FIESCHI, Gian Luigi (Gottardo)
Nacque a Genova nella prima metà del sec. XV da Gian Luigi, del ramo di Torriglia della potente casata ligure, e da Luisetta (Lucetta) di Rollando Fregoso; fu battezzato con il nome di Gottardo. Dopo la morte del padre (1451) ne adottò il nome; fu il più giovane della famiglia.
Ucciso il fratello maggiore Giovanni Filippo, capo della famiglia (1459), scomparso tragicamente anche un altro fratello, Orlando, venne chiamato ad affiancare un terzo fratello, Ibleto, nel progetto di consolidamento e recupero dei castelli rivieraschi, che in parte erano stati occupati da Genova e dalle altre forze che premevano sul territorio, in primo luogo dalla famiglia Landi. Colpiti i Fieschi dalla politica espansionistica di Galeazzo Maria Sforza, diventato signore di Genova, il F. accompagnò Ibleto nelle peregrinazioni alla ricerca di aiuti militari e trovò alla fine ospitalità a Roma, dove venne protetto da papa Sisto IV. Quando nel marzo del 1477 a Genova esplose la rivolta antisforzesca, collaborò col fratello nel governo della città: si trattò di un breve periodo di predominio, perché le truppe ducali, guidate da R. Sanseverino, ripresero il controllo della situazione nell'aprile. Mentre Ibieto venne condotto a Milano, dove fu poi coinvolto nella congiura contro Bona di Savoia (fine maggio), il F. riuscì a fortificarsi nel castello di Torriglia e a munire Roccatagliata, tenendo sotto minaccia delle sue incursioni la Riviera di Levante.
Il governo milanese tentò la strada dell'accordo; G. G. Trivulzio venne incaricato di offrire al F. il perdono, se egli avesse ceduto i castelli occupati, che sarebbero stati sostituiti da una rendita annua; gli si promise anche la liberazione del fratello entro un anno. L'incontro (avvenuto il 22 giugno a Nervi) non ebbe successo, perché il F. insistette affinché Ibleto fosse liberato immediatamente.
Il Trivulzio decise, allora, di ricorrere alla forza: il F., che si vide rifiutata una estrema proposta di accordo, nel luglio venne sconfitto. Il governo sforzesco gli propose un buon trattamento, se avesse accettato di risiedere a Milano, ma il F. preferì rifugiarsi presso il marchese del Finale Alfonso Del Carretto, di cui sposò in seconde nozze la sorella Caterina (luglio o agosto 1477). Dopo un tentativo di accordo con l'ammiraglio B. Villamarino, nel dicembre passò ad Antibes, ma fu allontanato, per cui dovette fermarsi nel Finale. Molto probabilmente egli non si allontanò dal Finale, perché la situazione genovese si rimise in movimento: Prospero Adorno (zio materno di Caterina) nel giugno 1478 si ribellò a Milano e si proclamò doge.
Il F. alle promesse sforzesche preferì unirsi all'Adorno, appoggiato dal re Ferdinando di Napoli, che gli concesse la contea di San Valentino in Abruzzo, come premio per il suo aiuto.
Accorso nella Riviera, dove la fedeltà dei suoi sudditi montanari non venne mai meno, il F. riusci ad entrare in Genova, assediata dalle milizie sforzesche, e si adoperò perché il Sanseverino collaborasse alle operazioni militari come capitano generale (29 luglio); nell'agosto l'esercito milanese, fu duramente sconfitto; Montoggio, castello fliscano, venne ripreso.
Continuò poi la sua opera di riconquista dei feudi sottrattigli dalle forze alleate con gli Sforza; attaccò Varese Ligure, che era stata occupata negli anni precedenti da M. Landi, e riuscì ad impadronirsene. Gli avvenimenti genovesi ebbero nuovo impulso dalla liberazione di Ibleto, voluta da Bona dietro l'impegno del suo aiuto nella lotta contro l'Adorno. Ibleto, invece, si alleò con il doge e ottenne che il F. venisse nominato ammiraglio della Repubblica (28 ottobre); tale carica gli fu confermata anche dopo il rovesciamento delle alleanze, che portò Ibleto ad affiancare Battista Fregoso, divenuto doge il 28 novembre ai danni di Prospero Adorno.
