CAROLDO, Gian Giacomo
Della famiglia del C. i tardi genealogisti veneziani affermano che si fosse trasferita a Venezia da Milano nel 1323 (Museo Civico Correr, cod. Gradenigo 83, tomo II, f. 108r); del C. in particolare non si hanno notizie eccedenti i suoi impegni ufficiali.
Dalla supplica che egli compose in data 15 sett. 1511 (Arch. di Stato di Venezia, Consiglio dei X, Parti miste, reg. 34, f. 81r) si desume che aveva già ricoperto impegni per conto della Repubblica di Venezia in Italia, in Inghilterra, in Spagna e a Costantinopoli. Circa quest'ultimo impegno del C. ci è pervenuta una sua relazione in data 30 sett. 1503, inserita nei Diarii di M. Sanuto (Venezia 1879-1902, V, coll. 449-68). Egli si era recato a Costantinopoli come segretario dell'ambasciatore Andrea Gritti, che doveva stipulare la pace fra la Repubblica e il sultano. Dalla supplica del 1511 risulta che il C. era al servizio della Repubblica da quindici anni. Si può perciò calcolare che vi fosse entrato attorno al 1496: se l'ingresso avvenne alla età minima prevista, cioè sedici anni compiuti, se ne trarrebbe la conseguenza che la sua nascita si collocherebbe attorno al 1480.
Il 16 sett. 1594 il C. fu promosso a pieni voti nella prova sostenuta assieme ad altri candidati per subentrare come ordinario al posto reso vacante dalla morte di Gerolamo Donato (Arch. di Stato di Venezia, Consiglio dei Dieci, Parti miste, reg. 30, f. 87). Nel 1507 divenne notaio presso il Senato (ibid., reg. 26, f. 150), con 50 ducati di salario annuo. Nell'agosto del 1508 venne inviato a Milano come segretario ducale (Sanuto, VII, col. 622); di qui egli ragguagliò il Senato sulla politica europea quale si poteva scorgere da quel privilegiato punto di osservazione, con dispacci e lettere inviati quasi giornalmente (ibid., coll. 627, 650, 666, 717). Secondo il Bembo (Historie venete, Venezia 1718, VIII, pp. 295 s.), fu suo merito l'aver per primo scoperto la trama diplomatica da cui sarebbe sorta la lega di Cambrai. Il 22 dic. 1508 il C. scrisse ai Pregadi (Sanuto, VII, col. 695), avvertendo della pace conclusa fra Massimiliano d'Asburgo e il re di Francia, intenzionati a scendere in Italia; mentre il 30 dello stesso mese dava notizia in una lettera a Zaccaria Contarini della avvenuta lega di Cambrai ai danni della Signoria (ibid., col. 704). Egli dette anche reiterato consiglio di rafforzare la guarnigione di Cremona (ibid., col. 726) in vista di un'invasione dei collegati. Il 9 marzo 1509 il C. ricevette dal re di Francia l'ordine di lasciare Milano (ibid., VIII, col. 15), e ne richiese conferma alla Signoria. Il 18 marzo 1509 si trovava di nuovo a Venezia dove riferì in Collegio i risultati della missione (ibid., col. 25).
In seguito al felice esito di essa, pochi giorni dopo fu mandato presso il cardinal di Pavia Francesco Alidosi, legato pontificio, cui si sarebbero dovute restituire le terre pontificie nel tentativo di tenere il papa fuori della lega antiveneziana. Ma intanto il 27 apr. 1509 il pontefice inviò la bolla Pastoralis officii in cui concedeva a Venezia un mese di tempo, pena la scomunica e l'interdetto, per rientrare nella obbedienza papale (ibid., col. 169). Dopo la battaglia di Agnadello, il 19 maggio 1509 il C. ricevette commissione dal Senato di recarsi a Bologna presso il legato papale cardinal Alidosi (Arch. di Stato di Venezia, Senato Secreta, Deliberazioni, reg. 41, f. 184). Dato l'esito favorevole della trattativa con il legato papale, giunse inaspettata la notizia dell'arresto del C. nel mese di giugno 1509 su ordine di Giulio II, assieme a tutto il personale amministrativo e militare di rilievo nelle terre pontificie occupate dai Veneziani. Il C. rimase prigioniero per un anno, per di più cadendo ammalato (Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei X, Lettere da Milano, busta 15, n. 110). Fu liberato nel giugno 1510 (Sanuto, X, col. 629) e nel marzo 1511 si trovava di nuovo a Venezia (ibid., XII, col. 35), dopo aver condotto a termine la restituzione delle terre al pontefice.
