BORGONE, Giambattista Gropello conte di
Nato intorno al 1650 ad Avigliana, da famiglia, della piccola borghesia provinciale, privo di una solida formazione culturale, ma dotato di ingegno pratico e vivace, si mise presto in luce presso il marchese di San Tommaso, Carlo Giuseppe Carron, che era allora segretario di Stato e possessore di feudi nei territori della bassa Val di Susa. Da agente di casa dei San Tommaso passò nel 1686 all'ufficio di notaio e di segretario della comunità di Avigliana. Due anni dopo divenne castellano di Villar: ma intanto la sua buona pratica di amministratore, di esperto "chiaro e ordinato" nelle minute questioni di giurisdizione feudale e di finanza locale, di "paciere" equilibrato e di sicuro giudizio, gli procurarono una segnalazione del ministro a Vittorio Amedeo, che lo aggregò all'amministrazione dell'erario, come ufficiale delle gabelle, sotto la sovrintendenza del conte Graneri di Mercenasco.
Tra i pochi funzionari locali a non disertare il suo posto al servizio del duca dopo l'invasione, francese del 1690, il B. fu chiamato a sostituire il 2 apr. 1692 il vecchio referendario della provincia di Susa, Barighetto, colpevole di esser passato sotto le insegne del Catinat. Gli ordini erano tassativi: reprimere con ogni mezzo l'intenso traffico di contrabbando nella vallata e procedere nello stesso tempo, senza riguardi, a rappresaglie e confische nei confronti degli elementi compromessi con gli occupanti.
La sua ascesa effettiva ai quadri direttivi dell'amministrazione piemontese coincide del resto con uno dei momenti più drammatici della lotta contro i Francesi. Organizzatore di un'efficiente e accurata rete di informazioni, nelle vallate da Susa a Briançon, sulla dislocazione delle truppe e sui movimenti nemici, sulle loro necessità logistiche e di rifornimento, sullo stato d'animo delle popolazioni e dei notabili locali, egli era tra i principali animatori della resistenza sabauda allo sbocco delle valli della Dora, del Chisone e del Pellice, tra Bruzolo, Sant'Antonino, Rivoli, Cavour e Barge, operando con solerzia e accortamente nel tagliare i viveri e nell'interrompere e logorare i canali di rifornimento all'armata francese e assicurando, per contro, ogni possibile sussistenza alle linee di difesa piemontesi, senza esitare, di fronte alle "reticenze di particolari", da provvedimenti di requisizione forzata e da concrete minacce di "incendiar cascine e tagliar viti et alberi".
Conquistatasi la fiducia del sovrano, il B. fu designato (1694) come intermediario nella difficile missione di avviare segreti negoziati a Pinerolo con i Francesi che, se contenuti agli sbocchi su Torino, si erano tuttavia resi padroni della piazzaforte di Carmagnola e di altre terre sabaude. Travestito in vario modo, poteva attraversare inosservato per due anni, molte volte, le linee degli eserciti contrapposti per recarsi a Pinerolo a intavolare quelle trattative, prima con il conte di Tessé, quindi con l'inviato di Parigi, Chamlay, che si sarebbero concluse nel maggio 1696 con il trattato di Torino e lo sganciamento di Vittorio Amedeo dalla coalizione della lega d'Augusta. In compenso gli furono accordate, nell'aprile 1695, diecimila lire d'argento e le patenti di nomina a consigliere e a mastro auditore della Camera dei conti di Piemonte, mentre nel gennaio 1696 veniva confermato anche il suo incarico di intendente di giustizia e dell'azienda di guerra nelle province di Susa e di Pinerolo, unitamente a quello di intendente delle gabelle.
Con capacità non comune il B. si accinse adaffrontare in circostanze difficili, a partire dal 1696, i problemi più urgenti e più acuti lasciati in eredità dalla guerra, relativi alla situazione finanziaria e aniministrativa. Occorreva, innanzitutto, riportar ordine nell'esazione dei tributi, colpire gli abusi verificatisi o aggravatisi durante il conflitto, assicurare il saldo degli arretrati, rimuovere riottose resistenze di singole comunità e dell'elemento nobiliare ed ecclesiastico: un compito oneroso, specialmente in zone, come il Pinerolese, da poco ritornate sotto il dominio sabaudo, o la Savoia sgomberata dai Francesi, in cui il B. verrà inviato tra il settembre 1696 e il febbraio 1697 come intendente generale, per garantire il ripristino dell'amministrazione, il pagamento delle gabelle, il controllo e la ripresa della produzione mineraria.
