BRUTO, Gian Michele
Nato a Venezia nel 1517, apparteneva a un'antica famiglia veneziana dell'ordine dei cittadini, già segnalatasi nelle lettere. Intorno al 1540 si recò a Padova, dove studiò retorica con L. Buonamici. Era diacono nell'Ordine dei canonici regolari, quando, lasciato il convento con dispensa della penitenzieria, entrò in rapporti con Antonio da Capua, arcivescovo di Otranto, amico del Valdés. Dopo alcuni viaggi a Genova e a Napoli, visse per un certo periodo, intorno al 1551, presso i benedettini di Maguzzano sul Garda, nel circolo di umanisti che il cardinale Reginald Pole aveva riunito intorno a sé: lì conobbe Andrea Dudith Sbardellati, con il quale mantenne stretti rapporti di amicizia fino agli ultimi anni della vita.
Nel 1555, fuggito da Venezia perché accusato di eresia, pubblicò ad Anversa le sue prime opere: un'orazione a Carlo V e uno scritto sull'educazione delle donne. Nel '58 entrò al servizio di Paolo Tiepolo, un diplomatico umanista, legato straordinario della Repubblica veneta presso la corte di Madrid: ma il soggiorno spagnolo gli fu molestato da una grave malattia e dalla insolenza arrogante dell'ambiente di corte. Abbandonato il servizio presso il Tiepolo, iniziò un periodo di viaggi attraverso Francia, Germania e di nuovo Spagna.
Nel 1560 poté tornare per un breve periodo a Venezia e, sul finire dello stesso anno, si ritirò in solitudine di studio presso Lucca, per lavorare a una raccolta di lettere di uomini illustri e alla edizione della storia di Alfonso I del Facio. È ben probabile che in quel periodo sia passato per Firenze, a cercarvi materiale per le sue storie fiorentine. Comunque, nel 1562 lo troviamo a Lione, dove pubblica gli otto libri delle storie, nonché la narrazione della guerra, sostenuta da Siena contro Firenze nel 1454, opera di Francesco Contarini. Sul finire del 1562 si stabilisce a Venezia, dove s'incontra con Donato Giannotti, che seguiva con vivo interesse il suo lavoro di storico, e si trattiene un anno e mezzo quale istitutore di Francesco Raineri, figlio di mercanti fiorentini residenti a Lione. Tornato a Lione, vi rimane fino al '71, dedicandosi all'insegnamento privato, alla pubblicazione di classici (Cesare, Orazio, Cicerone), e a una nuova edizione della Repubblica di Venezia del Giannotti.
A quanto risultava al nunzio Calligari, il B., in quegli anni di vivaci rapporti con i fuorusciti fiorentini, fu anche implicato nel processo di Pietro Carnesecchi.
L'orazione De rebus a Carolo V Caesare Romanorum Imperatore gestis, Antverpiae 1555, è la prima espressione del pensiero politico del Bruto. Dietro il velo delle lodi per le virtù militari e civili di Carlo s'intravede la preoccupazione dell'umanista per l'autonomia delle città italiane, la cui soggezione a Francesi e Pontifici è paragonata alla servitù delle città ungheresi oppresse dai Turchi. La politica di Clemente VII è valutata negativamente; egli avrebbe chiamato i Francesi in Italia e rotto fede all'imperatore, facendosi fautore dell'alleanza antimperiale del 1527:"ea fuit pontificis maximi et Christi personam in terris gerentis... religio et fides" (f. Cv). Pur chiamando l'imperatore "princeps Christianae religionis", esprimeva riserve a proposito della guerra smalcaldica.
In tutto questo primo periodo della sua produzione, il B. appare in stretto contatto con il partito antimediceo, soprattutto con gli esuli fiorentini a Lione; la pubblicazione del Contarini aveva certo uno scopo polemico e un sapore d'attualità: riesumare la guerra di cent'anni prima significava alludere chiaramente alla guerra di Siena appena conclusa con tanto danno per la libertà d'Italia. Allo stesso modo l'edizione del Giannotti corrispondeva assai bene alla posizione ideale del B., fautore d'una costituzione repubblicana e aristocratica.
