RIMINALDI, Gian Maria
RIMINALDI, Gian Maria (Giovan Maria, Giammaria). – Nacque a Ferrara da Iacopino e da Flora Lezulo nel 1434, in una distinta famiglia cittadina allora in ascesa.
Non si sa nulla della sua prima formazione: si è congetturato che avesse compiuto dapprima studi letterari, il che non è improbabile, e poi di scienze naturali, ma mancano prove.
Anche sui suoi studi giuridici ha regnato a lungo l’incertezza. Secondo Guido Panciroli, seguito da altri biografi, sarebbe stato allievo a Bologna di Alessandro Tartagni, ma la notizia può considerarsi destituita di fondamento. È certo invece che terminò il suo percorso universitario nella città estense, laureandosi in diritto civile e canonico il 26 giugno 1460. A Ferrara poté ascoltare alcuni fra i più rinomati maestri dell’epoca, chiamati nello Studio cittadino proprio negli anni della sua formazione: Francesco Accolti e lo stesso Tartagni erano a Ferrara dal 1457. Riminaldi dovette eccellere già prima della laurea, della quale fu promotore l’illustre giurista aretino Angelo Gambiglioni, perché figura come scolaro leggente dall’anno 1459.
Il suo rapporto con lo Studio ferrarese fu da allora solido e sostanzialmente ininterrotto. Dopo la laurea lo stipendio di Riminaldi andò crescendo insieme alla sua fama, tanto che nel 1471 fu chiamato a Padova a sostituire Tartagni nella cattedra ordinaria mattutina di diritto civile, che però tenne solo per quattro giorni.
Proprio allora la documentazione a suo riguardo si fa più abbondante, grazie alle cronache scritte a partire dagli anni Settanta dai suoi allievi Girolamo Ferrarini e Bernardino Zambotti: entrambi riportano numerosi episodi riguardanti l’amato maestro, preziosi per comprenderne la posizione nell’establishment cittadino e il profilo professionale.
In quanto ferrarese di origine, il brillante giurista – nonostante sulla cattedra fosse costretto a competere con i celebri dottori forestieri chiamati dagli Estensi nell’ambito della loro politica di valorizzazione dello Studio cittadino – era naturalmente vocato a stabilire con i signori uno stretto rapporto di fiducia. Nel 1476, ad esempio, Sigismondo d’Este, fratello del duca Ercole I, gli donò il palio vinto dal suo cavallo in un torneo, «per lo amore ge portava e per la soa singulare doctrina […] per la quale tuta la patria nostra hè illustrata de tanto iurisperito» (B. Zambotti, Diario, a cura di G. Pardi, 1934-1937, p. 9). L’anno seguente, il matrimonio di Riminaldi fu un evento cittadino celebrato alla presenza del duca e della corte. La moglie Ludovica Petrati, di famiglia facoltosa, gli portò in dote una tenuta a Bariano e una consistente somma di denaro; dal matrimonio nacquero sette figli.
Gli attestati di stima che ricevette da parte della casa d’Este appaiono collegati alle sue prestazioni professionali. Egli redasse diversi pareri giuridici a favore del duca (cons. 507; 526 contro il Dominio Veneto) o dei suoi familiari (cons. 39 per un fratello di Ercole I). Nel 1478 fu mandato in missione a Montecchio nel Reggiano per una vertenza sulle acque del fiume Enza fra il duca e la famiglia dei Torelli, feudatari degli Sforza, che da Milano avevano inviato un loro commissario. Ma l’incarico più delicato lo ricevette nel 1485, quando fu inviato a Venezia insieme al letterato Pellegrino Prisciani per discutere la questione dei confini del Polesine: dopo la recente guerra e la pace di Bagnolo i veneziani avevano usurpato alcune località spettanti a Ferrara. Riminaldi rimase molti mesi nella città lagunare, ma ne uscì stremato dalle tattiche dilatorie dei veneziani e dalla cronica mancanza di finanziamenti da parte di Ercole. L’ambasceria si concluse quindi con un fallimento, certamente non dovuto a lui.
