove edizioni della silloge, la Traduction d'une lettre ebbe poi divulgazione autonoma (ibid. 1714 e 1720). L'attribuzione al M. fu avanzata da V. Dufour nell'edizione da lui curata (Parigi 1883); pur con qualche riserva essa è condivisa da G. Almansi (curatore dell'edizione italiana, Palermo 1984), da Rotta e Roscioni.
Edizione di riferimento dell'Esploratore turco è quella curata da G. Almansi e D. Warren, in Studi secenteschi, IX (1968), pp. 159-257; X (1969), pp. 243-288; XI (1970), pp. 75-165; XII (1971), pp. 325-365; XIII (1972), pp. 275-291; XIV (1973), pp. 253-283.
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