Tenace e scrupoloso interprete delle direttive centrali e, all'occorrenza, durissimo esecutore delle istruzioni ricevute, egli venne guadagnandosi - in poco più di due anni, spesi senza soste al ristabilimento del regime finanziario nelle zone rimaste a lungo isolate o più investite dai rovinosi cedimenti e dai disordini amministrativi della guerra - la completa fiducia del sovrano. Per il B. si apriva così, con la nomina (il 5 marzo 1697) a presidente e generale delle finanze, corredata da una pensione di 9.000 lire, l'accesso all'ultimo gradino di quella carriera intrapresa nel 1690 come modesto ufficiale delle gabelle. L'acquisto tra il 1696 e il 1697 da Giovenale Chiaberto del feudo di Borgone, cui Vittorio Amedeo univa il 29 ag. 1699 il conferimento del titolo comitale, sanzionava per altra parte, anche sotto il profilo formale, la sua avvenuta ascesa nel ristretto gruppo dirigente piemontese. Era toccato del resto al B. inaugurare dal maggio 1696, ponendo in una prima fase di esecuzione l'ordine di Vittorio Amedeo di "precettare le città e comunità per esigere effettivamente li carichi indistintamente", quella politica di controllo dei beni immuni ecclesiastici e nobiliari, che avrebbe posto al centro della successiva azione riformatrice e della tutela delle prerogative sovrane nei confronti dei due ordini privilegiati, la formazione di un nuovo catasto e una più equa ripartizione fiscale nella prospettiva di un sistematico incremento dei cespiti tributari. Egli stesso, d'altra parte, aveva concluso il suo ultimo rapporto di intendente delle gabelle, alla vigilia della assunzione all'incarico di presidente delle finanze, in un fermo appello alla necessità di procedere ormai vigorosamente e senza perder altro tempo contro privilegi e abusi fino allora troppo a lungo tollerati.
Ancor prima della preparazione della riforma finanziaria, le sue attitudini di devoto e rigoroso servitore agli ordini del sovrano verranno messe a dura prova nella repressione degli ultimi focolai di agitazione seguiti alla guerra del sale del 1698 nel Monregalese e in altre difficili missioni di consolidamento dell'autorità centrale in Val d'Aosta e in Savoia. La opera di "pacificazione", condotta dal B. nel mandamento di Mondovì fra il marzo e l'aprile 1699, per porre fine alle turbolenze contro la gabella del sale, conobbe momenti ed episodi di inflessibile e spietata durezza. Trentadue furono i giustiziati nella sola Montaldo, mentre rattività di rappresaglia investiva, con la stessa implacabile determinazione, Mondovì e altri centri minori del circondario. Stroncate con energia le sedizioni nel contado, demolite case e abitazioni, tagliati i boschi delle comunità ribelli, quasi la metà dei beni delle varie località del mandamento veniva confiscata; numerose famiglie del centro urbano, che avevano partecipato alla sommossa o rivelato segni di malcontento e di insofferenza, venivano proscritte ed esiliate nel Biellese e nel Vercellese. Meno clamorosa era stata la sua ricomparsa in Savoia nei mesi precedenti di gennaio e febbraio, ma anche qui, come nella visita del settembre-ottobre (successiva alla spedizione nel Monregalese) in Val d'Aosta, la sua presenza era valsa ad eliminare d'autorità intralci e remore degli organi amministrativi locali nel ristabilimento delle misure doganali e dei severi controlli del potere centrale nei confronti delle frodi fiscali; e, nel caso di Aosta, si era risolta anche in un sostanzioso aumento del donativo.
Alle "prove sul campo" seguirà infine, negli anni successivi, un'opera più meditata, ma altrettanto tesa verso obiettivi pratici e immediati di ricerca di nuovi cespiti o di incremento delle vecchie fonti d'entrata, in funzione del resto del maggior carico assunto dalla spesa statale con l'inizio dei disegni di riforma vittoriani.
