VICARI, Giambattista
– Nacque a Ravenna il 23 luglio 1909, da Primo, impiegato privato, e da Emilia Rosa Righini, casalinga.
Nella sua città natale frequentò il liceo classico e il 26 novembre 1933 sposò Iole Miccoli. Successivamente, il 14 novembre 1934, si laureò in giurisprudenza a Bologna. Negli anni giovanili cominciò a occuparsi di letteratura: aderì al fascismo, dirigendo nel 1934 il giornale della federazione fascista di Ravenna, Santa Milizia, testata per la quale nello stesso anno creò, insieme con l’amico Fidia Gambetti, il supplemento Terza pagina.
Diventato il più giovane federale d’Italia, fu tuttavia radiato dal Partito nazionale fascista (PNF) dopo pochi mesi. A Ravenna, mentre si manteneva con un impiego in banca, pubblicò per le Edizioni Sterm una guida tratta da Terza pagina (Guida di Ravenna e altre passeggiate incompiute, Ravenna 1934), in cui tracciava itinerari inconsueti per i futuri visitatori della sua città. Nel 1938 si trasferì a Roma con la madre e la sorellastra più giovane Maria Teresa Giardini e, dopo poco, entrò come redattore al Meridiano di Roma, rivista fondata due anni prima da Pietro Maria Bardi e diretta da Giovanni Battista Angioletti.
Il periodico raccoglieva l’eredità della Fiera letteraria e dell’Italia letteraria ed era destinato a durare fino all’ottobre del 1943, rappresentando un organo ufficiale della stampa di regime. Nelle sue pagine apparvero tre articoli di Vicari: Il cacciatore canoro (V (1940), 43, 27 ottobre, p. 6), il racconto Colloquio sugli alberi e Geografia segreta (rispett. VI (1941), 5, 2 febbraio, p. 6, e 35, 31 agosto, p. 5).
Proprio in questo periodo Vicari entrò in contatto con Ezra Pound che aveva iniziato un’intensa collaborazione con il Meridiano di Roma, e tra il giovane giornalista e il poeta ormai affermato nacque un’amicizia e prese avvio una lunga e durevole corrispondenza. In quegli anni Vicari pubblicò i suoi primi consistenti interventi di critica letteraria.
Con il saggio Sembra letteratura. Pretesti di una vita letteraria (Roma 1939) affrontò – con lo pseudonimo Fruisti – il rapporto tra scrittura giornalistica e opera letteraria. Opponendosi tanto alla letteratura ermetica quanto a quella d’evasione si pose il problema della responsabilità del giornalismo nei confronti della letteratura: il giornale aveva assunto un’indubbia importanza nella vita letteraria per la sua capacità di orientarne i gusti e le mode, ma gli autori che scrivevano per i giornali erano inevitabilmente costretti a soddisfare le esigenze della stampa periodica, quotidiana o dei rotocalchi, rischiando di realizzare un’opera frammentaria e di compromettere il proprio stile.
Nel 1940 Vicari firmò un articolo, Quintessenza di una promessa, per la rivista bimestrale di letteratura e arte Ansedonia (II (1940), 1, aprile, pp. 23-28), fondata e diretta da Antonio Meocci nel 1938 a Grosseto. Alla rivista, oltre al condirettore Geno Pampaloni, collaboravano Giorgio Caproni, Libero Bigiaretti, Franco Fortini, Gianfranco Contini e Giovanni Battista Angioletti. La rivista venne trasferita a Roma nell’aprile del 1940, pubblicata dall’Istituto grafico tiberino, e il nome di Vicari vi tornò ad apparire nello stesso anno dapprima con un breve testo autobiografico (Gelosia, n. 2-3, giugno-agosto, pp. 50 s.), e quindi, qualche mese dopo, con un articolo intitolato Letteratura come guerra. (n. 4, ottobre-novembre, pp. 66-68). Nel 1941 la testata assunse il nome di Lettere d’oggi e a Vicari fu affidata la direzione, insieme a Giovanni Macchia. L’anno successivo Vicari affiancò alla rivista la pubblicazione di due collane, Collezione di romanzi brevi e Biblioteca minima tempus: la prima ebbe lo scopo di offrire una valida testimonianza della vitalità dell’odierna letteratura italiana, mentre la seconda fu riservata a saggi e racconti.
