PARAVICINI, Gian Antonio
PARAVICINI (Paravicino), Gian Antonio. – Nacque a Sondrio il 17 gennaio 1588 da Orazio e da Caterina Pusterla, «nobili di schiatta, catolici di professione, e ben inclinati di virtù», come ebbe a definirli egli stesso nella sua opera La Pieve di Sondrio (a cura di T. Salice, Sondrio 1969, p. 15).
I conflitti di religione, che minarono quest’area nevralgica sul confine della Lombardia asburgica governata dai Grigioni protestanti, condizionarono anche la storia della famiglia Paravicini favorendo la conversione di alcuni membri alla fede riformata e diffondendo al suo interno preoccupazione e tensioni, soprattutto durante i tragici eventi valtellinesi di inizio Seicento.
Paravicini si avviò alla formazione ecclesiastica nel 1597, «non so se per curiosità giovanile o per divina vocazione» (p. 16), ebbe a confessare, e ricevette la tonsura il 15 marzo del 1603. Compì gli studi di umanità e retorica a Sondrio, poi si recò a Como nel locale collegio dei gesuiti e infine a Milano, presso il Collegio elvetico, per seguire i corsi di filosofia e teologia e ricevere la preparazione necessaria per affrontare gli impegni pastorali che lo videro protagonista in Valtellina. Si laureò in teologia a Pavia nel 1612. Nel frattempo prese i voti minori, cui seguì il diaconato il 17 dicembre 1611. Venne infine consacrato sacerdote il 22 dicembre 1612.
Già a novembre, dopo una breve esperienza come rettore del santuario della Madonna di Tirano, fu inviato dal vescovo di Como, Filippo Archinto, a reggere la parrocchia di Poschiavo, di circa 2500 abitanti, un quarto dei quali protestanti. «La parrocchia era paritetica: nella stessa chiesa di S. Vittore funzionavano, a orari distinti, sia il parroco cattolico sia il ministro protestante» (p. 19).
Nel 1616 divenne rettore di Montagna, mentre andava incrinandosi il delicato equilibrio religioso tra cattolici e protestanti. Dopo la condanna a morte dell’arciprete di Sondrio, Nicolò Rusca (1618), costretto il fratello Bartolomeo Rusca, già destinato alla successione, a riparare a Lugano, la comunità cittadina, su richiesta del potere civile grigionese, procedette all’elezione del successore nella persona di Paravicini (aprile 1619), confermata dalle autorità ecclesiastiche tra il dicembre 1619 e l’aprile 1620 dopo la definitiva rinuncia al beneficio da parte di Bartolomeo. Di lì a pochi mesi Paravicini dovette assistere ai drammatici eventi della strage del Sacro Macello. L’assassinio dell’arciprete di Sondrio, per il quale il padre Orazio e il fratello maggiore, Nicolò, avevano svolto funzioni rispettivamente di avvocato e notaio, le violenze cattoliche contro i riformati (luglio 1620) e la difficile congiuntura dei decenni successivi lo segnarono in profondità.
L’intento dei rivoltosi era innanzitutto quello di eliminare zwingliani e calvinisti, colpevoli dei moti anticattolici di inizio Seicento. Vi era inoltre l’obiettivo politico, se non dell’indipendenza, almeno dell’annessione della Valtellina alla Lombardia spagnola o, in alternativa, dell’affidamento della Valle e delle sue fortezze all’autorità papale. Obiettivi ben presto vanificati non solo dalla politica di Filippo IV – incline ad ascoltare, nello scontro tra teologi di opposte fazioni, le idee di coloro che, pur di salvaguardare la fede cattolica in Valtellina, erano disposti ad accordarsi con i Grigioni – ma anche dalla moderazione manifestata nella circostanza dal pontefice, Paolo V, interessato a salvaguardare «la pace et unione tra Prencipi catholici, massime in Italia» e dunque sollecito verso i valtellinesi perché trovassero «i modi di poter facilitare la concordia» (Signorotto, 1998, p. 127).
La famiglia Paravicini rimase ampiamente coinvolta in quelle vicende, svolgendo Paravicini e i fratelli, Nicolò e Francesco, funzioni importanti tanto nelle trattative diplomatiche condotte a nome dei valtellinesi quanto nelle successive attività amministrative. Lo stesso Paravicini, su incarico del clero valtellinese, si recò a Roma nel 1621 con il diplomatico Gian Giacomo Paribelli (in occasione del trattato di Madrid del 25 aprile, con cui Filippo IV promise la restituzione della Valtellina ai Grigioni in cambio del perdono dei rivoltosi e dell’abolizione dei decreti di Davos del 1617). Contrario a tale strategia, Paravicini dovette provare non poca delusione anche di fronte all’atteggiamento del papa: «si sparse allora la voce che il pontefice […] ne li rampognasse perché, a suo dire, trattandosi d’affari di religione, non avessero dipenduto dall’apostolica sede»; se avessero invece trattato la questione con i cardinali veneti e francesi «il tutto sarebbe fatalmente sventato» (Romegialli, II, 1834, p. 277).