Essenziale si presentava, in ogni caso, il riassetto dell'amministrazione delle gabelle: la semplificazione dei sistemi di contabilità, il rinnovamento dei metodi di esazione, il pieno ristabilimento degli organi di accertamento e di controllo, l'aggiornamento delle precedenti disposizioni in materia finanziaria. Per questa via passavano, in effetti, alcuni dei provvedimenti più significativi di revisione del regime di privilegio ecclesiastico: così l'editto del 12 giugno 1697 "sopra la rcunione e conservazione del registro" che vietando ai giudici di concedere il proprio placet agli aspiranti al sacerdozio, se non dopo attento esame delle concrete necessità di nuovi elementi per le parrocchie (o per le congregazioni, delle qualità personali nonché della natura dei beni in dote ai chierici e della loro posizione agli effetti fiscali), investiva la consuetudine del clero a mantenere inalterati e ad accrescere i propri privilegi anche abusivi; così l'editto del luglio 1699, che sottoponeva a censimento i beni ecclesiastici non concorrenti al pagamento dei tributi e ordinava il sequestro dei frutti relativi; così ancora l'editto del maggio 1702, limitato alla Savoia, che sanciva l'incapacità dei regolari con voti solenni di testare, disporre ed ereditare e il divieto alle congregazioni di succedere ai loro membri se non per la sesta parte dei beni mobili. Anche il controllo dei privilegi nobiliari e la lotta contro gli abusi e le vessazioni dell'aristocrazia, specialmente sul terreno della finanza e della ripartizione dei carichi, verranno intensificati. Mentre avevano inizio le operazioni catastali, di estimo dei redditi e di accertamento dei patrimoni, il B. richiamerà l'attenzione dei direttori delle province, con successive ordinanze del giugno 1711 e del marzo 1712, sulla necesità di alleggerire le spese delle amministrazioni locali e di evitare che l'onere delle gabelle e di altri privilegi ed uscite continuasse a cadere sul "registro reale". Una definitiva sistemazione in materia di bilanci comunali si avrà, come è noto, solo "con il successivo editto del maggio 1731, ma intanto - come rileva il Prato - il principio, enunciato dal B., che le comunità dovessero provvedere in linea di massima "con carichi personali ai soli servizi e alle spese locali, addossando al registro reale l'intero tributo governativo" era venuto a moderare la tendenza "già troppo diffusa tra i maggiori censiti, di scaricarsi [attraverso i testatici o i cotizzi a sollievo del carico prediale] sul popolo minuto dell'onere del debito regio".
Né, del resto, sono questi gli unici grossi problemi che il B. si trovò ad affrontare negli anni travagliati di faticosa ricostruzione dell'apparato amministrativo e di ripresa della politica riformatrice, seguiti al nuovo scontro con la Francia. Ancor prima della conclusione del conflitto le sue doti di organizzatore sicuro ed energico, di "uomo pratico" avevano avuto brillante conferma in uno dei momenti più cruciali della guerra di successione spagnola, tra il 1704 e il 1706, all'atto della rapida mobilitazione dell'esercito piemontese contro i Francesi e nel corso, quindi, dell'assedio di Torino.
In quest'ultima circostanza, in particolare, il B. aveva assunto - con i pieni poteri conferitigli da Vittorio Amedeo nel giugno-luglio 1706 e con la facoltà di provvedere ai problemi più urgenti per mezzo di requisizioni forzate di alienazioni di redditi demaniali, di tassi, di gabelle, di feudi e di giurisdizioni, di erezione di "monti" fissi e vacabili e della piena disponibilità dei sussidi degli alleati - una specie di "dittatura finanziaria", destinata (con la collaborazione, per la parte logistica e tecnica, di Fontana e Bertola) a svolgere un ruolo di primo piano nel vittorioso contenimento della pressione nemica sulla capitale (di estremo interesse, in questo senso, la sua "nota delle spese della città assediata", allegata al suo diario conservato presso la Biblioteca Reale di Torino, che elenca e contabilizza diligentemente gli sforzi realizzati per l'apprestamento di difese e di linee fortificate, per il rifornimento di viveri e foraggi, il reclutamento e l'organizzazione di milizie urbane, la salvaguardia dei canali di approvvigionamento dal contado).