Ancor meglio il suo pensiero si rivela nelle Historiae florentinae. L'opera inizia con una sintesi della teoria interna del Comune, cui segue l'ascesa dei Medici, e termina con la morte di Lorenzo il Magnifico. Il problema che interessa il B. è il tramonto delle libertà repubblicane, il progressivo elevarsi dell'autorità di un solo privato al di sopra delle magistrature del Comune. Nel proemio confuta appassionatamente le asserzioni filomedicee del Giovio, e si scaglia contro Clemente VII, che fu da meno di Coriolano, in quanto, al contrario di questo, non esitò a sacrificare la patria al suo particolare risentimento e interesse. La sua concezione della libertà è chiaramente definita quale governo del popolo grasso: la perdita della libertà è provocata dall'alleanza dei demagoghi, cioè dei Medici, con la plebe. Disapprova le guerre dei Fiorentini contro i Comuni minori per il possesso della Toscana; è decisamente dalla parte dei congiurati quando tratta dell'impresa dei Pazzi, ma stima controproducente l'intervento di Sisto IV negli affari interni della Repubblica. In Lorenzo de' Medici ammira il difensore dell'equilibrio italiano, apprezzandone la scelta politica a favore di Alfonso d'Aragona contro Innocenzo VIII.
Nel 1565 il nobile ungherese Ferenc Forgách aveva invitato il B. a collaborare alla stesura di una storia d'Ungheria. Il Forgách, che allora si trovava a Vienna alla corte di Massimiliano II, progettava la continuazione del lavoro del Bonfini, che s'arrestava al 1490. L'invito ad occuparsi di storia ungherese venne rinnovato poco più tardi, questa volta dal principe transilvano Stefano Báthory, tramite il suo cancelliere, che si trovava allora a Padova. Ma per il momento il B. non mostrò interesse né per la prima, né per la seconda proposta. Solo nel 1572, mentre si trovava a Basilea, sembrò accettare il replicato invito del Forgách, che nel frattempo era passato alla parte antiasburgica dei principi di Transilvania. Ma durante il viaggio si ferma a Vienna, resistendo alle pressioni di Massimiliano II, che intendeva affidargli una storia di Ferdinando I, torna a Lione, e solo nel gennaio 1574 raggiunge Clui e Alba Iulia, dove viene onorevolmente accolto dal Báthory e dal Forgách. In Transilvania trascorse un biennio, intento a raccogliere fonti per la sua storia d'Ungheria, con una retribuzione annua di 450 talleri, che venne portata, con graduali aumenti, a 841 fiorini polacchi. Quando, nel 1576, Stefano Báthory fu proclamato re di Polonia, il B. si trasferì a Cracovia, dove gli fu assegnata un'abitazione al Wawel. Seguì il re nelle campagne di Prussia e di Moscovia. Nel '78 fu ospite dell'ex vescovo Andrea Dudith a Paskov, in Slesia: e con tutto il gruppo degli amici del Dudith, caratterizzato da un atteggiamento di tolleranza religiosa e da interessi scientifici, entrò in vivace scambio di idee. Nel 1581 si recò per qualche tempo a Breslavia in visita al Dudith, che vi si era trasferito, e al medico imperiale Crato von Craftheim.
Ma anche a Cracovia non si trovò isolato: con l'ambiente degli anabattisti locali, o degli italiani entusiasti e chiliasti di passaggio, non ebbe nulla a che fare, ma si trovò in intimità col medico di corte Niccolò Buccella, anch'egli padovano, e frequentò le riunioni che si tenevano in casa del ricco connazionale Prospero Provana, alle quali interveniva Fausto Sozzini.
