PATRIZI, Gian Giorgio
PATRIZI (de Petris, Petrisso; forse in croato Petrić), Gian Giorgio. – Nacque nel 1523 o 1524 nell’isola di Cherso, allora soggetta al governo veneziano, da un nobile del luogo, Niccolò di Matteo Patrizi. Il nome della madre non è noto.
Il 19 aprile 1561, nel corso del suo processo inquisitoriale a Venezia, Patrizi affermò di aver avuto 15 fratelli, dei quali sopravvivevano allora solo due donne.
Dei suoi fratelli si sa qualcosa soltanto di Stefano, più anziano di Gian Giorgio e morto prima dell’aprile 1549. Fu prete (suddiacono nel 1528, diacono nel 1535, sacerdote nel 1536), ma lasciò la vita clericale per diventare membro del Consiglio cittadino di Cherso e sposarsi legalmente nel 1541. Eletto giudice quattro volte (1540, 1542, 1544, 1546), Stefano fu designato più volte oratore della città presso il governo veneziano. Simpatizzante per la Riforma, come molti suoi concittadini appartenenti all’élite isolana, fu un attivo promotore dell’invito rivolto al 'lutherano' Baldo Lupetino, un francescano conventuale, di predicare a Cherso nel 1541 e ancora l’anno dopo. Nel 1543 Stefano fu inviato a Venezia dal Consiglio cittadino per difendere Lupetino, arrestato e sottoposto a un processo per eresia che coinvolse lui stesso e ne causò il bando dall’isola di Cherso. L’ipotesi che egli avesse sposato una sorella di Lupetino e fosse il padre del filosofo Francesco Patrizi, avanzata nel 1892 da Stefano Petris, è stata confutata in modo convincente nel 1983 da Cesare Vasoli, che ha identificato i suoi genitori nell’omonimo discendente di un altro ramo della famiglia isolana, il 'piovan' don Stefano di Niccolò di Antonio Patrizi (morto nel 1551), e nella sua convivente Maria Radocca.
Erede di un cospicuo patrimonio, Gian Giorgio Patrizi sposò, al più tardi nel 1545, Anna, sorella di Francesco Barbo, signore di Cosliacco e noto patrono del movimento evangelico in Istria. Ammesso nel Consiglio cittadino di Cherso all’inizio del 1542, anno in cui fu altresì eletto «fonticaro dei nobili», risulta menzionato negli atti consiliari anche nel 1546 (Petris, 1897, p. 31; Id., 1892, p. 18). All’età di circa 25 anni (cioè nel 1548 o 1549), Patrizi fu bandito dall’isola «ob nonnullas rixas» (Häresie und Luthertum, 2000, p. 189) e trascorse l’esilio nel territorio di Capodistria e a Cosliacco. In quel periodo Patrizi partecipò agli incontri di un gruppo di preti filoprotestanti, influenzati dall’ex vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio (Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, 4, f. Vergerio), impegnandosi in studi biblici che approdarono al nuovo battesimo somministratogli presso Cosliacco dal canonico di Pola Matteo Curta «nel modo che battizavano li apostoli in un rivo corrente», mentre Patrizi battezzò a sua volta Curta (ibid., 159a, c. 126r, costituti di Patrizi del 14 ottobre e 21 novembre 1570). Poco dopo Curta entrò a far parte del più vasto reticolo dell’anabattismo italiano e nella primavera del 1552 emigrò a Salonicco, per morire infine a Costantinopoli.
