SERBELLONI, Gian Galeazzo
– Primogenito di Gabrio e di Maria Vittoria Ottoboni Boncompagni, nacque a Milano il 3 gennaio 1744.
Il padre apparteneva a una delle più importanti famiglie della nobiltà lombarda, mentre la madre era pronipote di Innocenzo XI. Ebbe quattro fratelli: Maria Ippolita (6 maggio 1742), morta in giovane età, Alessandro (19 agosto 1745), Fabrizio (20 settembre 1746) e Marco (15 giugno 1748).
La madre, famosa per i suoi rapporti con Pietro Verri e con Giuseppe Parini, ebbe una rilevante influenza sulla sua formazione. Ospitò nel suo salotto i più celebri e rinomati personaggi del suo tempo e sostenne sempre con tenacia la ‘carriera politica’ del figlio. Affidò la sua prima educazione a personalità di primo piano come Parini stesso, Paolo Frisi e Pier Domenico Soresi. Successivamente, al pari dei fratelli, Gian Galeazzo fu educato in diversi collegi: quello Superiore di Milano (1757-60), il collegio Nazareno di Roma (1761-64) e, infine, il collegio Teresiano di Vienna.
Nel 1771 sposò Teresa Castelbarco Visconti Simonetta, dalla quale ebbe, nel 1772, l’unica figlia Maria Luigia. Alla morte del padre Gabrio, nel 1774, diventò erede della casata e di un patrimonio ingente. Ereditò anche i titoli paterni: grande di Spagna di prima classe, duca di San Gabrio, conte di Castiglione, marchese di Incisa nel Monferrato e di Castelnuovo Belbo nell’Alessandrino, feudatario di Romagnano, di Gorgonzola, di Camporicco e di Cassina de’ Pecchi nel Milanese. Continuò la costruzione del nuovo palazzo di famiglia affidato all’architetto Simone Cantoni, al quale commissionò anche la progettazione della cappella di famiglia a Gorgonzola. Sempre in quel periodo acquistò il palazzo di Tremezzo sul lago di Como, oggi villa La Quiete.
La morte del padre avviò una lunga vicenda legale per la divisione del patrimonio, che si protrasse fino al 1786 e spezzò definitivamente l’unità familiare. Il conflitto divenne praticamente insanabile soprattutto fra Gian Galeazzo e Alessandro, a causa di una diversa concezione della famiglia e del ruolo del casato che entrambi dovevano all’ambiente e all’educazione familiare. Infatti, mentre Gian Galeazzo aveva vissuto la sua infanzia vicino alla madre, una donna libera da convenzioni, Alessandro era stato educato dallo zio paterno, il conte Giovanni Battista Serbelloni, comandante generale dell’armata d’Italia dell’esercito imperiale, secondo i canoni di una cultura aristocratica più conservatrice. Gian Galeazzo non fece mistero di non essere interessato alla tradizione e alla continuazione del casato e si dimostrò fuori dagli schemi anche nella gestione della sua vita matrimoniale; infatti, dopo la nascita dell’unica figlia, interruppe i rapporti con la moglie ed ebbe anche un figlio illegittimo da un’altra relazione, che, però, si rifiutò di riconoscere. Dissestò, inoltre, i beni sottoposti al vincolo della primogenitura, provocando un certo scandalo in tutta la società milanese.
Diverse furono le cariche che ricoprì sotto il dominio degli Asburgo. Il 28 febbraio 1765 venne ascritto tra i XL decurioni della città di Milano, mentre il 31 dicembre dello stesso anno fu inserito tra i XII del tribunale di Provvisione. Il 15 dicembre 1767 fu decorato del rango di ciambellano di Camera di sua maestà imperiale e reale austriaca. Seguendo la tradizione di famiglia, il 20 maggio 1772 divenne anch’egli maestro di campo della milizia urbana e, nel 1775, ne fu nominato soprintendente generale. Ricoprì cariche nel Banco di S. Ambrogio dal 1765 al 1784 e fu protettore del monastero di S. Sofia e del collegio della Guastalla dal 1786 al 1797. Il 27 marzo 1773 venne eletto tra i delegati del Corpo degli obbligati alle spese per lo spurgo dei navigli, mentre il 1° maggio 1774 fu nominato regio assistente della Congregazione degli utenti del Naviglio interiore. Il 23 dicembre 1773 fu prescelto per diventare uno dei cinque conservatori del Patrimonio.