Al C. fu successivamente affidato l'incarico di recarsi a Ravenna presso l'esercito della lega veneto-romana contro i Francesi, per portare l'aiuto finanziario della Repubblica (ibid., XIII, col. 391; Arch. di Stato di Venezia, Senato Secreta, Deliberazioni, reg. 45, f. 28: lettera del Senato in data 30 luglio 1511). Il 7 ag. 1511 ebbe commissione di partire per Milano (Sanuto, XIV, col. 526), dove si trovava ancora il 29 sett. 1512 (lettera del Senato, Arch. di Stato di Venezia, Senato Secreta, Deliberazioni, reg. 45, f. 51): è questo il periodo in cui la Signoria, cacciati i Francesi dalla Lombardia, si orienta verso un abbandono della lega antifrancese suscitando sospetti e risentimenti registrati in due lettere del C. (5 dic. 1512 e 10 dic. 1512, Ibid., Capi del Consiglio dei X, Lettere da Milano, busta 15, n. 17 e n. 11). Nel gennaio 1513 terminò la missione del C., resa superflua dall'avvicinamento della Signoria ai Francesi e del papa all'imperatore.
Il 20 luglio 1513 il C. ebbe un aumento di stipendio di 12 ducati annui (Ibid., Consiglio dei X, Parti miste, reg. 36). Nell'ottobre 1515 accompagnò gli oratori veneti in missione straordinaria a Milano presso il re di Francia (Sanuto, XXI, col. 240); in previsione del viaggio redasse il 5 settembre il proprio testamento, a noi pervenuto. Da Milano inviò due lettere al fratello Costantino, succedutogli nell'esercizio della "scrivania di sopraconsoli" (Arch. di Stato di Venezia, Consigliodei X, Notatorio, reg. 4, f. 120; Sanuto, XXXI, coll. 295-296) e tenne costantemente informata la Signoria di quanto veniva apprendendo. Il 26 marzo 1517 informò la Signoria circa la situazione economica di Francia, dove, a causa delle difficoltà del momento, si era deciso di rifiutare l'importazione di panni d'oro e di seta, a scapito di Lucchesi e Fiorentini (ibid., XXIV, col. 52). Nel giugno 1517 il C. rientrò a Milano dal viaggio in Francia al seguito del visconte di Lautrec, al cui servizio era stato posto dalla Signoria (ibid., XXIV, coll. 269, 409). Nel novembre 1517 inviò un dispaccio sui fatti di Bergamo (Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei X, Lettere da Milano, busta 15, n. 75). Nel febbraio 1518 comunicò alla Signoria l'intenzione di Massimiliano d'Asburgo di inviare quattromila fanti al papa (Sanuto, XXV, col. 233).
Nel settembre del 1518 il C., stanco delle preoccupazioni e responsabilità sopportate come diplomatico della Repubblica, con esiti peraltro brillanti, chiese di venir sostituito e di poter rientrare a Venezia (ibid., XXVI, col. 10). Il Senato respinse la sua richiesta e gli inviò in dono 150 ducati (Arch. di Stato di Venezia, Consiglio dei X, Parti miste, reg. 41, f. 111, settembre 1518). Nel novembre 1518 ebbe un altro aumento di stipendio di 25 ducati, giungendo alla somma di 110 ducati annui (ibid., f.133). Nello stesso mese inviò vari dispacci (Ibid., Capi del Consiglio dei X, Lettere da Milano, busta 15, nn. 91, 92, 18).
Nel 1519 il C. segnalò da Milano i primi accenni del conflitto fra Carlo di Spagna e Francesco I di Francia per la successione di Massimiliano d'Asburgo. Verso la fine di aprile (Ibid., Senato Secreta, Deliberazioni, reg. 48, f. 13) ebbe l'ordine del Senato di preparare le milizie venete contro gli Svizzeri che sembravano parteggiare per la Spagna contro la Francia. Il 31 ag. 1519 lo stipendio del C., che aveva di nuovo chiesto d'esser sostituito, fu elevato di 8 ducati (Ibid., Consiglio dei X, Parti miste, reg. 41, f.67). Nel settembre 1519 fu nominato come suo successore a Milano Alvise Marin (Sanuto, XXVII, col. 684), che arrivò a Milano nel maggio 1520. In una lettera in data 1º luglio 1520 il C. (Venezia, Bibl. naz. Marc., cod. Marc. It.VII, 877 [= 8651]) si lamentava di non aver potuto tenere la sua relazione in Senato (edita in Alberi). Da questo anno il C. non ebbe più missioni diplomatiche fuori di Venezia ed esercitò il suo ufficio in palazzo, come risulta dalle innumerevoli notizie dei Diarii del Sanuto e dai libri della Cancelleria veneta.