L’ingresso di Patrizi nel movimento anabattista fu accompagnato da una sorta di conversione morale, tale per cui al momento del suo rientro a Cherso nella settimana santa del 1550 lo 'scavezzacollo' di un tempo sorprese i suoi concittadini con una condotta esemplare. Egli non nascose le sue nuove convinzioni religiose: diede alle fiamme gli oggetti 'idolatrici' che trovò nella sua casa di Cherso e si sforzò di coinvolgere la gente comune in discussioni religiose. Nel dicembre del 1550, un commissario del Sant’Uffizio inviato a Cherso avviò un processo informativo contro di lui, allora stabilitosi a Cosliacco, pur senza convocarlo. Patrizi si impegnò a diffondere le dottrine anabattiste in Istria, organizzò una rete di collegamenti con altri anabattisti, convertì molti amici e famigliari, ribattezzò due delle sue sorelle nonché una sorella di Curta. Nel giugno del 1551 invitò a Cosliacco due predicatori itineranti anabattisti, Pietro Manelfi e Marcantonio Del Bon, per discutere con loro delle dottrine antitrinitarie approvate dal 'concilio' anabattistico tenutosi a Venezia nell’autunno dell’anno precedente (ibid., 158 III, c. 34r, costituto di Del Bon del 4 marzo 1552). Secondo una deposizione di Manelfi, Patrizi dovette fuggire da Cherso per sottrarsi a un processo inquisitoriale. Nel settembre del 1551 viveva a Padova con la moglie e il figlio in borgo Ognissanti (I costituti, 1970, p. 80).
È difficile ricostruire gli spostamenti di Patrizi fra la tarda estate del 1551 e l’autunno del 1552. Oltre a soggiornare a Padova, egli trascorse qualche tempo fra gli anabattisti di Ferrara e Treviso (Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, 159a, c. 104v, costituto di Patrizi del 14 ottobre 1570). All’inizio di novembre del 1551 fu di nuovo a Cherso, dove ospitò in casa sua «certi rubaldi anabattisti» (ibid., 17, f. 1, lettera di Girolamo Taddeo, vicario di Cherso e Ossero, 8 novembre 1551). A seguito della delazione di Manelfi e delle sue rivelazioni al Sant’Uffizio di Bologna e poi di Roma, a partire dal dicembre di quell’anno le autorità veneziane intensificarono la repressione del movimento anabattista. Sembra che nella primavera del 1552 Patrizi fosse coinvolto, insieme con Niccolò d’Alessandria, Antonio Rizzetto e altri, nell’organizzare l’emigrazione di un gruppo di anabattisti dall’Italia settentrionale e dall’Istria verso Salonicco (dove essi speravano di trovare asilo, così come gli esuli ebrei e conversos che in quegli anni fuggivano dall’Italia verso l’Impero ottomano), via Castelnuovo di Cattaro. Per ragioni che restano oscure, tuttavia, anziché continuare il viaggio alla volta di Salonicco Patrizi fece ritorno da Castelnuovo a Cherso (ibid., lettera del domenicano Sisto Begna da Zara, inquisitore in Dalmazia, 18 ottobre 1552), dove fu sottoposto a un processo per eresia (la cui documentazione risulta perduta), durante il quale dovette subire pesanti torture che ne minarono irrimediabilmente la salute.
Il 25 ottobre 1552 Patrizi presentò una supplica alla Penitenzieria apostolica, dalla quale fu autorizzato ad abiurare in privato nelle mani del vescovo di Ossero la «detestabilem heresim anabaptistarum», sottraendosi così a una umiliante abiura pubblica.
Dopo il processo Patrizi tornò a prender parte alle riunioni del Consiglio cittadino di Cherso e il 2 gennaio 1553 fu eletto alle cariche annuali di giudice e contestabile. Il Libro Consigli ne segnala più volte la partecipazione alle riunioni della magistratura cittadina negli anni seguenti, dal 1557 in avanti, con il titolo di cavaliere (Petris, 1902, p. 22; Id., 1892, p. 17), concessogli dal doge Pietro Venier (1554-56).