Il 22 gennaio 1775 ricevette la nomina di prefetto della Confraternita di S. Giovanni decollato eretta nella chiesa di S. Giovanni alle Case rotte e, fra le sue incombenze, vi fu quella di cercare di redimere il famoso ladro Carlo Sala, l’ex frate che aveva imperversato in Lombardia per alcuni anni svaligiando le chiese. Ma il suo tentativo fallì e Sala fu giustiziato. Nel 1776 fu tra i 36 soci fondatori della Società patriottica e il 13 dicembre 1777 fu scelto come conservatore degli ordini. Il 3 ottobre 1784 il Consiglio dei decurioni lo nominò sovrintendente dell’Archivio civico. Il 31 maggio 1784 Pio VI gli conferì il principato sul latifondo delle Cesie nel Ravennate. Tra il 1783 e il 1788 intrattenne una fitta corrispondenza con Caterina Dolfin Tron, procuratoressa di S. Marco, la quale lo descrisse come un cavaliere amabile, pieno di talento e libero da pregiudizi.
Fu però nella Milano napoleonica che egli ricoprì un ruolo politico di primo piano, abbracciando in toto gli ideali repubblicani. Era ancora soprintendente generale della milizia nell’aprile del 1796, quando l’Armata d’Italia di Napoleone Bonaparte marciò verso Milano e la Lombardia. Il 10 maggio 1796 fu tra coloro che si recarono a offrire al generale Bonaparte le chiavi della città e, quando il 15 maggio Napoleone entrò con le truppe da Porta Romana, fu alloggiato proprio nella casa del ‘duca repubblicano’, il quale, ormai completamente conquistato dalle nuove idee, chiese di aderire alla Società popolare. Il 21 maggio 1796 fu nominato primo presidente della nuova Municipalità milanese e poi, nel giugno dello stesso anno, fu inviato ambasciatore a Parigi con Carlo Niccoli e Fedele Sopransi per esporre al Direttorio le aspirazioni di libertà della nazione lombarda e per chiedere una mitigazione della tassa di 20 milioni di franchi richiesta a Milano dai francesi. Fu lo stesso Napoleone a informare il Direttorio dell’arrivo di Serbelloni a Parigi, sottolineando come le sue dichiarazioni di patriottismo gli avessero fatto molto gioco a Milano, essendo, quella dell’ex duca, una delle famiglie più cospicue e importanti della città. L’ambasciata non ottenne nulla, ma la figura di Serbelloni impressionò favorevolmente il Direttorio che lo incaricò di scortare fino a Milano Giuseppina Beauharnais, ospitata nel palazzo di famiglia fino all’anno successivo. Il 14 luglio 1796 relazionò sulla missione a Parigi alla Congregazione dello Stato di Milano e il 25 luglio propose, unitamente a Cesare Pellegatti, di nominare una commissione che si occupasse di un «progetto di organizzazione politica» (Archivio storico civico di Milano, ASCMi, Fondo Sola Busca, carte Serbelloni, cart. 87). Vi furono alcune opposizioni interne, tra cui quella di Parini, ma poi la proposta passò.
