PASCALE, Gian Luigi
PASCALE, Gian Luigi. – Nacque a Cuneo, tra il 1520 e il 1525, «d’une famille honneste» (Crespin, 1564, p. 969). Non si conoscono i nomi dei genitori.
Iniziò la carriera di soldato e fu inviato a Nizza, dove si trovava un presidio militare. Probabilmente era già di stanza a Nizza quando il castello subì l’assedio dei francesi, alleati con il corsaro Ariadeno Barbarossa, nel 1543. Nel «ruolo di tutti i soldati che si ritrovarono al presidio del castello di Nizza durante il suddetto assedio», un «Mastro Pascale» risulta tra i «maestri di fucina» (Gioffredo, 1839, V, p. 218). Lasciò l’esercito per fuggire a Ginevra, dove aveva sentito, si disse in seguito, che si annunciava la «bonne doctrine» in molte lingue e anche in italiano (Gilmont, 2009, p. 147). Tra il 1551 e 1552 fu iscritto alla Chiesa italiana ginevrina; il 6 agosto 1554 presentò una supplica e giurò per essere accolto tra gli abitanti di Ginevra (Geisendorf, 1957, p. 36). Il 10 dicembre 1555 ottenne la «bourgeoisie», grazie alle raccomandazioni del marchese Galeazzo Caracciolo, di cui rimase amico per tutta la vita. Inserito nell’Indice dei libri proibiti romano del 1557 come stampatore di scritti eretici (Index des livres unterdits, 1990, pp. 337, 517), iniziò questa attività a Ginevra attorno al 1554-55, forse grazie alle strette relazioni che ebbe con l’editore Jean Crespin (Gilmont, 1981, pp. 131 s.).
Nel 1555, probabilmente grazie a un finanziamento di Caracciolo, stampò senza indicazione di luogo un’anonima traduzione italiana del Nuovo Testamento, già edita da Crespin nello stesso anno, affiancata da una traduzione francese di Robert Estienne (Del Nuovo Testamento di Iesu Christo Nostro Signore, nuova e fedel traduttione del testo greco in lingua volgare italiana… Stampata di nuovo in compagnia d’un’altra buona traduttione in lingua francese: et amendue partite per versetti). Alle due versioni era aggiunta una traduzione italiana dell’Ad sacrarum literarum studium exhortatio ex sacris literis dello stesso Estienne.
Nella prefazione, in parte di Pascale e in parte traduzione di una prefazione di Calvino, l’editore, rivolgendosi agli esuli della Chiesa italiana, scrive di avere curato questa versione bilingue perché, contro i perversi disegni di Satana, tutti dovevano avere accesso alle Sacre Scritture. Preoccupazione di Pascale era pubblicare una versione «non solo pura e semplice, ma piana e facile» ed emendata, come diceva la titolazione, da «ogni vana et indegna affettatione d’importuni e mal convenienti toscanismi». La dichiarata intenzione di abbandonare «ogni affettazione de’ fastidiosi Toscanismi», in nome dell’uso di parole ed espressioni piane e facili, «per darla bene ad intendere a le persone semplici», e la polemica antibembiana erano condivise a Ginevra da molti esuli italiani, impegnati in traduzioni sia per la Chiesa italiana, sia per il mercato clandestino d’Italia (Pierno, 2004, p. 7). L’anonimo traduttore aveva riveduto una più nota versione toscaneggiante del benedettino Massimo Teofilo, frutto di un’intensa attività di traduzione di testi testamentari riformati, condotta dal gruppo di Teofilo, Zuane de Honestis, Lucio Paolo Rosello, Cornelio e Girolamo Donzellino, operante tra Venezia e Firenze negli anni Cinquanta, e che ebbe come intermediario tra Svizzera, Francia e Italia, il libraio Pietro Perna.
Pascale, probabilmente in contatto con questo gruppo, ripubblicò anche, sempre nel 1555, Le dotte e pie parafrasi sopra l’Epistole di san Paolo a’ Romani, Galati ed Ebrei, di Giovan Francesco Virginio, ovvero l’ex domenicano Cornelio Donzellini, traduttore e amico di Perna, già condannato alla galera e forse morto nel 1553. Nel 1556, infine, presentò la sua curatela più impegnativa, i De’ fatti de’ veri successori di Giesù Christo et de suoi apostoli… da Messer Pietro Vireto in francese scritti, et hora nuovamente in volgare italiano volti.