L'ultimo decennio di direzione alle finanze costituisce il periodo più significativo dell'intera attività del B.: quello in cui, assolti i compiti di "emergenza" della congiuntura bellica, impostata l'opera di revisione del regime fiscale nei confronti di nobiltà e clero, assicurate le prime misure di difesa del valore della moneta circolante, non senza lo studio fra il 1711 e il 1714 delle condizioni idonee all'eventuale istituzione di banchi di deposito - egli coronerà il suo lungo e ininterrotto operato al servizio del rafforzamento dell'autorità centrale con l'elaborazione della riforma finanziaria generale del 1717. A lui il sovrano aveva affidato, d'altra parte, anche la responsabilità, sotto il profilo tecnico-finanziario (mentre al Mellarède era stata devoluta la sovrintendenza per la parte politica), della documentazione preparatoria delle leggi sul rinnovamento della struttura amministrativa centrale e periferica della macchina statale: compiti impegnativi entrambi, nella misura in cui l'assunzione di un più diretto controllo da parte della monarchia dei congegni amministrativi e delle risorse economiche del paese e il sicuro affidamento su più agili e adeguati meccanismi di incremento delle entrate statali venivano a rappresentare, in ultima analisi, gli strumenti pregiudiziali per l'attuazione del piano generale di riforma. Sono note le misure con cui il B. venne corrispondendo a queste esigenze sostanziali: incremento dei quadri dei principali uffici finanziari, precisa definizione delle responsabilità dei dirigenti (con un editto del febbraio 1710 il controllore generale diventava un vero e proprio ministro del tesoro; mentre con il nuovo ordinamento il generale delle finanze assumerà quasi la moderna figura di un ministro dell'economia), più rigorosi criteri di contabilità, di registrazione, di formazione e di controllo del bilancio generale, regolamentazione organica delle competenze degli uffici centrali e periferici, ecc.
Nel nuovo sistema sancito dall'editto del febbraio 1717 il primo segretario di Stato per gli affari interni e il generale delle finanze venivano a costituire, per altra parte, i veri cardini di tutta la struttura amministrativa dello Stato. Già un altro "uomo di fiducia" del sovrano, il marchese d'Ormea, tratto d'autorità dalle fila della bassa nobiltà di provincia ed emerso ai vertici dell'apparato direttivo quasi alla stessa maniera del B., ma con ben altre doti e capacità di intuito e di maturità politica, era ormai pronto a rimpiazzare il vecchio ministro e a porre la sua candidatura - partendo proprio dai quadri dell'azienda delle finanze in cui aveva finito per sostituire di fatto il responsabile, nelle ultime udienze decisive prima del varo della riforma - alla direzione suprema degli affari dello Stato. E all'Ormea, esaurito ormai il suo compito, egli doveva cedere, il 16 febbr. 1717, rincarico di presidente generale delle finanze e l'ambizione di porre in atto direttamente le nuove disposizioni legislative. Vittorio Amedeo gli riservava, infine, il titolo onorifico di presidente patrimoniale della Camera dei conti di Piemonte, "colla sedia immediatamente dopo li presidenti di toga lunga", e una pensione annua di 6.000 lire.
Il B. morì a Torino il 28 ag. 1722 e fu sepolto in S. Giovanni.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sezione 1ª, Materie economiche, Consiglio di Finanze, mazzo I, fasc. 7 e 9; Finanze, mazzi I di 2ª addiz., fasc. 5, 6, 7, 8 e 10; III, fasc. 38 e 39; IV, fasc. 19, 28, 37; Gabelle, mazzo I di 2ª addiz., fasc. 1; Intendenze e regolamenti di comunità, mazzo 2, fasc. 9; Zecca, mazzo 2, fasc. 50; mazzo 3, fasc. 2; Perequazione Piemonte, mazzo 1, fasc. 6; mazzo 2, fasc. 1; Editti originali, mazzo XVI, fasc. 12; Lettere Particolari, G., mazzo 53 (fasc. 1692 in 1696); 54 (fasc. 1697 in 1716); 55 (fasc. 1693, 1695, 1696, 1698, 1702, 1705, 1719, 1718 in 1721); Sezioni Riunite, Patenti Piemonte, registri 124, ff. 102 ss.; 126, ff. 44, 50 e 130; 142, ff. 158 s.; Controllo Finanze, registri: 1691 in 1692, f. 134; 1693 in 1694, f. 152; 1694 in 1695, ff. 205 e 209; 1695 in 1696, f. 127; 1696 in1967, ff. 97, 111 e 176; 1699, f. 89; 1706 in 1707, f. 77; 1713 in 1717, f 171; Biblioteca Reale di Torino, Varia, 549; G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte, III, Torino 1798, p. 174; M. Paroletti, Vite e ritratti di sessanta illustri piemontesi, Torino 1824, ad vocem; Torino, Bibl. Naz., A. Manno, Il patriziato subalpino, IX (datt.). pp. 586 s.; G. Prato, La vita economica in Piemonte a mezzo del sec. XVIII, Torino 1908, p. 390; L. Einaudi, La finanza sabauda all'aprirsi del sec. XVIII..., Torino 1908, pp. 52 s. e passim;F. Guasco, Vittorio Amedeo II nelle campagne dal 1961 al 1696, in Studi su Vittorio Amedeo II, Torino 1933, I, p. 284; G. Quazza, Le riforme in Piemonte..., Modena 1957, ad Indicem.