CATALANO (Catalani), Gian Domenico
Nato a Gallipoli (Lecce), operò come pittore tra il 1604 e il 1628. Queste, in sintesi, le sole notizie accertate su colui che fu senza dubbio il protagonista della vicenda artistica salentina a cavallo dei due secoli e di cui rimangono ignote le date di nascita e di morte, le vicende, la formazione. Un solo documento, rintracciato nella parrocchia di S. Agata della città natale, aggiunge a queste scarne notizie il nome di un figlio, battezzato il 6 dic. 1599 col nome di Giovan Pietro, e quello della moglie, Persia Lombarda. Gli altri dati sono desunti dalle firme apposte ad alcuni dei suoi quadri: il Martirio di s. Andrea della parrocchiale di Presicce, del 1604, in cui si dice gallipolino, il S. Carlo Borromeo in S. Maria degli Angeli a Lecce, il S. Francesco della chiesa di S. Nicola a Squinzano, del 1613, il Trittico della Assunta nella chiesa di S. Nicola della stessa città, datato 1614. A una Madonna con s. Antonio e angeli nella chiesa dei minori osservanti di Minervino di Lecce è legata invece la data più recente riferibile al pittore: 1628. Un altro dipinto, raffigurante l'Assunta, nella chiesa dei teatini a Lecce, ne tramanda, a quanto vuole la tradizione, l'autoritratto.
Vaghe e contraddittorie anche le notizie desunte dagli storici locali, che ne fanno oscillare la data di nascita tra il 1598 e il più probabile 1550, indicando come luogo della sua formazione artistica ora Venezia, ora Napoli, ora addirittura la Lombardia. Contrasta con tanta povertà di dati la quantità di suoi dipinti sparsi in tutto il Salento, testimoni di una attività intensa, continua e prolugata nel tempo, che dovette fruttare al pittore una notevole fama. E concordi su questo punto sono tutti i cronisti e gli storici locali, che celebrano il C. come "eccellente pittore", dal "pennello d'oro",conteso da vescovi e priori, circondato da una fiorente scuola di cui pare facesse parte lo stesso figlio Giovan Pietro.
Scaturisce, da questo quadro apparentemente contraddittorio, il ritratto di un uomo dalla vita semplice e senza avventure, completamente dedito all'attività di pittore chiesastico che per lunghi anni svolse dentro i confini angusti della penisola salentina: a Gallipoli, dove le sue tele decorano le chiese del Carmine (Pietà),di S. Domenico (Annunciazione, Circoncisione, Assunta), di S. Francesco (Annunciazione, Assunzione, Circoncisione, S. Diego), di S. Chiara (Annunciazione, Natività, Crocefisso), di S. Maria degli Angeli (Madonna e angeli), per non parlare della famosa Madonna coi ss. Giovanni e Andrea della cattedrale; a Lecce, dove basta ricordare, tra tante, le tele della cattedrale (Madonna con Bambino e angeli), della chiesa dei teatini (Vergine dell'Aiuto, Assunta), di S. Francesco di Paola, di S. Irene. E poi nei centri minori periferici (Presicce, Alezio, Galatina, Scorrano, Squinzano, Taviano) dove la sua maniera piacevole, aggraziata, ma spesso uniforme sino alla monotonia, si riconosce in tutta una serie di pale d'altare di chiese per lo più conventuali.
Oscuri rimangono gli antefatti di questi anni senza storia, i decenni decisivi della formazione che il silenzio delle carte e la mancanza di opere fanno supporre si sia svolta lontano dalla terra natale, quasi certamente tutta nell'ambiente tardo-manieristico della Napoli dell'ultimo Cinquecento. A Napoli il C. dovette recarsi al seguito di un altro pittore salentino che la tradizione locale indica come suo primo maestro, Gianserio Strafella da Copertino. Traccia di questa comune esperienza napoletana si troverebbe, secondo alcuni (D'Elia), negli affreschi della cappella di Somma in S. Giovanni a Carbonara, iniziati probabilmente dallo Strafella e terminati, presumibilmente dopo la morte del maestro (1577 circa), dal C. e da altri suoi compagni pugliesi. Certo, le più antiche opere datate del pittore gallipolino, il Martirio di s. Andrea di Presicce e l'Andata al Calvario, di Scorrano rivelano indiscutibilmente la loro dipendenza da un particolare tipo di manierismo, comune all'ambiente napoletano e a quello spagnolo, oscillanti come sono tra i ricordi del Roviale, tanto caro anche allo Strafella, e i riflessi del cupo espressionismo di Polidoro. Più tardi il C. abbandonerà questa vena cupamente pietistica e perseguirà più gradevoli effetti innestando sul più remoto sostrato nuovi apporti dal Curia, da Marco Pino e infine dal Borghese e dall'Imparato; frutto di rinnovati fuggevoli contatti con l'ambiente napoletano o più facilmente di un aggiornamento di seconda mano, operato sulle opere che dalla capitale affluivano in Puglia. Ma si tratterà al massimo di un ammodernamento superficiale degli schemi iconografici e del formulario tipologico, senza alcuna reale incidenza sulla maniera del pittore che, sordo ad ogni voce di rinnovamento, rimarra per tutta la vita fedele alla sua prima e forse unica esperienza artistica.
Bibl.: G. C. Infantino, Lecce sacra, Lecce 1634, pp. 7, 83, 94; L. Franza, Colletta istor. e trad. anticate sulla città di Gallipoli, Gallipoli 1835, pp. 57, 67, 70 s., 74 s.; B. Ravenna, Mem. ist. della città di Gallipoli, Napoli 1836, p. 330 e passim; C.Villani, Scritt. ed artisti pugliesi antichi moderni e contemp.,Trani 1904, pp. 1234 s.; G. Gigli, Il tallone d'Italia, Bergamo 1912, p. 36; C. Foscarini, G.D.C., in Fede, III (1925), pp. 99 ss.; P. Marti, Architetti, pittori e scultori fino a tutto il sec. XIX, in Il Salento, XXXI(1927), p. 34; M. D'Orsi, Mostra retrospettiva degli artisti salentini (catal.), Lecce 1939, p. 11 (rec. di E. Scarfoglio Ferrara, in Rinascenza salentina, VII[1939], pp. 2 ss.); V. Liaci, Un geniale pittore salentino, in Rinascenza salent., X (1942), 2-3, pp. 123-26; M. D'Elia, Mostra dell'arte in Puglia...(catal.), Roma 1964, pp. 138-141; L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, Lecce 1964, p. 116; M. Paone, Curiosità storiche salentine, in Studi salentini, XXIV(1966), pp. 292 ss.; Id., Un dipinto inedito di G.D.C. in Lecce, ibid., pp. 391-394; M. S. Calò, La pittura del Cinquecento e del primo Seicento in Terra di Bari, Bari 1969, p. 170.