Il testo era stato composto nel 1554 dal riformatore francese Pierre Viret, amico di Guillaume Farel e allora pastore a Losanna. Teologicamente e politicamente radicale, Viret fu un predicatore eloquente ed appassionato, impegnato a Ginevra nella preparazione di giovani pastori da mandare in missione in Francia e in Italia. Per loro redigeva libri dove, con linguaggio polemico e duro, spiegava le differenze tra veri credenti e papisti, tra vera e falsa religione, attaccando soprattutto la messa, idolatria di un «nuovo dio fatto di pasta e di farina», perpetrata da «Suonatori et Saltinbanca d’Antichristo» (De’ fatti..., cit., pp. 41, 51). Sostenitore dell’autorità delle Sacre Scritture e dei diritti della coscienza individuale, Viret sentiva acutamente i problemi della persecuzione in terra cattolica e del nicodemismo praticato dai filoriformati, in particolare dalle popolazioni dette valdesi in Italia e in Francia, per le quali scrisse delle Epistres consolatoires per esortare alla resistenza o alla fuga, paragonata sempre a quella del popolo d’Israele uscito dall’Egitto (Linder, 1964, pp. 32-34).
Nella dedica a Galeazzo Caracciolo, Pascale rivolge un invito a leggere quel testo «spetialmente a quelli de la nostra Italia, che senza [la «cognition de le materie»], è forza che sempre se ne stiano miseramente involti ne l’inganno dove si trovano» (Viret, 1556, p. n.n.), ed esorta alla fuga di cui il marchese napoletano era un esempio.
Frequentò l’Accademia teologica di Losanna, dove era pastore Viret e insegnavano Maturin Cordier e Théodore de Bèze. In quel periodo si fidanzò con Camilla Guarino, che sposò poco dopo, prima di partire come ministro e predicatore in Calabria, inviato dalla Chiesa italiana di Ginevra a iniziare una nuova strategia missionaria in Italia.
Nei primi decenni del Cinquecento, le comunità calabresi e pugliesi di ‘ultramontani’ – emigrati della vasta diaspora di minoranze valdesi medievali di cui avevano conservato lingua, fede e costumi – avevano aderito clandestinamente alla Riforma, così come i loro confratelli piemontesi e provenzali, e mantenevano relazioni stabili con Ginevra. Pascale arrivò nei casali di San Sisto e La Guardia nel marzo del 1559, assieme con un altro predicatore, Giacomo Bonello di Dronero, e a due maestri di scuola. Signore di La Guardia e Fuscaldo era, dal 1541, Salvatore Spinelli, e di San Sisto il duca di Montalto Antonio II d’Aragona, feudatari che, secondo Pierre Gilles, «les favorisoyent et excusoyent desirant leur conservation a cause de leur probité et vertue» (Gilles, 1644, p. 21). L’atteggiamento prudente e nicodemitico delle comunità, consigliato fino a quel momento da predicatori come Gilles des Gilles, l’ultimo ‘barba’ (predicatore valdese) che si era recato in quelle terre, aveva favorito la lunga sopravvivenza degli ultramontani. La stretta inquisitoriale iniziata negli anni Cinquanta e l’alleanza tra potere laico e potere ecclesiastico, avallata dai viceré spagnoli, costrinsero i «potentissimi e formidabili» feudatari a cambiare strategia «per tema di non perdere la terra» (Scaramella, 1999, pp. 189 s.).
Quando Pascale iniziò la predicazione pubblicamente, nelle comunità calabresi, già note all’inquisitore Michele Ghislieri, si diffuse molta inquietudine. I membri più agiati, che possedevano terre, e che sovente avevano comprato con il denaro la comune sicurezza, temevano l’uscita dalla clandestinità. Pascale infine, come egli stesso scrisse in seguito, si presentò spontaneamente al feudatario, perché «essendo le cose ridotte in tale stato che conveniva partirmi e abbandonare le pecore, mi sovvenivo delle esortationi che avevo fatte al popolo: che bisognava piuttosto morire che abbandonare così santa impresa» (Lentolo, Historia delle grandi e crudeli persecuzioni, a cura di T. Gay, 1906, p. 252). Fu arrestato con alcuni seguaci per ordine di Spinelli nel maggio 1559, tenuto prigioniero per alcuni mesi a Fuscaldo, tradotto poi a Cosenza e a Napoli e infine nel maggio del 1560 trasferito a Roma.
Nonostante tutti i tentativi di convincerlo ad abiurare, con intervento anche del fratello Bartolomeo, che incontrò lo stesso inquisitore Michele Ghislieri (Lentolo, Historia, cit., 1906, p. 308), e le vane speranze in autorevoli mediazioni, Pascale venne bruciato vivo il 16 settembre 1560. Fu l’inizio dell’operazione militare e inquisitoriale che condusse al massacro delle comunità valdesi dei casali di Montalto, La Guardia, San Sisto e Vaccarizzo nel giugno 1561.