Quando la Repubblica Cisalpina nacque, il 29 giugno 1797, Serbelloni ne fu nominato primo presidente e membro del Direttorio esecutivo insieme con Marco Alessandri, Pietro Moscati e Giovanni Paradisi. Il 9 luglio 1797, durante la festa della Federazione, pronunciò un celebre discorso, durante il quale, sguainando la spada, giurò di vivere libero grazie alla Francia o di morire. Sempre in qualità di presidente del Direttorio firmò un proclama il 14 settembre 1797, nel quale ordinò che venisse punito con la morte chiunque, con parole e con fatti, cercasse «di favorire la monarchia, la costituzione francese del 1793 o qualunque altra forma di governo diversa da quella del momento» (F. Melzi d’Eril, Memorie, documenti e lettere..., raccolte e ordinate da G. Melzi, I, 1865, p. 577).
Il 10 novembre 1797 si dimise però dal Direttorio cisalpino, nonostante le rimostranze degli altri deputati che lo invitarono a non abbandonare. Addusse come scusa la necessità di lasciare posto ad altri uomini più capaci e utili; in realtà aveva saputo di essere in procinto di ricevere la nomina di ambasciatore a Parigi e aveva rassegnato anticipatamente le dimissioni dal Direttorio, perché la legge gli avrebbe impedito di espatriare per sei mesi se ancora in carica al momento della nomina. Le dimissioni anticipate gli consentirono, invece, di partire subito, una volta ottenuto il placet dallo stesso Bonaparte.
La nomina ufficiale a ministro plenipotenziario gli giunse il 15 novembre 1797. Serbelloni arrivò nella capitale francese il 1° dicembre, ma non si insediò immediatamente a causa degli screzi sorti con il suo predecessore Francesco Visconti che non voleva lasciare la carica. Entrambi aspiravano infatti a restare a Parigi per curare gli interessi della Repubblica Cisalpina e siglare i trattati di alleanza e di commercio tra le due repubbliche iniziati già a Rastadt da Francesco Melzi d’Eril. Alla fine, da Milano, si decise che Visconti sarebbe stato nominato ambasciatore ordinario della Cisalpina a Parigi, mentre Serbelloni ambasciatore straordinario, con eguali poteri del collega, ma con lo specifico incarico di negoziare i trattati; una volta conclusa l’operazione, le sue funzioni di ambasciatore sarebbero cessate, a meno di altri incarichi conferiti dal Direttorio. Con ogni probabilità, fu il ministro degli Esteri Carlo Testi a spingere il Direttorio milanese affinché confermasse un secondo ministro plenipotenziario a Parigi nella persona di Visconti per non lasciare solo Serbelloni, con il quale Testi non aveva confidenza. La missione non riscosse un grande successo, anche per la diversità dei caratteri e delle visioni tra i due ministri plenipotenziari cisalpini che si trovarono a condurre gli affari con il Direttorio a Parigi.
A Melzi d’Eril, Serbelloni espresse tutti i suoi dubbi su una missione che egli avvertiva chiaramente come fallimentare in partenza, perché segnata dal difficile clima politico, dalle difficoltà interne del Direttorio lombardo, dagli intrighi dei diversi protagonisti che ne acuivano la debolezza istituzionale. A suo giudizio, solo Melzi d’Eril sarebbe stato in grado di portare a termine la missione.
Nel gennaio del 1798, Serbelloni e gli altri plenipotenziari ebbero frequenti contatti con Charles-Maurice Talleyrand, il ministro degli Esteri incaricato dal Direttorio di negoziare con i delegati cisalpini il trattato di alleanza e di commercio. Tra scontri, perplessità, minacce e febbrili discussioni, nel febbraio del 1798 i ministri plenipotenziari furono costretti ad accettare le condizioni dei francesi, nonostante il Direttorio cisalpino avesse ordinato loro di non sottoscrivere alcun trattato che recasse danno e offesa all’onore della Repubblica. L’unica concessione ottenuta dai plenipotenziari fu la riduzione del contributo annuale per il mantenimento del contingente francese nella Cisalpina da 25 a 18 milioni annui.