Non abbiamo notizie sul F. per gli anni seguenti; presumibilmente, egli dovette appoggiare il fratello nei suoi cambiamenti di alleanze. Nel 1484 sappiamo di un tentativo compiuto da lui e da Battista Fregoso, che era stato scalzato dal potere, per abbattere il doge Paolo Fregoso; nel 1487 collaborò col Banco di S. Giorgio, impegnato nel tentativo di difendere Sarzana, attaccata dalle truppe fiorentine; tuttavia, nell'assalto alla rocca di Sarzanello egli fu catturato, ma dovette essere messo in libertà dopo poco tempo. L'anno seguente il F. ed Ibleto si allearono con Battista Fregoso e con Agostino e Giovanni Adorno, per abbattere il doge Paolo Fregoso; i due fratelli tornavano così a premere su Genova con le loro pericolose bande di montanari, i cui atti di saccheggio costituivano una minaccia continua per i cittadini. Giunto a Montoggio, il F. entrò a Genova l'8 ag. 1488, venendo poi nominato capitano della guerra.
Nelle frenetiche trattative che immediatamente si aprirono tra i vincitori, tutt'altro che concordi nel definire il nuovo assetto di governo, prevalse il partito di chi volle la consegna della città alla signoria milanese; venne messo fuori gioco Battista Fregoso che, con l'assenso del F., fu catturato e mandato in esilio. A tale scelta di campo il F. restò fedele anche negli anni seguenti.
Nel 1490 il F. era a Milano, dove sembra discutesse di un possibile matrimonio tra una sua figlia e un Torelli, signore di Guastalla; questo progetto, se ci fu, non venne però realizzato. L'anno dopo intervenne fermamente nei disordini scoppiati a Genova tra i gatteschi (come erano chiamati i sostenitori del Fieschi) e gli Adorno; l'opera di mediazione intrapresa da C. Stanga, uomo di fiducia di Ludovico il Moro a Genova, impedì che la rivalità tra le due famiglie degenerasse. Proseguendo poi la politica di incremento del feudo anche con transazioni economiche, il 10 genn. 1493 il F. comperò da Gaspare Spinola i diritti sul castello di Cremolino, in valle Borbera.
Nel 1494: la discesa di Carlo VIII in Italia fece maturare la frattura tra il F. ed Ibleto, ormai in aperta concorrenza per il controllo del feudo familiare. È probabile che il F. abbia approfittato della lontananza del fratello per consolidare la sua presenza nel territorio, forte dell'appoggio sforzesco. Mentre Ibleto legò le sue fortune a quelle di re Alfonso II di Napoli, il F. non esitò, benché ammalato, a farsi condurre alla Spezia per prevenire l'attacco della flotta aragonese, su cui si trovava Ibleto.
Le truppe napoletane riuscirono a sbarcare presso Rapallo, ma vennero affrontate dai mercenari svizzeri al soldo del re di Francia (8 settembre); la battaglia fu decisa dall'intervento del F., giunto con un contingente di 600 uomini; le truppe napoletane si sbandarono e lo stesso Ibleto riuscì a salvarsi a stento. Quando Carlo VIII fu costretto ad abbandonare Napoli, per risalire la penisola, mentre Ibleto, con clamoroso voltafaccia, si alleava con la Francia, il F. rimase fedele allo Sforza e riuscì a bloccare il tentativo compiuto dalla flotta francese di sbarcare nella Riviera, l'esercito di Carlo VIII si vide così costretto a desistere dall'assedio di Genova.
Il 21 dic. 1494 Massimiliano d'Austria concesse al F. l'investitura dei castelli di Torriglia, Montoggio, Grondona, Borgotaro, Santo Stefano d'Aveto e su un'ottava parte di Savignone. Il F. divenne così non solo il capo indiscusso della famiglia, ma anche il vero arbitro della situazione genovese. Quando il re dei Romani arrivò in città, il 27 sett. 1496, ad accoglierlo fu il F., definito dal Sanuto "principale homo de Zenoa" (Volpicella, p. 84). In questa circostanza Massimiliano lo nominò vicario imperiale in Italia (diploma del 7 ott. 1496).
