PERASSO, Giambattista
detto il Balilla. – L’assenza di fonti attendibili rende impossibile stabilire non soltanto dove e quando Giambattista Perasso sia nato e morto, ma se sia davvero esistito. Con queste premesse, i soli quesiti a cui si possa dunque dare risposta riguardano le scaturigini e l’evoluzione di un nome e di un appellativo, Balilla, destinati a grande e duratura fortuna nell’immaginario storico e collettivo genovese e italiano.
L’eroica figura di Giambattista è associata all’insurrezione genovese del dicembre 1746. Una sollevazione popolare che portò alla cacciata delle truppe austro-piemontesi entrate in città dopo l’armistizio che aveva chiuso l’infelice intervento della Repubblica di Genova nella guerra di successione austriaca (1740-48). Quei moti furono avviati da una sassaiola nel quartiere di Portoria: episodio che, nell’immediato e per molti anni a seguire, non ricevette attenzioni celebrative. La nobiltà genovese aveva tutto l’interesse a far calare l’oblio su quei tumulti per facilitare il ritorno a una concordia interna garantita dall’ordine oligarchico; e così nessuno si preoccupò di approfondire i fatti di Portoria, anche se le cronache gettarono una carta buona, anzi ottima, per la futura costruzione del mito del Balilla, riferendo di un ragazzo che avrebbe acceso la miccia della rivolta. I resoconti registrarono già alcune divergenze: secondo una versione, il ragazzo si sarebbe limitato ad aizzare la folla, mentre un’altra sostenne che avrebbe avviato scagliato la prima pietra.
Della sollevazione del 1746 si tornò a parlare soltanto dopo la caduta della Repubblica aristocratica nel 1797, quando il giacobinismo genovese le attribuì una coloritura patriottica e nazionale che fu il punto d’avvio di una lunga teoria di manipolazioni interpretative. Ma la sassaiola di Portoria rimase ancora nell’oblio, in attesa che la temperie ideologica risorgimentale ne facesse un oggetto di culto politico-propagandistico. Negli anni Trenta dell’Ottocento, Carlo Varese scrisse che «la storia avrebbe dovuto raccogliere e conservare religiosamente il nome» del ragazzo di Portoria (1838, p. 47). Varese gettò un sasso nelle acque dello stagno dei fautori dell’Unità d’Italia: un appello colto circa un decennio più tardi dall’ Omnibus. Almanacco ligure, che diede un nome e un luogo di nascita a quel ragazzo: «Perasso G. B. detto il Balilla», nativo di Pratolungo, una frazione di Montoggio, nel vicino entroterra genovese (1845, pp. 152 s.; 1846, pp. 11, 439).
Quali fossero le fonti lo si constatò nel 1881, quando padre Giuseppe Olivieri, arrogandosi il merito della scoperta, riferì di esservi giunto grazie alle rivelazioni di un altro ecclesiastico, Giambattista Minaglia. Questi asserì d’aver conosciuto e d’esser stato amico del ragazzo di Portoria, con il quale s’era spesso intrattenuto «a bere un bicchiere» (Ridella, 1933, pp. 290 s.). Olivieri esibì all’erudito Marcello Staglieno la fede di nascita di quel Giambattista, ma le prove che si trattasse dell’eroe di Portoria si riducevano a confidenze da osteria e, per giunta, Olivieri confondeva uno dei principali cercatori della verità sul Balilla, Michele Giuseppe Canale, con un oscuro Enrico Noli. Nel mentre, sulla falsariga di queste pencolanti indicazioni, tra le carte della parrocchia di Santo Stefano in Portoria era stato scovato un altro Giambattista, di alcuni anni più giovane dell’omonimo di Pratolungo. Una scoperta chiaramente suggerita dalla precedente: prima del Giambattista di Montoggio nessuno aveva nominato il cognome Perasso.
Una competizione dal sapore campanilista: Balilla doveva essere un popolano di Portoria, e non un ragazzo di una sperduta frazione di un paese dell’entroterra. In questa direzione si colloca un’altra rivelazione, questa di Achille Neri, il quale individuò nei primi anni del Novecento un altro Balilla di Portoria: non l’ennesimo Perasso, ma un certo Andrea Podestà: personaggio tuttavia non granché presentabile, perché incappato in alcuni gravi problemi con la giustizia genovese; ma soprattutto non più un ragazzo all’epoca della rivolta del 1746.