Il 27 aprile 1799 la Repubblica Cisalpina cadde a opera dell’esercito austro-russo e Serbelloni, ancora in Francia e braccato come giacobino, si rifugiò a Chambery e poi a Grenoble. Nel frattempo a Milano il famoso palazzo di famiglia e le altre proprietà furono saccheggiate. Tornò in patria dopo la battaglia di Marengo (14 giugno 1800) e riprese il suo ruolo politico. Fu eletto infatti nella Consulta legislativa il 22 giugno 1800. Il 17 giugno 1801 venne scelto per rappresentare al primo console lo stato delle finanze della Repubblica Cisalpina insieme con Antonio Aldini. In questa ambasciata straordinaria furono affiancati da Melzi d’Eril e da Ferdinando Marescalchi. La scelta di Serbelloni non fu casuale: avendo già ricoperto la carica di ambasciatore a Parigi, era in grado di avvicinare con una certa facilità Napoleone e la moglie Giuseppina e tutto l’entourage politico della capitale, e poteva fungere, quindi, da prezioso mediatore. Infatti, mentre gli italiani ne sottovalutavano le qualità politiche, Napoleone lo stimava e lo riceveva spesso sia in pubblico sia in privato. Melzi d’Eril ne apprezzava le doti umane e l’onestà, pur riconoscendone i limiti politici. Marescalchi, invece, si lamentava spesso della guerra ‘interna’ che l’ex duca sembrava muovergli nelle sue vesti di ambasciatore e del fatto che la sua casa parigina portasse ancora affisso sulla porta il cartello che la segnalava come sede dell’ambasciata, causando così problemi nella consegna della posta.
In realtà, le due teste pensanti della missione erano Melzi d’Eril e Aldini, i quali diedero spesso la sensazione di prendere delle decisioni escludendo Serbelloni, che appariva ai più certamente molto adatto alle funzioni di rappresentanza, ma meno a una strategia politica lungimirante. Nella sostanza la missione Serbelloni-Aldini rappresentava una protesta contro la pressione degli aggravi che accresceva gli oneri per le truppe; in questo senso furono affidate ai due deputati istruzioni separate per iscritto. Ciò rischiava di mettere in cattiva luce l’operato di Marescalchi, ma non era così. Da Milano si voleva in sostanza impressionare il primo console sulle reali situazioni della Cisalpina, anche per la forte pressione dell’opinione pubblica. Aldini e Serbelloni ebbero contatti diretti con Talleyrand, il quale li indirizzava e li coordinava nei rapporti con Bonaparte.
In quel frangente Serbelloni si trovò inoltre a discutere della costituzione in una sorta di commissione formata anche da Marescalchi, Melzi d’Eril e Aldini. I progetti fatti redigere da Bonaparte erano due e numerose furono le osservazioni apportate dalla commissione stessa. Questa missione durò fino a ottobre del 1801. Prima di tornare in Italia, Aldini e Serbelloni fecero un’importante proposta a Talleyrand da girare direttamente al primo console e cioè la convocazione di un’Assemblea, da loro definita «consulta straordinaria» (I Comizi..., a cura di U. Da Como, I, 1934-1940, p. 282), composta da 500 o 600 membri da convocarsi in una città francese, preferibilmente Lione, lontano da influenze ‘nostrane’ e al disopra della mischia, affinché si potesse discutere definitivamente della Repubblica e superare tutti gli ostacoli interni che si ponevano alla sua piena strutturazione. La proposta Aldini-Serbelloni di Lione fu quella che trionfò. Il 12 novembre 1801 Serbelloni figurò ufficialmente tra i deputati della Consulta straordinaria di Lione, all’interno della Consulta legislativa. Prima di partire per i Comizi, Napoleone gli riservò molti riguardi e gli consigliò di procurarsi in città un’abitazione autonoma dove ricevere le autorità. E così fece Serbelloni. Quando a metà dicembre egli giunse a Lione, cominciò subito ad aprire la sua nuova dimora ai deputati ex nobili di tutti i dipartimenti, per i quali organizzò ogni sera cene con prodigalità e magnificenza, tanto da suscitare il disappunto di Marescalchi che cercò, invano, di emularlo. Il 20 gennaio 1802 la Consulta straordinaria di Lione votò per formare la Commissione dei trenta, la quale avrebbe avuto il compito di nominare il presidente e i corpi governativi della neonata Repubblica. Serbelloni fu eletto con 63 voti, mentre il 22 gennaio ne ricevette 7 per il Gran Consiglio e il 26 gennaio fu nominato nella Consulta di Stato della Repubblica Italiana. Negli ambienti politici si vociferò anche che egli volesse contendere la carica di vicepresidente della Repubblica Italiana a Melzi d’Eril, e non tanto attraverso strategie politiche, quanto «a forza di arrosti e di intingoli» (F. Melzi d’Eril, Memorie, documenti e lettere..., cit., I, p. 577).