Negli anni seguenti il F. continuò il suo appoggio al dominio sforzesco. Nel 1497 gli venne affidato il comando di una piccola flotta con la quale salpò il 4 giugno. Ufficialmente, il compito della spedizione era quello di bloccare le azioni piratesche che partivano da Tolone; in realtà il F. doveva impedire alla flotta francese di unirsi all'esercito che Carlo VIII aveva inviato in Itafia per occupare Genova. Tuttavia, durante il corso delle operazioni, cadde ammalato, fu costretto a ritornare in città e venne sostituito da P. Negrone. La visita compiuta dal Moro a Genova nel marzo dell'anno seguente sancì ancora una volta la posizione di predominio assoluto del F. (nel 1497 era morto Ibleto), che vide un suo figlio creato cavaliere.
Tuttavia l'illusione del Moro di poter contare sulla città durò poco; quando si affacciò all'orizzonte il nuovo re francese, Luigi XII, il gruppo dirigente genovese non esitò ad avviare colloqui con lui, diventati più intensi a mano a mano che la posizione del Moro divenne meno salda. Scoppiate le ostilità tra le due potenze, il governo genovese, controllato dal F., tergiversò. Le sconfitte subite dal Moro resero sempre più debole la collaborazione del F., benché egli fosse stato nominato "governatore ducale" insieme con Agostino e Giovanni Adorno. Il 1º settembre scrisse all'ambasciatore del Moro, protestando la sua fedeltà, ma ricordandogli anche i continui successi nemici (in particolare, la presa di Alessandria) e l'esaurimento delle casse genovesi.
Maturò così il passaggio del F. alla Francia: messi fuori gioco gli Adorno, costretti a lasciare Genova, dopo che una grande assemblea si era espressa per la dedizione a Luigi XII, il F. collaborò attivamente con S. Barbavara, rappresentante del re incaricato di prendere possesso della città. Luigi XII, ormai vincitore, lo premiò riconoscendogli la signoria su tutta la Riviera di Levante, dal Bisagno alla Spezia.
La sua fedeltà alla Francia rimase costante, garantendo alla potenza straniera il controllo di Genova. Quando nel 1502 Luigi XII scese in Italia, ad accoglierlo ad Asti furono Filippo di Clèves, governatore della città ligure, e il F. (8 luglio); il 26 agosto il re entrò solennemente a Genova, dove fu alloggiato nello splendido palazzo che il F. possedeva in Carignano. In questa occasione, fu anche ospite del F. Cesare Borgia, che si era riconciliato col re.
Tuttavia, la scelta di campo operata dal F. lo isolò vieppiù dal tessuto economico e sociale della città: la ricca borghesia (i "popolari"), tradizionalmente ostile ai Fieschi, vide la dominazione francese come un pesante ostacolo alla libertà di commercio, in modo particolare con la Spagna; altro motivo di insoddisfazione era l'appoggio francese a Savona, pericolosa alternativa allo scalo genovese. I primi sintomi di malumore esplosero proprio in occasione del solenne ingresso del re, sotto il pretesto di contrasti sul cerimoniale.
Il F. divenne il principale bersaglio dell'insoddisfazione per il dominio francese; il suo palazzo in Carignano, in posizione dominante rispetto alla città, fu assunto a simbolo dell'isolamento altezzoso in cui la famiglia si venne a trovare. L'ostilità fu alimentata dall'opposizione che il F. manifestò, nel 1504, alla richiesta avanzata da Pisa di consegnarsi a Genova; la città, assediata dalle truppe fiorentine, aveva proposto tale passaggio, confidando nell'appoggio del ceto mercantile genovese; tuttavia il F., timoroso delle conseguenze politiche che questa scelta avrebbe scatenato, si adoperò perché anche Luigi XII negasse il suo consenso. Inevitabilmente, quando esplose la rivolta contro il dominio francese, nel 1506, ne fu l'immediato bersaglio.