Numerosi furono anche gli incarichi ricoperti nelle istituzioni cittadine: fra i Savi, i riformatori degli statuti, i consultori del Giudice dei Savi, gli Iudices mercatorum. Tutto ciò gli garantì un ruolo eminente nella facoltà legale ferrarese, resa allora assai vivace dal sistema dei lettori concorrenti e dalle frequenti dispute accademiche. Riminaldi tenne – con certezza dal 1473, anno del primo rotulo – la lettura ordinaria mattutina di diritto civile (non la serale, come afferma erroneamente Panciroli), in un periodo in cui passavano per Ferrara celebri giuristi forestieri quali Bartolomeo Sozzini, Ludovico Bolognini e Carlo Ruini; in particolare, però, egli sostenne l’accesa concorrenza del senese Bulgarino Bulgarini. Si ricordano memorabili dispute fra i due: nel febbraio del 1477 disputarono su D. 32. 89, insieme anche a Giovanni Sadoleti e Cosimo Pasetti (con il quale Riminaldi disputò nuovamente nel 1486); nel novembre dello stesso anno, in occasione dell’inizio dei corsi, si fronteggiarono pubblicamente per tre giorni consecutivi la sera davanti alla porta della cattedrale.
La fama di Riminaldi come docente si diffuse fuori dal contesto del Ducato estense. Nel 1478 il suo nome fu proposto a Lorenzo il Magnifico per lo Studio pisano, ma senza seguito. Nel dicembre del 1479 fu invitato a Padova per la lettura serale: la sua non documentata docenza, se ebbe luogo, fu certamente breve. Nel luglio del 1484 fu chiamato contemporaneamente da Bologna e dai fiorentini per una docenza pisana: dopo aver accettato la chiamata fiorentina, Riminaldi preferì però rimanere a Ferrara, dove quell’anno fu uno dei pochi a garantire la ripresa dei corsi dopo l’interruzione dovuta alla guerra con Venezia. Di fatto, dunque, la continuità di insegnamento nello Studio ferrarese fece sì che Riminaldi ne divenisse uno dei pilastri, al punto che quando i fiorentini tentarono di ingaggiarlo nuovamente, nel 1489, il loro inviato fece sapere che mai il duca lo avrebbe lasciato allontanare, dato che «costui è capo di qui quanto ad Studium» (Verde, 1995, p. 86). La sua dedizione alla vita accademica è attestata anche dal gran numero di lauree delle quali fu promotore: in particolare, nel 1490, quella di Tommaso Diplovatazio, che lo ricorda nel De claris iuris consultis.
Morì improvvisamente il 13 gennaio 1497; alle solenni esequie era presente anche il duca Ercole I. Fu seppellito nella chiesa di S. Francesco.
Riminaldi fu giurista a tutto tondo, raffinato conoscitore del diritto comune, apprezzato sulla cattedra e abile nella pratica. Non a caso una fonte letteraria dell’epoca, il Peregrino di Giacomo Caviceo, lo ritrae in un immaginario processo come avvocato per eccellenza, insieme al suo concittadino Felino Sandei e al celeberrimo Alessandro Tartagni. È ricordata anche la sua dotta arringa in un’importante causa ereditaria della nobile famiglia ferrarese dei Costabili contro i Capriani di Mantova.
Proprio mentre si iniziavano ad avvertire i primi fermenti umanistici, dai quali rimase alieno, Riminaldi fu un brillante esponente della cultura giuridica tradizionale, evitandone certe pesantezze. A differenza di tanti contemporanei il suo stile è misurato, mai sovrabbondante di citazioni, attento a centrare efficacemente il nucleo delle questioni giuridiche. Frutto del suo insegnamento universitario sono i commentari a varie parti del Corpus Iuris, andati a stampa dopo la sua morte nel corso del Cinquecento. Furono editi: Commentaria in primam partem Digesti Veteris (Venetiis 1523); Lectura […] super prima Codicis (Sermidi 1502; Papie 1507, 1514); Commentaria […] in secundam partem Codicis (Venetiis 1520; Papie 1521); In Digestum Vetus et Codicem commentaria (Lugduni 1559). Egli annotò anche i commentari al Codice di Bartolomeo da Saliceto (Apostillae nell’edizione veneziana del 1586).
