TODERINI, Giambattista (Giovanni Battista, Giovan Battista)
– Nacque a Venezia il 27 giugno 1728, terzogenito di quattro figli maschi, da Domenico Maria Toderini e da Anna Cestari.
Entrò l’11 ottobre 1743 nell’Ordine dei gesuiti, che «professo lo collocarono ad insegnare» (Moschini, 1806, p. 239) e si distinse come erudito e antiquario, come testimonia Jérôme Lefrançois de Lalande (1769), che ebbe modo di incontrarlo nel 1765 a Verona – dove Toderini entrò in contatto con Scipione Maffei – e di apprezzarlo come raccoglitore di medaglie. Il profilo intellettuale dell’abate non si riduce tuttavia ai tratti del ricercatore di reperti antiquari, mettendo in luce interessi tanto per vari argomenti scientifici quanto per la riflessione filosofica e morale.
Sul primo versante sono testimonianza alcune dissertazioni, di vario argomento, pubblicate nel 1770; la Dissertazione sopra un legno fossile, edita congiuntamente a una lettera Sull’indurimento di molti bachi da seta, datata Modena, 2 luglio 1767 e a un’altra lunga lettera Su l’aurora boreale, datata Modena, 15 febbraio 1770, indica tra l’altro la presenza di Toderini come membro dell’Accademia degli Icneutici di Forlì. A un’adunanza della medesima Accademia è da ricondurre anche la dissertazione dal titolo Filosofia frankliniana delle punte preservatrici dal fulmine (Modena 1771), in cui Toderini si dimostrava attento conoscitore dei problemi legati ai fenomeni elettrici atmosferici e in particolare degli apporti nuovi offerti da Benjamin Franklin e da Giovan Battista Beccaria (Proverbio, 2003, p. 673). Di quest’opera Toderini fece omaggio a Franklin, come documenta una lettera da Forlì del 15 agosto 1772 (The papers of Benjamin Franklin, 1975). Altre tre dissertazioni – su ‘due antichissimi alcolani’, sul ‘camaleonte di Smirne’ e su ‘l’andamento dei quadrupedi’ – furono pubblicate postume da Domenico Maria Toderini, nipote dell’autore (Tre dissertazioni dell’abate Giambattista Toderini veneto ex gesuita, Padova 1810), e sono un’ulteriore testimonianza dell’erudizione eclettica di questi. La prima era stata peraltro già pubblicata alla fine del secondo volume della sua opera maggiore, la Letteratura turchesca (pp. 173-224). Sul versante degli interessi eruditi possono collocarsi anche altri contributi di Toderini, come la dissertazione Sopra la costantiniana apparizione della croce (Venezia 1773), le Memorie intorno l’antichissima Scuola della Madonna de’ Mascoli (Venezia 1779) o l’Orazione per le esequie del doge Alvise IV Mocenigo (Venezia 1779).
Al versante della riflessione filosofica e morale è invece legato L’onesto uomo, ovvero saggi di morale filosofia dai soli principii della ragione (Venezia 1780).
Si tratta di una sintesi di principi basilari di morale cristiana, scritta con intenti divulgativi ma ricca di riferimenti che denotano vaste letture di filosofia antica e moderna; una sintesi che non mancava di attaccare direttamente la cultura illuministica e la tradizione di pensiero critico dei «dittatori della sapienza» (p. 25) che dall’epicureismo, passando per Michel de Montaigne, Niccolò Machiavelli o Benedetto Spinoza, arrivava a Claude-Adrien Helvétius e Voltaire. L’opera proponeva peraltro un esplicito apprezzamento per il pensiero Jean-Jacques Rousseau – a partire dalla citazione di apertura, tratta dalla terza ‘lettera dalla Montagna’, sul ruolo del Vangelo come guida della morale – come sostegno teorico di una ‘teologia naturale’ e di un connubio di ragione e religione che sono espressione del cattolicesimo moderato di Toderini. A ciò si aggiungeva l’apprezzamento del giudizio dello stesso Rousseau e di Montesquieu in merito alla critica del lusso (pp. 167 s.). Significativa appare inoltre l’attenzione (Ragionamento XVIII) al tema dei delitti e delle pene, e in particolare la critica dell’«instituzione barbarica» della tortura (pp. 192 s.), non estendendosi tuttavia a una contestazione per principio della pena di morte per le «colpe più fiere» (p. 201).
Al momento della pubblicazione dell’opera L’onesto uomo era tuttavia già intervenuto un evento traumatico che avrebbe condizionato il percorso biografico e intellettuale di Toderini come di molti altri confratelli, ossia la soppressione, nel 1773, della Compagnia di Gesù. Nel quadro delle attività che caratterizzarono l’esperienza di Toderini negli anni successivi a questo evento si collocano anche le ragioni che lo portarono a Costantinopoli, nell’ottobre del 1781, al seguito del bailo Agostino Garzoni e della consorte Pisana Quirini Stampalia. Fu questa opportunità che gli consentì di avviare la ricerca che lo avrebbe condotto alla realizzazione della sua opera più celebre e importante, la Letteratura turchesca che, rientrato a Venezia nel maggio 1786, pubblicò presso Giacomo Storti nel 1787.