Nella Collezione uscirono La spiaggia di Cesare Pavese, Una educazione sbagliata di Enrico Emanuelli, Esterina di Bigiaretti, L’abito verde di Enrico Morovich, Berthe in riva al fiume di Renato Giani, La gioventù perduta di Beniamino dal Fabbro e per ultimo Il cortile dello stesso Vicari, romanzo breve in cui un ragazzo racconta in prima persona la propria adolescenza vissuta in un periodo triste, difficile da narrare, trascorsa in un luogo umido e chiuso, quale l’opprimente cortile del titolo. Nella Biblioteca comparvero, invece, Viaggio in Grecia di Mario Praz, Carta da visita di Ezra Pound (riflessioni di economia e politica in trentadue frammenti scritti direttamente in italiano), seguiti poi da Giorni sul fiume di Edilio Rusconi, Il pedaggio si paga all’altra sponda di Carlo Bernari, Delitto sullo scoglio di Manlio Cancogni, e Giorni aperti di Giorgio Caproni. Non mancarono alcune traduzioni, fra cui Un cuore semplice di Gustave Flaubert, Il manichino tragico di Ludwig Achim von Arnim, Suggestions di Edgar Allan Poe e Oceanografia del tedio di Eugenio D’Ors. E infine, fuori collana, il racconto d’ispirazione autobiografica Il libro dei sogni di Vicari del 1942.
Nel 1943 Lettere d’oggi terminò le pubblicazioni. Vicari era arruolato come tenente degli alpini, destinato in Piemonte. Riprese la rivista nel 1946 insieme con Niccolò Gallo, ma dovette chiudere definitivamente nell’agosto del 1947. Vicari iniziò, allora, la collaborazione come critico letterario con La settimana Incom; lavorò anche a Il Lavoro illustrato e Il Giorno illustrato, ad alcuni programmi radiofonici ed entrò nella redazione di Momento sera.
Impegnato nelle diverse collaborazioni giornalistiche, Vicari avvertì l’esigenza di partecipare al dibattito sui compiti, sulle funzioni, sull’impiego politico della letteratura che investiva la cultura italiana negli anni del dopoguerra.
Già all’inizio del 1947, nel breve periodo della ripresa di Lettere d’oggi, Vicari vi aveva pubblicato un articolo (Letterati e uomini, n. 1-2, gennaio-febbraio, p. 1) in cui aveva sottolineato la necessità di un rinnovamento della letteratura, rifiutando l’antitesi tra le due proposte degli ermetici che rivendicavano la purezza dell’arte e la sua estraneità all’impegno politico e civile, e dei neorealisti che auspicavano una letteratura capace di riflettere la realtà quotidiana nelle sue tensioni sociali. Non appariva comunque chiara quale dovesse essere la direzione da seguire.
Alla luce dell’immagine di letteratura che andava lentamente elaborando, Vicari, nel marzo del 1953, fondò Il Caffè: rivista con cadenza mensile, poi bimestrale, che sembrava cercare per tentativi progressivi una propria linea culturale.
Proprio al principio di questa avventura, separatosi (senza divorziare) dalla moglie, Vicari conobbe Ida Busetto dalla quale ebbe due figli: Andrea (nato il 1° luglio 1960) e Anna (nata il 2 ottobre 1962). Tra i suoi hobby c’erano le auto veloci, che gli permettevano di raggiungere in pochissimo tempo il suo buen retiro, la casa di campagna situata vicino a Urbino dove, quando non era a Roma, amava trascorrere il suo tempo insieme con Busetto, che dirigeva un’azienda agricola, e i figli.
Nei primi anni la rivista uscì con un’impaginazione simile a quella dei quotidiani, offrendo l’immagine del tipico prodotto del giornalismo di attualità. Gli articoli anonimi sembrano scritti interamente da Vicari. Il tono è umoristico, satirico e bizzarro ed emerge un atteggiamento scanzonato che riprende i modi di un dandismo un po’ provinciale. Tuttavia Vicari, fin dall’inizio, si impegnò nell’affrontare le tematiche più rilevanti che animavano il dopoguerra. Affrontò così la questione del neorealismo, aprendo un dibattito in cui intervennero, rispettivamente, Raffaello Brignetti (II (1954), 7, ottobre, p. 22), Angelo Romanò (8, novembre, pp. 23-25) e Domenico Rea (9, dicembre, pp. 9-12). Vicari evitò di schierarsi (ibid., 7, ottobre, p. 22) limitandosi a riaffermare l’esigenza di aprirsi a tutti i tentativi di rinnovamento.
La ricerca, lo stimolo, l’accoglienza della novità delle proposte e dei più diversi esperimenti, senza preclusioni preconcette, sembrò diventare la linea direttrice della pubblicazione, che nel 1956 si trasformò in rivista vera e propria, con un nuovo formato cui corrispondeva la scelta di dedicarsi alla letteratura satirica, eccentrica e grottesca.
Sulle sue pagine trovarono spazio testi e presentazioni critiche di una serie di figure e letterati stranieri: da Jules Laforgue a Roger Vitrac, da Christian Morgenstern a Michel de Ghelderode, e poi ancora Jorge Luis Borges, Roger Caillois, Fernando Arrabal, Jean Cocteau, Günter Grass. Tra il 1958 e il 1960 Il Caffè si aprì al teatro dell’assurdo, pubblicando testi di Eugène Ionesco, Arthur Adamov, Samuel Beckett e Jean Tardieu.