La fama di Riminaldi è però legata soprattutto alla vasta produzione di consilia. I suoi pareri vennero richiesti dall’area lombarda (Milano, cons. 298; Brescia, cons. 427, 458), da Trento (cons. 127, 138, 219), frequentemente dal Veneto e da Mantova; ma la committenza principale fu ovviamente dall’area estense (non solo Ferrara, anche Reggio e Modena), nella quale egli rappresentò un’autorità indiscussa e svolse con la sua abbondante attività la delicata funzione – poi continuata dai suoi eredi – di adeguamento e raccordo fra i principi del diritto comune e le esigenze della prassi locale. Versato nelle materie civilistiche (come successioni ed enfiteusi), affrontò anche questioni penali, canonistiche, commerciali, e indagò a fondo le legislazioni statutarie. Fu consultato sia dalle autorità giudiziarie per emettere consigli decisori, sia da litiganti di tutte le classi sociali, a volte illustri (Estensi; Gonzaga, cons. 434, 462) e nobili, da ecclesiastici e comunità, e poi da ebrei, mercanti e possidenti terrieri che costituivano la parte più vivace del tessuto sociale. Intervenne con pareri o con la semplice sottoscrizione anche in cause sottoposte ad altri noti giuristi, ad esempio Alessandro Tartagni (cons. 37, 167, 331) e Giasone del Maino (cons. 19).
Riminaldi fu il capostipite di una illustre dinastia di giuristi ferraresi, ai quali sono tra l’altro collegate le vicende editoriali dei suoi consilia. Suo figlio Iacopino ripercorse le orme paterne: docente nell’ateneo cittadino, abile avvocato, chiamato a risolvere una questione di acque tra Alfonso I d’Este e Federico II Gonzaga, custodì i consilia paterni e a sua volta ne produsse molti propri; ma la morte prematura, nel 1528, interruppe una carriera che lo avrebbe probabilmente eguagliato al genitore. Il testimone passò quindi a Ippolito (1520-1589), nipote del fratello di Riminaldi, giurista assai fecondo che lasciò voluminose letture su varie parti del Corpus Iuris e sette volumi di consilia. Cultore anch’egli del tradizionale bartolismo, seppe tuttavia cogliere con intelligenza gli stimoli culturali, soprattutto storico-letterari, provenienti dalla raffinata corte estense del Cinquecento: non rifiutò quindi il confronto con la letteratura giuridica umanistica allora in voga e fu sensibile alle relazioni reciproche fra i diversi saperi, giuridico, filologico, storico, filosofico. Ippolito fu attento pianificatore dell’edizione delle opere sue e dei suoi familiari, con il duplice obiettivo di favorire la propria ascesa sociale (ottenne da papa Gregorio XIII il titolo di conte palatino) e di offrire utili strumenti alla giurisprudenza della sua patria ferrarese. Nel 1558-59 egli contribuì (insieme a Giovanni Cefali, fra gli altri) alla pubblicazione a Basilea dei tre volumi di consigli dei suoi avi, affidatigli dai figli di Iacopino, arricchendoli con le proprie fitte annotazioni. Sin dall’intestazione di questa prima edizione i nomi di Gian Maria e Iacopino sono dunque associati: diverse decine sono i consigli di Iacopino su un totale di 600. Il successo dell’iniziativa fu salutato da una riedizione a Venezia nel 1576, cui nel 1579 fu aggiunto un quarto volume di 176 consilia: di questi, in realtà, pochissimi erano di Gian Maria, molti quelli di Iacopino, e un gran numero di altri giuristi di area ferrarese vissuti fra Quattro e Cinquecento (fra i quali Virgilio e Ludovico de Silvestri, Ludovico Cati, Iacopo Cagnaccini e altri ancora).
Fonti e Bibl.: Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Antolini, 92: Memorie della nobile famiglia de R. di Ferrara; Cl. I 222: Memorie istoriche della famiglia R.; B. Zambotti, Diario ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504, a cura di G. Pardi, Bologna 1934-1937, passim; G. Ferrarini, Memoriale estense (1476-1489), a cura di P. Griguolo, Rovigo 2006, passim.
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