Toderini stesso, nella Prefazione ci offre le informazioni principali che riguardano la genesi dell’opera, ricordando come da un iniziale interesse per la ricerca di codici latini e greci fosse passato ai manoscritti arabi e persiani e ai testi usciti dalla stamperia di Costantinopoli. Era pertanto maturata l’idea «di compilare la storia della Stamperia Costantinopolitana Turchesca, dando ragguaglio de’ libri tutti stampati, e quali fossero nelle lingue nostre tradotti, e quali traduzione de’ libri Europei, veduti, e letti», e infine «il pensiero di scrivere la Letteratura Turchesca, tentando di ragionare partitamente i loro Studj, le Accademie, le Biblioteche, e la Tipografia in Costantinopoli» (pp. n.n. ma III-IV). Impresa imponente, per la quale si rendeva necessario un vasto bagaglio di competenze orientalistiche e linguistiche che modestamente il Toderini, nella dedica ai Riformatori dello Studio di Padova, dichiarava di non possedere, anche se egli stesso ricorda nella Prefazione (p. [III]) il proprio impegno nell’avviarsi allo studio della lingua e della grammatica turche. Certo è che il suo lavoro non si sviluppò in modo isolato, ma si avvalse di estese collaborazioni con eruditi e studiosi europei e con le stesse autorità della Porta, alle quali Toderini si rivolse per risolvere problemi di particolare difficoltà; collaborazioni senza le quali l’opera, come onestamente riconobbe, non avrebbe potuto aver compimento.
La premessa principale e il significato complessivo di tutto il lavoro è possibile coglierli nella volontà esplicita di opporsi al «grandissimo error popolare» (I, p. 1) che imputava alla religione di Maometto – dalla quale ovviamente Toderini prendeva le distanze – l’ignoranza e il disprezzo per le lettere, opponendosi in particolare a François Baron de Tott e a molti altri che questo aspetto avevano messo in risalto. Riprendendo piuttosto la lezione di Barthélemy D’Herbelot, Stefano Assemani e molti altri esponenti dell’erudizione orientalistica europea, Toderini muoveva pertanto a una ricerca attenta e puntuale che ponesse nella sua luce reale l’estensione e importanza della letteratura turca e ne consentisse un’adeguata conoscenza. A questa premessa è connessa anche la sua critica del dispotismo come carattere essenziale del governo turco (ibid., p. 62). Se il governo ottomano rimaneva un «gran labirinto malagevole a penetrare» il suo carattere essenziale era quello proprio di una «teocratica polizia», che «mette grand’argine al dispotismo sovrano, che non rompa sopra le leggi, e li diritti della nazione» (p. 64). Toderini riprendeva in questo il giudizio di Luigi Ferdinando Marsili, il quale «vide questo errore», e di altri osservatori variamente presenti nel contesto europeo, anche se non erano i termini del discorso politico che lo interessavano in modo speciale quanto, appunto, la ricerca sulla cultura e la letteratura (Preto, 2013).
Al quadro complessivo della cultura turca in tutte le sue articolazioni disciplinari esposto nel primo volume – accurato e sistematico repertorio di informazioni che offriva molti contributi originali, ad esempio sul versante della musica (De Zorzi, 2013), su cui dialoga con il lodatissimo Juan Andrés, inserendone a questo proposito una lettera (G. Toderini, Letteratura turchesca, cit., I, pp. 249-252) – seguiva nel secondo volume un repertorio delle istituzioni culturali turche; undici accademie maggiori a Costantinopoli, oltre a scuole e istituti minori, e tredici biblioteche principali, accuratamente descritte, documentavano una vita culturale intensa. Nel terzo volume era infine ricostruita la storia della tipografia turca di Costantinopoli, con una sintesi di tutti i testi pubblicati dalle origini (1727) alla temporanea chiusura (1746), fino alla ripresa delle attività avvenuta nel 1784 per volontà del sultano Abdül Hamid I. Il faticoso reperimento di una copia del catalogo della biblioteca del Serraglio, inaccessibile ai visitatori stranieri e a lungo oggetto di grande curiosità da parte dell’erudizione europea soprattutto per la possibile presenza di codici latini, costituiva in questo quadro un apporto di particolare originalità, presentando il documento nel testo originale e in traduzione.