La sommossa, voluta dalla borghesia ricca, ma attuata dal popolo minuto, scoppiò il 18 luglio 1506; il F. cercò di soffocarla sul nascere, scendendo verso la città coi suoi uomini da Carignano, ma venne costretto a desistere; il popolo si abbandonò al saccheggio dei palazzi dei nobili, che trovarono ospitalità presso il F.; il giorno dopo la folla attaccò Carignano ed obbligò il F. ad abbandonare la città; ritornato nel suo palazzo, fu costretto, il giorno 20, a lasciare Genova.
Rifugiatosi a Montoggio e passato poi a Gavi, insieme con altri nobili esuli, il F. decise di chiedere l'aiuto della Francia, che per il momento non aveva ritenuto di dover intervenire. Quando ad Asti giunse il governatore Filippo di Clèves, che allo scoppio della rivolta non era in città, si recò da lui e, forte del suo appoggio, poté ritornare a Genova (30 agosto), munendosi nel suo palazzo. Il 4 settembre l'odio popolare (soprattutto tra le "cappette") per il F. esplose di nuovo: il Clèves fu costretto a scortarlo fino al Bisagno, per garantirgli almeno l'incolumità. Benché ammalato di gotta, il F. riparò a Recco e poi a Rapallo; il governo ribelle decise, pertanto, di iniziare una campagna militare contro la Riviera di Levante, dove il F. si difese con accanimento. Nel frattempo, l'aspetto sempre più radicale preso dalla sommossa indusse la ricca borghesia ad abbandonare le "cappette" al loro destino. Il 25 ottobre il Clèves lasciò Genova, ormai dichiarata città ribelle, e fu accompagnato in Francia dal F.; il 18 dicembre questi incontrò il re a Blois; nel febbraio del 1507, ritornato in Italia, insistette perché Luigi XII intervenisse. Il crescente malumore del re, che si vide negata dal governo genovese la consegna dei castelli strappati al F., si tradusse il 28 marzo nell'inizio delle ostilità. Nell'aprile, messi alle armi 4.000 uomini, il F. attaccò la Riviera; il suo tentativo fu in un primo tempo bloccato dai soldati inviati dal nuovo doge, Paolo da Novi; sulla Ruta le milizie fliscane conobbero una cocente sconfitta. Tuttavia, diventato massiccio l'intervento francese, il F. diede un contributo decisivo per fiaccare l'accanita resistenza che i rivoltosi opposero alle truppe assedianti. Il 29 aprile il re in persona entrò a Genova, arresasi senza condizioni; in piazza Banchi, ad accogliere il vincitore fu lo stesso F., che poté mantenere la sua supremazia in città sino alla morte, avvenuta probabilmente nel 1508, comunque prima del 1510.
Il F. aveva sposato Bartolomea Della Rovere e, in seconde nozze, Caterina Del Carretto. Fece testamento il 20 apr. 1502 a Genova, modificandolo poi a Montoggio il 20 giugno 1508. Chiese di essere sepolto nella cattedrale di S. Lorenzo; lasciò alla moglie il compito di distribuire in elemosine gli interessi maturati sui loca di S. Giorgio, che egli provvide ad acquistare per la somma di 1.000 ducati d'oro. Erede principale fu nominato il primogenito Girolamo, cui toccarono Valditaro, Varese Ligure, Santo Stefano d'Aveto (comperato dagli eredi di Francesco Malaspina, cui Girolamo fu incaricato di versare la somma residua), Torrigha, Roccatagliata, Montoggio e altri castelli minori; a Girolamo toccò anche il palazzo in Carignano e l'altro palazzo che la famiglia possedeva a Recco. Ad altri due figli, Scipione e Sinibaldo, spettò la quota sul marchesato di Varzi, che il F. aveva acquistato da Pietro di Rouen, maresciallo di Francia, oltreché Calestano, Vigolone, Grondona, Garbagna e Loano (quest'ultimo acquistato da Corrado Doria, ma ancora da pagare); a Ottobono, che aveva abbracciato la carriera ecclesiastica, vennero lasciate ricche rendite, vita natural durante. La contea di San Valentino, qualora la famiglia fosse riuscita a recuperarla, venne assegnata ai tre figli laici in parti uguali; a Girolamo toccarono anche i diritti che il F. vantava su Pontremoli e Madrignano.
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