Nei comportamenti esteriori Patrizi si adeguava alle norme religiose e alle speciali penitenze impostegli in occasione dell’abiura, anche se, come affermò in un interrogatorio del 21 ottobre 1570, «havendo animo di star in Cherso, lo faceva per apparenza» (Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, 159a, c. 112v). Nella primavera del 1558 egli abbandonò la pratica nicodemitica, probabilmente a causa delle esortazioni contenute in una lettera inviatagli dall’anabattista trevigiano Giulio Gherlandi (che, dopo aver aderito alla Chiesa hutterita in Moravia nel 1557, fino al suo arresto nel settembre del 1561 sviluppò un intenso impegno proselitistico per via epistolare e per tramite di visite personali agli anabattisti italiani). Nella primavera del 1558 Patrizi smise di frequentare i riti cattolici e distrusse l’attestato della sua abiura – in futuro si sarebbe difeso affermando che il documento gli era stato rubato, ma la natura intenzionale di quella distruzione risulta dalle indagini condotte a Cherso dall’inquisitore Annibale Grisonio il 9 luglio 1558 (ibid., 17, f. 1). Trasferitosi da Cherso a Fiume, dove suo cognato Francesco Barbo era capitano al servizio dell’imperatore, Patrizi fu oggetto di un’altra inchiesta per eresia svolta dal francescano Michele d’Arbe, i cui atti sono perduti. Successivamente Patrizi si imbarcò alla volta di Salonicco, dove sostò circa un mese e poté incontrare una ventina dei suoi antichi compagni di fede. Nella settimana santa del 1559 celebrò la cena del Signore nei pressi di Trieste, insieme con una dozzina di confratelli anabattisti.
Dopo i soggiorni a Fiume, Salonicco e Trieste, Patrizi fece ritorno a Cherso prima del 18 giugno 1560 (ibid., lettera di Antonio Landa, vicario di Ossero, in cui si denuncia la sua attività a Cherso come quella di un «heresiarca anabaptista»). Sebbene egli tornasse alla pratica nicodemita – come attesta anche una lettera del 24 febbraio 1561 in cui il conte Melchiorre Coppo informava che Patrizi si comportava «com’è debito et ufficio di cadunno fidel et buon cristiano» (ibid.) –, un nuovo processo per eresia a suo carico fu formalmente avviato l’8 agosto 1560 a Cherso e continuato dal Sant’Uffizio di Venezia. Il 13 marzo 1561 Patrizi si consegnò al Tribunale veneziano negando ogni attivo coinvolgimento nell’eresia e fu infatti rilasciato il 22 maggio dell’anno successivo. Nel 1563 riprese a partecipare alle riunioni del Consiglio cittadino della città natale, del quale nel 1564 divenne membro anche suo figlio Matteo (Petris, 1892, pp. 16-17).
Il 21 aprile 1567 Patrizi e il figlio Matteo partirono da Cherso diretti in Moravia, dove raggiunsero i Fratelli hutteriti, entrando a far parte della comunità insediata a Kostel, una cittadina di campagna nei pressi di Nikolsburg (odierna Mikulov). Qui Patrizi esercitò il mestiere di falegname, per tornare poi nella sua casa di Cherso il 1° gennaio 1568, nel corso di una missione in Istria, durante la quale invitò i suoi famigliari e amici a diventare partecipi della vera vita cristiana che si praticava in Moravia e distribuendo lettere di esortazione scritte a tal fine dal figlio e da altri esuli anabattisti. Alla fine di gennaio un gruppo di convertiti istriani partì alla volta della Moravia passando per Lubiana, ma Patrizi non riuscì a convincere sua moglie Anna a lasciare Cherso. Il 16 febbraio 1568 il conte Giovanni Minio e il vescovo Marco Gonzaga lo convocarono per processarlo, ma egli rifiutò di presentarsi al presule «perché non lo conosce per superiore». Il processo per eresia si svolse quindi in absentia nel maggio-giugno, mentre Patrizi era nascosto a Lubiana o altrove.
Il 4 gennaio 1570 Patrizi fu convocato dal Sant’Uffizio di Venezia e qualche settimana dopo, alla fine di febbraio, un amico di famiglia, Bartolomeo Pace, che durante la sua assenza era diventato amante della moglie Anna, propose agli inquisitori di scovare e far consegnare Patrizi in cambio di una somma di denaro (nel 1571 lo stesso Pace sarebbe stato condannato alla galera dal conte di Cherso). Dopo alcuni tentativi infruttuosi, Patrizi fu catturato e trasferito a Venezia, dove fu incarcerato il 12 ottobre 1570. Nel corso delle sue deposizioni si dichiarò egli stesso un fedele seguace della Chiesa hutterita morava. L’ultimo interrogatorio ebbe luogo il 2 dicembre 1570.
Patrizi morì a Venezia in una data anteriore al dicembre del 1571, senza che – a quanto risulta dagli atti – una sentenza o altro atto formale avesse concluso il processo.