In questo clima Vicari sembrò rinnovare i propri punti di riferimento nella considerazione della letteratura italiana contemporanea. Pubblicò L’incendiario di Aldo Palazzeschi (X (1962), 3, giugno, pp. 25-28) e una costellazione di autori italiani e stranieri tutti impegnati puntualmente non solo in testi densi di motivi onirici e irreali, ma più precisamente in racconti ispirati allo humour nero.
La rivista ospitò anche due interventi di Anna e Martino Oberto, fondatori di Ana Eccetera, una tra le prime voci sperimentali che contribuì ad aprire la strada alla poesia concreta e visiva in Italia: il primo intervento era un saggio su Ezra Pound (La scrittura cinese come mezzo di poesia, VII (1959), 1, gennaio, pp. 27-31), cui seguì la presentazione del Manifeste de la poesie lettriste di Isodore Isou (VIII (1960), 4-5, aprile-maggio, pp. 32-37). Poi con estremo tempismo Il Caffè si interessò allo svolgimento dell’invenzione oulipista, ospitando nel 1961 i lavori di Raymond Queneau tra cui Zazie nella sua più giovane età (IX (1961), 6, dicembre, pp. 4 s.) e di Jean Lescure Il metodo del discorso (ibid., pp. 31-40).
In questa particolare attenzione alle proposte di rinnovamento apparve del tutto naturale ritrovare tra i collaboratori del Caffè gli aderenti al Gruppo 63, la formazione che in quegli anni, nei tentativi di ricerca e di trasformazione del panorama letterario italiano, riuscì ad assumere una posizione consapevole e definita. Oltre agli esperimenti linguistici di Alberto Arbasino e Nanni Balestrini, vennero ospitati nella rivista testi di Edoardo Sanguineti, Elio Pagliarani e Umberto Eco. Alla fine degli anni Sessanta emersero i temi della nascente cultura della contestazione e veniva affrontato il rapporto tra satira e realtà politica in un dibattito in cui intervennero, tra gli altri, Italo Calvino e Giorgio Manganelli.
La carica di invenzione e di provocazione della rivista Il Caffè sembrò esaurirsi nel corso degli anni Settanta. Mentre veniva riesumato lo spirito goliardico che aveva caratterizzato larga parte delle sue pagine nel primo periodo di vita, la pubblicazione assunse l’immagine di un prodotto culturale raffinato e terminò con il numero 3 del 1977.
Morì, a Roma, il 23 marzo del 1978.
Dopo la sua scomparsa, alcuni tra i collaboratori più vicini alla rivista tentarono di mantenerla in vita. Vennero pubblicati ancora tre numeri fino al 1981.
Nei ventiquattro anni di vita del Caffè Vicari, oltre agli innumerevoli interventi sulla rivista (tra cui, particolarmente importante, Il frontespizio di marmo, V (1957), 3-4, luglio-agosto, pp. 60-64, in risposta all’articolo di Pier Paolo Pasolini, La libertà stilistica, apparso in Officina, II (1957), 9-10, giugno, pp. 341-346), si impegnò nella pubblicazione di diversi suoi lavori. Al saggio di stampo critico sociologico Editoria e pubblica opinione (Roma 1957), fecero seguito, per Rizzoli, la cura dell’antologia Umoristi del Novecento (Milano 1959, con prefazione di A. Bertolucci) e di Umoristi di tutto il mondo (Milano 1963), nonché un libro di brevi saggi in cui erano presenti i principi dell’estetica dell’eccentrico e dello sperimentalismo (La smorfia letteraria, Parma 1968). Nel 1971 esaminò il dibattito culturale della fine degli anni Sessanta in La letteratura fuori di sé (Ravenna, edito da Longo, con prefazione di L. Anceschi) e nel 1973 pubblicò, per lo stesso editore, La scrittura di giornale, ventiquattro appunti per una metodologia dell’espressione giornalistica. Negli anni Settanta s’impegnò, inoltre, anche nell’insegnamento presso la Scuola superiore di giornalismo di Urbino, dove fondò e diresse il Laboratorio di scrittura.
Fonti e Bibl.: F. Palmieri, Dialoghi con Gibì, Milano 1978; Le cerniere del colonnello, a cura di P. Albani, Firenze 1981; «Il Caffè» politico e letterario. Antologia (1953-1977), a cura di G. Fratini, Bergamo 1992; F. Palmieri, I satiri al «Caffè»: cronache di una rivista satirica in un’epoca tragica, Milano 1994; G. Manacorda, G. V., in Enciclopedia italiana, Appendice V, Roma 1995, pp. 759 s.; G. Tomasello, «Il Caffè» di G. V. Indice analitico, Roma 1996 [ma 1995]; E. Pound - G. Vicari, Il fare aperto: lettere 1939-1971, a cura di A. Busetto Vicari - L. Cesari, Milano 2000; A. Busetto Vicari, Il contropremio, Rimini 2009.