Fu in quella occasione, per fuggire un beneficio «che portava la cura di un infinito popolo […] di catolici et eretici, disperso per lontane e scoscese montagne», in un territorio che rischiava di diventare «un’altra inquieta Fiandra» (La Pieve di Sondrio, cit., p. 123), che Paravicini chiese al pontefice la grazia dell’arciprebenda di Balerna, non lontana da Chiasso, «ricca di frutti, poca di cura, facile di governo, pura da eresia, amena di sito», ideale insomma per «quivi ripormi in tranquillo e felice stato» (p. 124); ma Gregorio XV riuscì a dissuaderlo. La conversione degli eretici e la mancanza di sacerdoti obbligati nella cura furono per Paravicini, come per altri colleghi nella medesima condizione, motivo di preoccupazione costante, al punto da indurlo a ipotizzare di nuovo l’abbandono della cura l’anno successivo, sentitosi tradito dall’arcivescovo Federico Borromeo che aveva destinato a Poschiavo lo «scolastico e capellano» di cui Paravicini sentiva invece «urgente bisogno» a Sondrio (nel 1622 vi risiedevano trecento famiglie di eretici): «il che – confidava al cardinale milanese – mi dà sì gran pena che son quasi per rinunciar e deponer il peso» (lettera a F. Borromeo, 9 aprile 1622, in Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., G.235 inf, c. 207).
Nonostante le manifeste difficoltà, il ministero di Paravicini a Sondrio si protrasse fino al 1653, tra missioni diplomatiche – si portò di nuovo a Roma nel 1623, inviato dal consiglio reggente valtellinese nell’ennesimo tentativo di sottomettere la valle al papa – e attività pastorale.
Sullo sfondo incombevano le vicende della Guerra dei Trent’anni, che in questa regione ebbero conclusione con la firma del Capitolato di Milano del 1639: la sovranità sulla Valtellina tornava definitivamente alla Repubblica delle Tre Leghe, la Spagna veniva favorita «per il passaggio di truppe, […] la religione protestante […] bandita, la giurisdizione ecclesiastica […] ristabilita, con l’eccezione del Sant’Uffizio». Ciò non eliminò del tutto la presenza dei protestanti: del resto, ridotti nel numero, «non intralciavano la giurisdizione del vescovo e neppure ostacolavano la presenza del clero regolare» (Signorotto, 1998, p. 136).
Come arciprete Paravicini cercò faticosamente di introdurre tra il clero comportamenti più consoni alle direttive tridentine, in particolare il rispetto dell’obbligo di residenza e l’impegno pastorale. Lavorò per rendere obbligatoria la collaborazione dei canonici della chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio, «sola parrocchiale della comunità di Sondrio, […] sola collegiata nella pieve, e sola, di quella, plebana» (La Pieve di Sondrio, cit., p. 65), all’attività di cura d’anime, tanto più necessaria viste le caratteristiche del territorio e la presenza eretica. Nelle sue missioni romane, per favorire i «soggetti della patria» (p. 107), cercò costantemente di ottenere rassicurazioni e grazie sul diritto di nomina (privato o comunitario) ai benefici canonicali della collegiata, altrimenti appetiti «da cortiggiani e persone che non sarebbero mai venute» a risiedere, «sotto pretesto che non constasse d’obligo di residenza nei Canonicati nostri» (p. 124); e si impegnò per limitare le pensioni che su quelli gravavano.
Nel giugno del 1623 fu eletto dal vescovo Desiderio Scaglia vicario foraneo per la Valtellina e Bormio, ma depose l’impegno alla fine dell’anno, giudicandolo troppo gravoso. Ciò non gli impedì di partecipare alla visita pastorale del 1624 a fianco del vescovo di Germanicia (Patriarcato di Antiochia), Sisto Carcano, domenicano, e del canonico Luigi Odescalchi; nel 1627 fu ancora a Roma per incarico della comunità di Sondrio, decisa a ottenere il diritto di patronato sui canonicati e l’arciprebenda, «beneficio grosso» del valore di 800 scudi che secondo il papa non era però consigliabile fosse lasciato in mano ai laici (p. 107): un diritto di fatto esercitato dalla comunità, nonostante l’antichissima collegiata fosse ufficialmente di nomina vescovile. Nel 1629 visitò di nuovo le comunità della valle al seguito di Lazaro Carafino, vescovo di Como, e promosse l’attività missionaria dei padri barnabiti, «per catechizzare gl’eretici convertiti» (p. 277). Sempre nel 1629 partecipò alle trattative con il capitano di Bergamo Marcantonio Morosini per il libero commercio della Valtellina con Venezia, fallite per «lo strepito» fatto «dall’ambasciatore francese in Senato» (p. 277).
Tali esperienze furono messe a frutto da Paravicini nella relazione sulla Chiesa valtellinese commissionatagli dal nunzio Giovan Pietro Carafa, alla base del suo scritto più importante, lo Stato della Pieve di Sondrio, straordinariamente ricco di informazioni e dati biografici, redatto probabilmente verso il 1636 (cfr. La Pieve di Sondrio, cit., pp. 281, 284).
Nel 1653 Paravicini divenne vescovo di Santa Severina in Calabria, lasciando l’arcipretura di Sondrio nelle mani del fratello Francesco.
Morì a San Severina il 17 novembre 1659.
Fonti e Bibl.: G. Romegialli, Storia della Valtellina e delle già contee di Bormio e Chiavenna, I-V, Sondrio 1834-1844 (ristampa anastatica 2012), ad vocem, in particolare II, pp. 198 s., 244-77, III, p. 24; P. Gauchat, Hierarchia catholica medii et recentioris ævi, IV, Monasterii 1935, p. 314; T. Salice, L’autore e i suoi tempi, introduzione a La Pieve di Sondrio… cit., pp. 11-60 (il volume è on-line, http://www.mgh-bibliothek.de/ dokumente/b/b021016.pdf); M.A. Carugo, Tresivio: una pieve valtellinese tra riforma e controriforma, Sondrio 1990, ad vocem, in particolare pp. 358-367; G. Signorotto, Lo Stato di Milano e la Valtellina, in La Valtellina crocevia dell’Europa. Politica e religione nell’età della guerra dei Trent’anni, a cura di A. Borromeo, Milano 1998, pp. 111-139.