Negli anni della sua permanenza in Polonia ebbero inizio gli sforzi per ricondurre il B. alla Chiesa cattolica. Il nunzio Calligari, nel giugno '78, riferiva diffusamente di un "Bruto padovano" certamente eretico, ma che affermava tuttavia d'essere buon cattolico: "è uomo da far del male per aver lingua e penna gagliarda et esperienza molta de le cose del mondo" (Mon. Pol. Vat., IV, p. 23). Tre anni dopo, però, il B. stesso dava segno di voler abiurare. Per mezzo suo il nunzio sperava di indurre Andrea Dudith e Prospero Provana a rientrare in seno alla Chiesa; usava quindi ogni mezzo: intercedeva presso il re perché accrescesse lo stipendio del suo storiografo, chiedeva a Roma una speciale dispensa perché questi potesse rimanere in abito di chierico secolare senza esser costretto a rientrare nell'Ordine, insisteva affinché si considerasse sufficiente un'abiura segreta. Tuttavia il B. non volle riallacciare il discorso col nuovo nunzio, il Bolognetti: questi fece intervenire il re, ma non ottenne alcun risultato immediato. Sebbene nel 1582 fosse pervenuta al Bolognetti la dispensa richiesta dal suo predecessore, dove si accordavano le condizioni volute dal B. questi appariva ben lontano dalla Chiesa, anzi risultava che cercasse di convertire altri connazionali alle sue eresie, arrivando persino alle minacce. Solo tre anni più tardi, nell'aprile del 1585, egli abiurava nelle mani del nunzio.
Durante gli anni del soggiorno polacco il B. pubblicò uno scritto del Dudith, De cometarum significatione, Basileae 1579, composto subito dopo l'apparizione della cometa del 1577. Un gruppo di studiosi, stretti da vincoli d'amicizia e di cultura, aveva sentito il bisogno di attaccare la falsa superstizione delle comete. La prefazione del B. corrisponde a un interesse morale più che strettamente scientifico: il saggio non ha bisogno dell'astrologia, perché sa sopportare i colpi della fortuna; quanto al volgo, debole e pavido, è meglio che non conosca i mali venturi, contro i quali non ha comunque alcun rimedio. L'autorità degli antichi, che hanno sostenuto le ragioni dell'astrologia, non può appagare i bisogni intellettuali del filosofo, che riconosce solamente la "ratio".
Pabblicò quindi l'opera di Filippo Buonaccorsi De rebus gestis a Vladislao..., Cracoviae 1582, facendola precedere da una breve biografia dell'autore, esule anch'egli, un secolo prima, per la dura persecuzione di Roma. Infine faceva uscire una scelta delle proprie lettere, indirizzate a illustri personaggi, in buona parte ungheresi, seguite da alcune opere minori (Selectarum epistolarum libri quinque..., Cracoviae 1583).
Ma soprattutto si dedicò a quella storia d'Ungheria che doveva dimostrare, così come la concepiva il Báthory, l'infondatezza delle pretese asburgiche sul trono di Transilvania. Sappiamo che il re faceva condurre sistematici lavori di ricerca all'archivio vaticano, oltre a raccogliere fonti di provenienza transilvana. L'atteggiamento polemico del B. risulta, d'altra parte, dalle sue stesse parole, riportate dal Bolognetti: "dice... non aver avuto... altra intenzione che di non lasciar opprimere la verità dalle bugie del Sambuco, e dimostrar principalmente che il re Giovanni era vero Re" (Mon. Pol. Vat., VI, p. 162). Il Sambuco, umanista ungherese e storiografo imperiale, che lavorava a Vienna, aveva ripubblicato nel '68 e nell'81 la storia dei Bonfini, con aggiunte e aggiornamenti di mano propria, intesi ovviamente a giovare al partito asburgico. Il nunzio prevedeva che l'opera dello storiografo italiano sarebbe stata proibita ai cattolici perché l'autore era eretico, ed egualmente proibita nei territori soggetti all'imperatore, perché d'impostazione nettamente antiasburgica; "quanto poi alle cose inserite... contra Clemente VII..., questa oltre altre imperfezioni, le derogherebbero appresso i buoni molta fede" (ibid., p. 239). Il Possevino, frattanto, concepiva la sua opera sulla Transilvania proprio in polemica col Bruto.