Intervallata da dissertazioni e contributi su vari argomenti di cultura e religione, l’opera si presentava come una summa di conoscenze sulla letteratura turca quale l’intera cultura europea non aveva avuto fino ad allora disponibile. L’accoglimento da parte dell’Europa dotta fu di conseguenza vasto e positivo. Le attese prodotte dalla pubblicazione del piano dell’opera, sulle Novelle letterarie di Firenze (1785, n. 9) e sul Journal des Savans (janvier 1785) erano pienamente mantenute dalla pubblicazione. Alle recensioni fecero presto seguito le traduzioni: francese, di Antoine de Cournand (Paris 1789); tedesca, di Philipp Wilhelm Gottlieb Hausleutner (Königsberg 1790); spagnola, rimasta tuttavia inedita, opera del gesuita cileno Narciso Bas. Nel contesto dei rapporti culturali tra Venezia e la Porta il contributo di Toderini, come è stato messo in evidenza (Paladini, 2007; Preto, 2013), fu sicuramente di singolare importanza, ma è soprattutto nel contesto europeo, in particolare quello proprio degli «ex-appartenenti alla Compagnia di Gesù, tra Francia, Spagna e Italia» (Venturi, 1984, p. 879), che la sua opera trova collocazione e merita di essere valutata, proponendosi come un risultato rilevante della ricerca orientalistica del tempo, pubblicato poco prima dell’uscita del grande Tableau général de l’Empire Othoman di Ignatius Mouradgea d’Ohsson. I suoi rapporti, solo in piccola parte documentati, con la rete europea di eruditi e orientalisti – da Lalande a Miguel Casiri, da Andrés a Girolamo Tiraboschi, a Francesco Antonio Zaccaria, per citare solo i nomi ricordati nella dedica della Letteratura turchesca – e la ricezione della sua opera, a partire dalle traduzioni, costituiscono un terreno di ricerca che tuttora merita indagini.
Il prestigio e l’autorevolezza acquisiti già prima della pubblicazione della Letteratura turchesca furono le ragioni che consentirono a Toderini di assumere la funzione – assegnatagli il 23 settembre 1786 (Archivio di Stato di Venezia, Riformatori dello Studio di Padova, f. 52, c. 244r) – di revisore pubblico per i Riformatori dello Studio di Padova, funzione che egli svolse con «eccezionale severità» (Berengo, 2009, p. 204), distinguendosi come «tenace avversario dei lumi» (Infelise, 1989, p. 375). Prova ne fu in particolare, nel 1788, l’intervento relativo alla Bibliothèque amusante di Vincenzo Formaleoni, la cui pubblicazione fu pertanto interrotta, dopo tuttavia che già erano state date alle stampe, senza che fossero apportate le censure richieste in fase di revisione – come Toderini illustrò in una Memoria del 15 marzo 1788 – opere come il Candide di Voltaire, «con tutti i tratti scandalosi e empi che io aveva cancellati» (Archivio di Stato di Venezia, Riformatori dello Studio di Padova, f. 52, c. 240v; Infelise, 1997).
Morì, dopo lunga malattia, il 4 luglio 1799, a Venezia, «dove soggiornava nella parrocchia de’ Ss. Appostoli» (Moschini, 1806, p. 240).
Fonti e Bibl.: Padova, Biblioteca civica, C.A. 1521/I-VII (lettere a Tommaso Obizzi); Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codici, Storia Veneta, Cittadinanze, Toderini, V, 8; Riformatori dello Studio di Padova, f. 52, cc. 236-241; Venezia, Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Ss. Apostoli. Morti, 18, f. 89; Verona, Biblioteca civica, Carteggi, b. 281 (due lettere a Benedetto Del Bene), b. 20 (due lettere ad Anton Maria Lorgna).
J.L. de Lalande, Voyage d’un françois en Italie, fait dans les années 1765 et 1766, VIII, Venise-Paris 1769, pp. 340 s.; G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a’ nostri giorni, II, Venezia 1806, pp. 239-241; Biografia universale antica e moderna, LVII, Venezia 1829, pp. 456 s.; Lettere inedite d’illustri italiani che fiorirono dal principio del secolo XVIII fino ai nostri tempi, Milano 1830: (in partic. ‘al P. Francesco Alessio Fiori’, pp. 407-412); C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VIII, Bruxelles 1898, pp. 57-59; The papers of Benjamin Franklin, XIX, January 1 through december 31, 1772, a cura di W.B. Willcox, New Haven-London 1975, p. 242; F. Venturi, Settecento riformatore, IV, 2, Torino 1984, pp. 878-880; M. Infelise, L’editoria veneziana nel ’700, Milano 1989, p. 375; Id., Formaleoni, Vincenzo Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma 1997, pp. 22-26; E. Proverbio, Giovan Battista Beccaria e l’insegnamento della fisica a Torino: i rapporti con Beniamino Franklin, le ricerche sull’elettricità e le prime applicazioni del parafulmine, in Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, LVIII (2003), n. 5, pp. 597-687; A. Gunny, Perceptions of Islam in european writings, Leicester 2004, pp. 186-195; F.M. Paladini, Bailaggio e ambasceria, scrittura di governo e narrazione, in Francesco Foscari. Dispacci da Costantinopoli 1752-1762, a cura di F.M. Paladini, Venezia 2007, pp. XXIV-XXX; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Roma 2009; G. De Zorzi, Vivere a Costantinopoli con le orecchie bene aperte. G. T. (1728-1799) e la ‘musica turchesca’, in Studia Orientis. Venezia e l’Oriente: un’eredità culturale, a cura di G. Pedrini, Vicenza 2013, pp. 263-341; P. Preto, Venezia e i turchi, Roma 2013.