Nel 1523 il suo stipendio fu portato a 165 ducati (Arch. di Stato di Venezia, Consiglio dei X, Parti miste, reg. 46, f.112). Fra gli atti più importanti che lo riguardano è la relazione del 25 sett. 1528 circa un incontro segreto con l'ambasciatore francese (Ibid., Consiglio dei X, Parti segrete, reg. 2, f. 78). La sua attività di diplomatico e di capo della Cancelleria veneziana si confonde con la storia stessa dell'oligarchia veneziana in quegli anni. Della vita privata del C. conosciamo solo l'appoggio da lui accordato al fratello Costantino, le cure per sua sorella Maria, vedova di un commerciante di tessuti, e per i suoi figli che raccomandò al Senato nella supplica del 1515.
Il C. morì il 3 giugno 1539 (Ibid., Necrologi,1537-1539, n. 794).
Il C. compose una cronaca di Venezia, posteriormente divisa in dieci libri, dalle origini alla morte del doge Zaccaria Contarini, avvenuta nel 1382.
La stesura della cronaca, che risalirebbe al 1520 circa (E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 9) è certo anteriore al 1532, anno in cui il C. dedica al doge, ai senatori e ai gentiluomini veneziani la propria opera storica.
La tradizione testuale della cronaca del C. si presenta singolarmente complessa. Ci sono pervenuti due codici autografi: il cod. Marc. It. VII, 803, che tramanda un frammento di 114 fogli, circa gli anni 1367-1382; e il cod. Marc. It.VII, 2448 contenente la parte finale della cronaca, corrispondente ai libri V-X, pur non mostrando la consueta divisione in libri. Il secondo autografo, di cui esiste una copia del XVII secolo, il cod. Palat. Vindob.6170, è una rielaborazione d'autore rispetto al primo e quindi dovrà essere assunto come base della edizione della parte finale della cronaca. La parte iniziale della cronaca ci è giunta attraverso una ricca tradizione testuale, di oltre quaranta codici, che sembra derivare da una rielaborazione della versione individuabile nel cod. Marc. It.VII, 2448. Si tratta di una terza fase compositiva, in cui è intervenuto un rimaneggiatore che, là dove il confronto con il secondo autografo è possibile, cioè per i libri V-X, mostra di aver peggiorato il testo del C., preferendo alle fonti documentarie, accessibili all'autore, le notizie desumibili da più comuni e meno accurate fonti cronachistiche. I codici più importanti di questo filone sono generalmente ritenuti il Marc. It. VII, 128 A e il cod. C. M.107 del Museo civico di Padova. Manca però ancora un adeguato stemma codicum.Il cod. C. M.107 presenta nella rilegatura lo stemma della famiglia Caroldo e contiene un indice dei fatti e dei nomi propri aggiunto da Niccolò Caroldo nel 1545. Il cod. Marc. It.VII, 128 A, per converso, mostra di essere linguisticamente più vicino all'autografo Marc. It.VII, 2448 e non presenta la divisione in libri, consueta al resto della tradizione testuale ma ignota all'autografo.
Il metodo compositivo del C. è quello consueto nella storiografia veneziana dal XIII al XVI sec.: si fonda cioè sulla rielaborazione delle precedenti tradizioni cronachistiche, scelte secondo un preciso intendimento storiografico, ma non trasfigurate in un nuovo dettato al punto da non rivelare la persistenza del testo di base. Ciò spiega le notevoli diseguaglianze stilistiche e la sproporzione quantitativa fra i vari settori della cronaca.
La Chronica extensa di Andrea Dandolo è alla base della narrazione del C. fino al dogado di Giacomo Contarini (1275-1280) e pur rappresentando, dal punto di vista cronologico, il settore più ampio della cronaca, dal punto di vista quantitativo comprende solo i primi 125 ff. del Marc. It.VII, 128 A, che è in complesso di 454 fogli. Il C. ha estratto dalla extensa del doge Dandolo le sole notizie di storia veneziana, intervenendo di continuo e capillarmente con precisazioni, puntualizzazioni e ampliamenti che ricorrono periodo per periodo, pur senza alterare sostanzialmente il dettato testuale del Dandolo. Gli interventi più cospicui del C. si rilevano nella parte iniziale, circa l'origine di Venezia, tema sviluppato con tenace orgoglio civico dalla tradizione cronachistica veneziana, dal Chronicon Altinate fino alle più tarde elaborazioni del XV e XVI sec. Nel C. la fondazione della città è individuata nel processo di dislocamento nelle sedi lagunari dei centri di Terraferma veneta in seguito alla invasione di Attila. Il C. rifiuta la tradizione della emigrazione lagunare dei primates della provincia venetica a seguito dell'invasione longobarda, secondo la prospettiva inaugurata da Giovanni Diacono; accoglie invece la tradizione della fondazione rivoaltina del 25 marzo 421 ad opera dei consoli padovani, che in periodo anteriore, fra XIII e XIV sec., era stata respinta dalla cronachistica veneziana perché postulava fra Padova e Venezia un rapporto genetico non certo lusinghiero per la Serenissima e che sarebbe stato imbarazzante ammettere durante il periodo della sua espansione in Terraferma. Ma, nel complesso, il C. non sembra molto interessato al prolisso edificio delle origini, quale compare in tutta la cronachistica veneziana: forse la monografia di Bernardo Giustinian sulla origine di Venezia (De origine urbis Venetiarum…, Venetiis [1493]) lo esimeva dall'assumere un deciso impegno in questo settore. Il C. si serve della invasione longobarda per spiegare la traslazione della sede e del titolo patriarcale da Aquileia a Grado. Rispetto al Dandolo, che egli rielabora, il C. abbrevia drasticamente le notizie sulla fondazione delle sedi episcopali e delle più antiche chiese veneziane, ampiamente riferite dal doge cronista.