Durante la lunga carcerazione, Pascale scrisse molte lettere, ai «fratelli di Calabria» e di Ginevra, alla moglie Camilla, consegnate nelle mani di amici senza grandi difficoltà. Le lettere furono parzialmente tradotte in francese e pubblicate da Jean Crespin negli Actes des Martyrs (Crespin, 1564, pp. 970-987). Una raccolta più ampia in italiano fu edita da Scipione Lentolo nella sua Historia delle grandi e crudeli persecutioni, redatta tra il 1562 e il 1595 (Lentolo, Historia, cit., pp. 250-314). Le due edizioni, sebbene condividano il comune intento di pubblicare il carteggio di un martire religionis causa, presentano differenze notevoli (Gilmont, 2009, pp. 145-161). Le lettere sono non solo testimonianza di una fede focosa e battagliera, ma anche fonti preziose per ricostruire i dissensi nelle comunità ultramontane, tra chi resisteva o guardava alla fuga e chi, probabilmente la parte più ricca della comunità, voleva si continuasse a praticare la fede clandestinamente. Invece, scrive Pascale, seguire Cristo voleva dire patire persecuzione e fare come Mosè che aveva scelto di abbandonare le «delitie» d’Egitto per stare con il popolo d’Israele (Lentolo, Historia, cit., pp. 281, 275).
Ampi stralci della corrispondenza sono dedicati alle dispute teologiche con inquisitori ed ecclesiastici, che numerosi frequentavano la sua cella. Nel linguaggio vivido e forte, intessuto di citazioni bibliche, un linguaggio da combattente spirituale a volte ricco di termini militari – «eserciti», «soldati», «combattimenti» –, e soprattutto violentemente polemico contro gli «idoli» e contro la messa «horribile idolatria», pare evidente l’influenza di Viret e di Crespin, del quale diceva di avere letto Le livre des martyrs, pubblicato a Ginevra nel 1554 (Lentolo, Historia, cit., pp. 202, 271). Pascale raccomandò che il proprio carteggio fosse copiato e divulgato, considerandolo meritevole di essere edito come testimonianza di martirio, poiché vi si diceva che «fuggir potete, ma piegar le ginocchia a Baal vi è proibito sotto pena della dannatione eterna» (Lentolo, Historia, cit., p. 301).
Le lettere sono edite in A. Muston, Lettere d’un carcerato (1559-1560) ordinate, annotate e fatte precedere da un cenno biografico sullo scrivente Giovan Luigi Pascale, Torre Pellice 1926.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Confraternita di San Giovanni decollato, Libri e giornali del provveditore, b. 2 reg. 4, c. 147r (dove è attestata la data dell’esecuzione si afferma che P. «era luterano perfido né mai volse dir messa»); J. Crespin, Actes des martyres deduits en sept livres, depuis le temps de Vviclef et de Hus, iusques à present, Ginevra 1564, pp. 970-987.
S. Lentolo, Historia delle grandi e crudeli persecutioni fatte ai tempi nostri in Provenza, Calabria e Piemonte (1559-1566), a cura di T. Gay, Torre Pellice 1906, pp. 250-314; P. Gilles, Histoire ecclesiastique des eglises reformees, Genève 1644, pp. 21, 177-181; P. Gioffredo, Storia delle Alpi marittime, V, Torino 1839, p. 218; P.F. Geiserdorf, Le “Livre des habitants” de Genève, Genève 1957, p. 36; R.D. Linder, The political ideas of Pierre Viret, Genève 1964, pp. 32-34; J.F. Gilmont, Jean Crespin, un editeur reformé du 16 siècle, Genève 1981, passim; T. Bozza, Un’errata attribuzione. La traduzione del Nuovo Testamento di G.L. Paschale, in Il bibliotecario, X (1986), pp. 115-119; Index des livres interdits, a cura di J.M. Bujanda, VIII, Index de Rome 1557, 1559, 1564, Sherbrooke-Genève 1990, pp. 337, 517; E. Barbieri, Le Bibbie italiane del Quattrocento e Cinquecento: storia e bibliografia ragionata delle edizioni in lingua italiana dal 1471 al 1600, I, Milano 1991, p. 150; P. Scaramella, L’Inquisizione romana e i Valdesi di Calabria (1554-1703), Napoli 1999, pp. 39 s., 60-62, 191; F. Pierno, Una retrodatazione di “Toscanismo” e appunti su una “questione della lingua” nella Ginevra di Calvino, in Lingua nostra, LXV (2004), 1-2, pp. 6-15; E. Stancati, Gli ultramontani. Storia dei Valdesi di Calabria, Cosenza 2008, passim; J.F. Gilmont, La rédaction et la circulation des lettres de Gianluigi P. (1559-1560), in Valdesi nel Mediterraneo. Tra medioevo e prima età moderna, a cura di A. Tortora, Roma 2009, pp. 145-161.