Serbelloni morì a Milano pochi mesi dopo il suo ritorno in patria, il 7 maggio 1802, lasciando un immenso patrimonio che fu spartito tra i fratelli e l’unica figlia, Maria Luigia, sposata al marchese Lodovico Busca Arconati Visconti.
Fu sepolto nella cappella gentilizia di Gorgonzola e impose per testamento la costruzione di un ospedale e di una nuova chiesa a Gorgonzola. Al duca si deve anche la costituzione dell’archivio familiare che egli seppe arricchire di importanti filze archivistiche, incunaboli ecc. grazie alla carica da lui coperta in età asburgica di soprintendente dell’Archivio storico.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Fondo Serbelloni, ser. II, cartt. 1-12; Archivio Marescalchi, cart. 42; Correspondance de Napoléon Ie publiée par l’ordre de l’Empereur Napoléon III, I, Paris 1858, pp. 477, 717; Archivio storico civico di Milano (ASCMi), Fondo Sola Busca, carte Serbelloni, cartt. 1-6, 33, 45, 79-88; Dicasteri, cart. 191; F. Melzi d’Eril, Memorie, documenti e lettere inedite di Napoleone I e Beauharnais, raccolte e ordinate da G. Melzi, I-II, Milano 1865, I, pp. 377 s., 577, II, pp. 29 s.; Assemblee della Repubblica cisalpina, a cura di C. Montalcini - A. Alberti, I, 1-2, Bologna 1917, pp. 4, 31, 36, 42, 53 s., 57 s., 110, 117, 148, 209, 244, 324 s., 331, 436; I Comizi nazionali in Lione per la Costituzione della Repubblica italiana, a cura di U. Da Como, I-III, Bologna 1934-1940, s.v.; I carteggi di Francesco Melzi d’Eril duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, I-IX, Milano 1958-66, s.v.
C. Manaresi, La famiglia Serbelloni, in Studi in onore di Carlo Castiglioni, Milano 1957, pp. 361-387 (in partic. pp. 377 s.); C. Zaghi, Il trattato di alleanza e di commercio tra la Repubblica francese e la Repubblica Cisalpina, in Archivio storico lombardo, CXVI (1990), pp. 167-247; F. Cerini, Una famiglia e un patrimonio: i Serbelloni tra Settecento e Ottocento, in Storia in Lombardia, 1994, n. 2, pp. 5-42 (in partic. pp. 15 s., 21-27); L. Gagliardi, Tra politica dell’equilibrio e «nuova diplomazia»: la missione dei deputati milanesi presso il Direttorio della Repubblica francese (1796-1797), in Con la ragione e col cuore. Studi dedicati a Carlo Capra, a cura di S. Levati - M. Meriggi, Milano 2008, pp. 426 s., 432, 434, 437, 439, 440, 442; K. Visconti, L’ultimo Direttorio. La lotta politica nella Repubblica cisalpina tra guerra rivoluzionaria e ascesa di Bonaparte 1799-1800, Milano 2011, s.v.