Ampliamenti derivati da tradizioni cronistiche estranee al Dandolo sono la storia militare della prima crociata (ff. 36r-46v del cod. Marc. It. VII, 128 A) e gli squarci di storia bizantina in rapporto con la quarta crociata (ff. 67r-72v).
Dal 1280 al 1382, il settore più ampio della cronaca, l'individuazione delle tradizioni cronachistiche rielaborate dal C. è più difficile: nuclei autonomi, con caratteri stilistici diversi rispetto al corpo dell'opera, sono il lungo episodio della guerra di Ferrara nel 1305 e della congiura di Baiamonte Tiepolo (ff. 134r-149v). La narrazione è drammatizzata da orazioni, inconsuete per l'ampiezza, la ricchezza espressiva, la vivacità e pertinenza del dibattito. L'origine della signoria carrarese e dei Bonaccorsi di Mantova fornisce il pretesto per una ennesima ampia narrazione di carattere monografico che si configura autonomamente rispetto al corpo della cronaca. Altro grosso brano autonomo riguarda il dogado di Andrea Dandolo (ff. 189v-231v), ricco di minuziose notizie ma piuttosto farraginoso e senza un preciso disegno storiografico. La parte finale della cronaca è costituita dall'intera orazione funebre per il doge Zaccaria Contarini tenuta da un cardinal Contarini suo parente.
Pur non sottraendosi alla norma consueta delle cronache veneziane, pedissequamente vicine alle fonti che utilizzano, il C. mostra la sua personalità di storiografo nella selezione dei testi che trascrive e nella scelta delle notizie: di fronte ad una tradizione storiografica vastissima, che gli avrebbe permesso di utilizzare vari tipi di cronache, il C. severamente si restringe a compendiare quei testi e quelle notizie che riguardino la storia dell'amministrazione veneziana, dei rapporti diplomatici nei loro aspetti formali e, naturalmente, delle guerre. Limitatamente a codesti interessi il C. è assai accurato: liste di consiglieri, cataloghi di ambasciatori, resoconti di ambascerie, calcolo del numero dei legni nelle singole flotte, nomi dei comandanti sono implacabilmente annotati dal C. che ricorre ampiamente alle deliberazioni del Maggior Consiglio a lui accessibili nella sua qualità di segretario del Consiglio dei dieci.
L'opera del C. risulta pertanto una monotona e opaca, quanto minuziosa, rassegna di storia politico-diplomatica della Repubblica. Il fine è dichiarato dall'autore nella dedica dell'opera. Egli intende comporre una storia utile al ceto di governo "conoscendo quanto sia utile a quelli governano la Repubblica haver intelligenza dell'historie et annali della loro città". Si tratta, in definitiva, di una storia dello Stato veneziano colto nel suo funzionamento tecnico, secondo la sensibilità di un addetto alla Cancelleria.
Fonti e Bibl.: Il testamento del C. è stato edito da V. Lazzarini, Iltestam. del cronista G. G. C.: per un'ediz. della sua cronaca, in Scritti stor. in onore di G. Monticolo, Padova 1922, pp. 283-288. Per la relazione del C. dopo l'incarico di ambasc. a Milano, vedi Le relazioni degli ambasciatori veneti, a cura di E. Alberi, V, Firenze 1858, pp. 298-330. Per i problemi concern. la cronaca vedi F. Thiriet, Les chroniques vénit. de la Marcienne et leur import. pour l'histoire de la Romanie, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, LXVI (1954), pp. 266-272; R. J. Loenertz, Jean V Paléologue à Venise (1370-1371), in Revue dés études byzantines, XIV(1958), pp. 217-232; J. Chrysostomides, John V Palaelogus in Venice (1370-1371),and the Chronicle of Caroldo: a re-interpretation, in Orientalia Christiana Periodica, XXXI(1965), pp. 76-84; Id., Studies on the Chronicle of Caroldo with special Reference to the History from 1370 to 1377,ibid., XXXV(1969), pp. 123-182; A. Carile, La cronachistica venez. (secc. XIII-XVI), di fronte alla spartiz. della Romania nel 1204, Firenze 1969, pp. 158-159.