Secondo le cronache coeve dei Fratelli hutteriti, Patrizi sarebbe stato annegato in segreto (Die Geschichts-Bücher, 1883, p. 249). Unitamente agli hutteriti, anche i mennoniti olandesi avrebbero custodito la memoria di Patrizi come quella di un martire della fede.
Oltre al già ricordato Matteo, Patrizi lasciò sette figli e una figlia, che rimasero con la moglie Anna a Cherso. Nel 1577 uno dei figli, Pier Francesco, sarebbe stato accusato di eresia «lutherana», insieme con altri esponenti di famiglie nobili di Cherso (Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, 41, f. Drasa).
Principale esponente dell’anabattismo istriano del Cinquecento, Patrizi non ha lasciato opere letterarie. Ciò che ne rende eccezionale la figura tra gli anabattisti italiani è l’insolita lunghezza del periodo – più di vent’anni – in cui il suo percorso religioso è documentato dalle carte inquisitoriali, tra le quali figurano importanti lettere originali di anabattisti. Nella prima parte della sua esperienza religiosa egli dovette essere partecipe degli orientamenti antitrinitari dell’anabattismo veneto formulati nel sinodo tenutosi a Venezia nel 1550, ma il suo proselitismo missionario del 1568 e le sue deposizioni del 1570 risultano del tutto coerenti con le istanze hutterite di non violenza, disobbedienza all’autorità ecclesiastica, rifiuto dei giuramenti e comunanza dei beni, così come le sue riserve sulla dottrina ortodossa della trinità («io credo che ʼl sia uno solo Iddio e tre nomi, […] che l’è uno istesso Iddio; de persone non voglio dir altro», ibid., 59a, c. 125v, costituto del 21 novembre 1570).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, 17, f. 1 (atti del processo contro Patrizi e documenti ad esso relativi tra il 4 dicembre 1550 e il dicembre 1571); 159a, cc. 18v, 53v-54r, 60v-61r, 79r, 103r-106v, 111v-116v, 125r-127v, 131v-133v, 157r-158r (documenti dell’ultimo processo, tra il 18 marzo 1570 e il 16 febbraio 1571); T. van Braght, Het Bloedig Tooneel, of Martelaers Spiegel (Teatro cruento, o Specchio dei martiri), Amsterdam 1685, p. 344; Die Geschichts-Bücher der Wiedertäufer in Oesterreich-Ungarn, a cura di J. Beck, Wien 1883, p. 249; S. Petris, Spoglio dei 'Libri Consigli' della città di Cherso, II, (1531-1556), in Programma dell’I.R. Ginnasio Superiore di Capodistria, Capodistria 1897 e 1902, rispettivamente pp. 16-44 e pp. 3-29; I costituti di don Pietro Manelfi, a cura di C. Ginzburg, Firenze-Chicago 1970, pp. 53, 80 s.; Häresie und Luthertum. Quellen aus dem Archiv der Pönitentiarie in Rom (15. und 16. Jahrhundert), a cura di F. Tamburini - L. Schmugge, Paderborn 2000, pp. 188-190.
S. Petris, Sui natali di Francesco Patrizio, in Programma dell’I.R. Ginnasio Superiore di Capodistria, Capodistria 1892, pp. 3-34; Id., Un processo per eresia nel XVI secolo (Matteo Patrizio da Cherso), in Pagine istriane, VII (1909), pp. 32-35, 56-59, 92-99; A. Stella, Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo, Padova 1969, pp. 81-97, 200-215, 301-307; Id., Dall’anabattismo veneto al 'Sozialevangelismus' dei fratelli hutteriti e all’illuminismo religioso sociniano, Roma 1996, pp. 137-160; C. Manzoni, Un anabattista rifugiato a Fiume nel 1558, in Fiume, XV-XVI (1969-1970), pp. 105-108; C. Vasoli, Un mito storiografico: l’adolescenza di Francesco Patrizi, in id., Immagini umanistiche, Napoli 1983, pp. 527-557; Id., A proposito di Francesco Patrizi, G.G. P., Baldo Lupatino e Flacio Illirico, in L’umanesimo in Istria, a cura di V. Branca - S. Graciotti, Firenze 1983, pp. 37-61.