Certo questa ostilità da parte cattolica, che il re non poteva evidentemente ignorare, influì sulla composizione dell'opera: il nunzio stesso, nell'agosto 1584, aveva l'impressione che l'autore si esprimesse in termini convenienti circa la Chiesa romana. Comunque il re la trovò troppo lunga e poco leggibile, e raccomandò al B. di ridurla in compendio.
La morte del Báthory, nel dicembre 1586, eliminò ogni possibilità di pubblicazione dell'opera, almeno nella forma in cui era stata originariamente concepita. Il B., infatti, mutò radicalmente il proprio atteggiamento politico, ponendosi al servizio del partito asburgico; svolse addirittura attività diplomatica in favore dell'arciduca Ernesto, candidato al trono, il che lo mise in cattiva luce presso i suoi amici ungheresi e polacchi. Passò quindi a Vienna, dove entrò in contatto con il legato spagnolo Guglielmo Sanclemente, e venne assunto, grazie anche alla presentazione di Crato von Craftheim, quale storiografo imperiale da Massimiliano II. Nel 1589 raggiunse a Praga il nuovo sovrano, Rodolfo II; ma improvvisamente, nel 1591, fu informato che il principe Sigismondo Báthory, in possesso di un esemplare manoscritto della storia d'Ungheria, intendeva pubblicarlo. Partì allora per Alba Iulia, nel tentativo di scongiurare il pericolo che minacciava la sua reputazione, cambiando l'impostazione dell'opera; ma la morte lo colse durante il viaggio, nell'anno 1592.
Il ritorno al cattolicesimo e il passaggio al partito asburgico significavano l'abbandono da parte del B. d'ogni sua precedente posizione ideologica. Nei due discorsi in lode di Ernesto, del 1590, ripubblicati nell'edizione berlinese delle opere scelte, egli loda gli avi dell'arciduca, Massimiliano e Ferdinando, per aver difeso la tradizione cattolica e la maestà del pontefice, e fa sue le tesi politiche della Controriforma, auspicando l'unione dei principi cristiani sotto gli Asburgo e i pontefici per la lotta contro il Turco. Nella prefazione alla storia del Contarini aveva svolto il concetto che la virtù è assente dalle reggie perché i re non sono elevati alla loro dignità dal proprio naturale valore, bensì dal capriccio della fortuna; ora invece sostiene che è necessario, per la comune salvezza, innalzare un individuo al disopra di tutti, affidandogli il "mandatum regium": e a costui sarà utile, insieme con la virtù, anche il "decus nobilitatis", che lo rende popolare presso la moltitudine.
Opere: per le varie edizioni delle opere del B. vedi J. G. Vogel, Nachrichten von dem Leben und den Schriften des Geschichtsschreibers J. M. B., Meissen 1864. I Florentinae historiae libri octo priores, Lugduni 1562, furono ristampati nel Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, a cura di J. G. Graevius e P. Burmannus, VIII, 2, Lugduni Batavorum 1723. Una successiva edizione, Historiae florentinae libri octo, Venetiis 1764, è stata pubblicata in realtà a Firenze: vedi A. Panella, Come la ristampa fiorentina della "Storia" di G. M. B. diventò veneziana, in Arch. stor. ital., CII(1944), pp. 106-110. Subito dopo la prima edizione, l'opera fu parzialmente tradotta in italiano e data alle stampe, con intenti antimedicei. Una traduzione integrale rimase inedita: vedi G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana..., II, Venezia 1854, p. 242; M. Foscarini, Della letteratura veneziana, Venezia 1864, pp. 273, 292, 420-421 e 424-425.Una nuova edizione, con traduzione a fronte di S. Gatteschi, apparve a Firenze nel 1838.
