Gian Burrasca
Un piccolo eroe scapestrato
Tra il 1907 e il 1908 Gian Burrasca irrompe con le sue monellerie sul Giornalino della domenica, il giornale per bambini rimasto famoso per la bellezza delle illustrazioni. La serie delle puntate fu poi raccolta dall'autore, Luigi Bertelli, che firmò col nome di Vamba uno dei più divertenti libri per ragazzi: Il giornalino di Gian Burrasca
Se è vero che i soprannomi hanno senso, perché definiscono meglio l'identità di una persona, non si può certo dire che Gian Burrasca non sia azzeccato per Giannino Stoppani, ultimo nato in una tranquilla e benestante famiglia fiorentina, durante l'altrettanto tranquillo periodo storico dell'Italia al tempo di Giolitti. Con lui in giro, invece, non c'è mai da stare in pace: è capace di far esplodere camini, di nascondere anguille nel pianoforte, di pescare denti dalla bocca di signori decrepiti e appisolati, di distruggere a martellate orologi d'oro per fare giochi di prestigio. E si può cercare in ogni modo di tenerlo a bada, di rinchiuderlo in camera per punizione, di fargli saltare la cena, ma non c'è niente da fare: Gian Burrasca è sempre pronto a scappare dalla finestra, a mangiare dolci di nascosto, ad architettare gli scherzi più diabolici. E a raccontare le sue prodezze è proprio lui nel Giornalino, che praticamente è il suo diario segreto.
Non che sia cattivo; Giannino non vuole fare del male a nessuno ma ha un nemico da combattere: la noia. Non è mica facile spassarsela in una casa dove sono tutti grandi e nessuno ha mai tempo per giocare, ma tutti ce l'hanno per dire cosa non si può e non si deve fare.
E a scuola non è certo meglio. Si può forse sopravvivere se si ha un minimo di spirito di avventura, se non si riesce a stare fermi più di cinque minuti, se si è sempre in cerca di sorprese? Il povero Giannino non ha oceani da attraversare, non ha giungle da esplorare, non ha pirati da combattere e deve in qualche modo arrangiarsi.
Ecco che allora si rifà al matrimonio di una delle sorelle, legando alla coda del frac del novello sposo un innocuo fuoco d'artificio, col rischio d'incendiare lui e il Municipio intero. Oppure s'inventa il gioco dello schiavo: coinvolge la piccola Maria, le tinge di scuro la faccia, le taglia tutti i ricci, la porta fuori di casa e la molla da sola per strada. Immaginatevi i pianti e la disperazione della bambina, e gli scapaccioni che ben presto arrivano.
Eppure a Giannino non sembra di fare niente di male: sono solo giochi, piccoli scherzi. E non è colpa sua se spesso questi si trasformano in disgrazie. Gli adulti li chiamano birbanterie e credono che lui lo faccia apposta. Ma in realtà non lo capiscono. Ed è proprio questo il tema più importante del libro: ragazzi e adulti sembrano non capirsi mai. È come se vedessero il mondo con lenti diverse e ognuno si regola a modo suo. Prendiamo l'esempio più eclatante: gli adulti dicono che bisogna sempre dire la verità; Gian Burrasca obbedisce ma per questo combina sempre guai. Perché non bisogna dire alla zia Bettina che è meglio che torni a casa sua perché è insopportabile e rischia di rovinare le feste con i suoi vestiti ridicoli? Tutti in casa lo pensano ma nessuno lo dice! Per fortuna ci pensa Giannino. O ancora: perché non dire direttamente al vecchio signor Venanzio che tutti aspettano la sua morte per ricevere l'eredità? E che siccome non si decide mai a morire lo chiamano "vecchio spilorcio, sordo rimbambito, spedale ambulante"? Anche in questo caso è il nostro eroe che si sacrifica e dice la verità. Potete immaginare le conseguenze.
Il fatto è che spesso i grandi dicono una cosa e ne fanno un'altra: "È inutile: il vero torto di noi ragazzi è uno solo: quello di pigliar sul serio le teorie degli uomini … e anche quelle delle donne! In generale accade questo: che i grandi insegnano ai piccini una quantità di cose belle e buone … ma guai se uno dei loro ottimi insegnamenti, nel momento di metterlo in pratica, urta i loro nervi, o i loro calcoli, o i loro interessi!".