La storia d'Ungheria, sebbene inedita, non rimase del tutto ignota; i quattordici libri rinvenuti furono pubblicati da F. Toldy, Magyar historiája 1490-1552, in Mon. Hung. Hist., Script., XII-XIV, Pest 1863-1876.
Una storia dell'interregno dopo la morte del Báthory, d'impostazione nettamente filoasburgica, fu scoperta e pubblicata da S. Ciampi, che l'attribuì per congettura al B., col titolo Rerum polonicarum ab excessu Stefani regis... liber, Florentiae 1827;ma l'attribuzione non è sufficientemente fondata.
Fonti e Bibl.: La fonte principale per la biografia del B. è costituita dalla sua corrispondenza, uscita Prima a Cracovia e poi ripubblicata in Opera varia selecta... editione Cracoviensi auctiora, Berolini 1698. Altri dati in D. Giannotti, Opere politiche e letterarie, Firenze 1850, II, p. 426-427; Id., Lettere a P. Vettori, a cura di F. Ridolfi, Firenze 1932, pp. 136 s.; Listy Annibala z Capui...(Lettere di Annibale da Capua), a cura di A. Przeździecki, Warszawa 1852, p. 58; Akta Metryki Koronnej… z czasów Stefana Batorego 1576-1586 (Atti della metrica reale... ai tempi di Stefano Báthory), a cura di A. Pawiński, in Zródła dziejowe (Fonti storiche), XI, Warszawa 1882, p.195; I. A. Caligarii... epistolae et acta 1578-1581, a cura di L. Boratyński, in Mon. Pol. Vat., IV, Cracoviae 1915, p. 11 e n. 6, 23, 571, 595, 638, 734; Rationes Curiae Stephani Báthory Regis Poloniae historiam Hungariae et Transylvaniae illustrantes 1576-1586, a cura di A. Veress, in Fontes Rerum Hungaricarum, III, Budapest 1918, pp. 32, 44, 48; Mon. Pol. Typographica, I, Cracovia impressorum XV et XVI ss., a cura di J. Ptaśnik, Leopoli 1922, p. 335; A. Bolognetti... epistolae et acta 1581-1585, I, a cura di E. Kuntze C. Nanke, in Mon. Pol. Vat., V, Cracoviae 1923-1933, pp. 497, 682; II, a cura di E. Kuntze, ibid., VI, ibid. 1938, pp. 161-162, 239, 253-254, 261 n. 50, 618; III, a cura di E. Kuntze, ibid., VII, Kraków 1960, pp. 416, 682. Del B. si sono occupati: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2248-2254; S. Ciampi, Rerum polonicarum... liber, Florentiae 1827, pp. I-XII; Id., Bibl. critica delle antiche reciproche corrispondenze... dell'Italia colla Russia,colla Polonia ed altre Parti settentr. …, Firenze 1834, pp. 4547; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., IV, Milano 1833, pp. 54 s.; F. Tóldy, Brutus élete és munkái (La vita e l'opera di B.), in Mon. Hung. Histor., Script., XII, Pest 1863, pp. V-LXXXIV; A. Veress, Il veneziano G. M. B. e la sua storia d'Ungheria, in Archivio veneto, s.5, VI (1929), pp. 148-178; A. Knot, Brutus Jan Michał, in Polski Słownik Biograficzny (Diz. biogr. polacco), III, Kraków 1937, pp. 26 s.; C. Curcio, Dal Rinascimento alla Controriforma..., Roma 1934, pp. 30, 46, 109; P. Costil, André Dudith humaniste hongrois 1533-1589..., Paris 1935, p. 183; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento..., Firenze 1939, pp. 343 s.; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1941, p. 662; M. Battistini, Jean Michel Bruto,humaniste,historiographe,pédagogue au XVI siècle, in De Gulden Passer, XXXII(1954); D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia,Polonia,Transilvania (1558-1611)..., Firenze 1970, pp. 1145-152, 238-240.