L’affannosa ricerca del Balilla si prestava alle liturgie risorgimentali bisognose di un eroe italiano, confezionando una mistificazione storica. La sollevazione del 1746 non aveva avuto alcun carattere nazionale italiano. Il popolo genovese s’era sollevato per difendere la vecchia repubblica aristocratica sia dalle truppe austriache sia da quelle dell’italiano Regno di Sardegna. Il Balilla precursore del Risorgimento era insomma una contraffazione propagandistica, una falsificazione di cui il fascismo s’appropriò con forza, portando il mito del Balilla al massimo della sua esposizione. L’eroe di Portoria fu evocato in un anonimo inno del regime nel quale il suo sasso – destinato a picchiare a lungo nella mente degli italiani – «fischia», e «l’intrepido Balilla sta gigante nella storia».
Ma, mentre l’astro di Giambattista pareva giungere al suo apogeo, nel 1927 arrivò l’inattesa svolta. In quell’anno, in previsione del bicentenario della nascita di uno dei due Giambattista, quello di Montoggio, furono avanzate richieste per dichiararne monumento nazionale la presunta casa natale. In tempi davvero non sospetti – l’anno prima era stata istituita l’Opera Nazionale Balilla, per inquadrare la gioventù italiana nel regime fascista – l’allora ministro della Pubblica istruzione Pietro Fedele volle vederci chiaro. Con mirabile onestà intellettuale, chiese un parere alla Società ligure di storia patria, che si riunì rapidamente e replicò che non vi erano sufficienti elementi per identificare l’eroe di Portoria. Non era una rivelazione. Già negli anni Ottanta dell’Ottocento, Federico Donaver – che pure frequentava ambienti in cui si respirava l’aria d’esaltazione risorgimentale del Balilla – aveva avanzato caustici dubbi. Donaver aveva messo le mani su un poema, il Bellum genuense, scritto poco dopo l’insurrezione del 1746 da un testimone oculare, il quale aveva dato al ragazzo di Portoria non l’appellativo di Balilla, «ma qualcheduno meno decente cominciante per m…» (Donaver, 1888, pp. 51 s.). La commissione della Società ligure di storia patria riunita nel 1927 riprese quel rilievo, esplicitando però adesso – con onestà e coraggio questa volta anche politici – quel nomignolo indecente, Mangiamerda.
La scabrosa scoperta non frenò tuttavia l’utilizzo strumentale e propagandistico del mito. Mangiamerda o meno, al Balilla il regime fascista continuò a fare ampio ricorso, utilizzandolo non soltanto per dare un nome all’omonima Opera Nazionale e al moschetto utilizzato per le relative esercitazioni militari. Per fare un significativo esempio, una diffusa automobile prodotta dalla FIAT in quegli anni prese il nome dell’eroe di Portoria. Del resto, già prima del regime mussoliniano, nel 1863 Genova aveva avuto la sua statua del Balilla, costruita con il bronzo dei cannoni austriaci preda bellica di pochi anni prima. E, nelle circostanze dei due conflitti mondiali, il Balilla fu un’icona patriottica. Soltanto con l’avvento dell’Italia repubblicana, il mito del Balilla andò progressivamente sbiadendo, per diventare oggetto di una sempre più sparuta memorialistica genovese nostalgica, o curiosamente inorgoglita, di aver dato i natali a quel ragazzo che aveva fatto di Genova una delle capitali del risorgimento e del nazionalismo italiano.
Fonti e Bibl.: Genova, Archivio della Chiesa della Visitazione, Registro delle sepolture, 1° ottobre 1741; Archivio di Stato di Genova, Rota Criminale, 755, 899, 902, 1006. Per i resoconti manoscritti, Biblioteca Universitaria Genova, Mss., C.IV.28: F.M. Del Vecchio, Lettera scritta ad un amico in Roma circa lo scacciamento de’ tedeschi dalla città di Genova, fatto dal di lei popolo; Archivio Storico del Comune di Genova, Mss., 1086: A. Goudar, Histoire Générale de la Revolution de Gênes contenant tout ce qui s’est passé dans cette republique depuis la mort de Charles VI, jusque a’ la levée du siège, par les Allemans; 1160: Bellum genuense. Numerosi i resoconti a stampa, tanto sull’insurrezione, quanto sulla sassaiola e il Balilla: Ra Gerusalemme deliverâ dro signor Torquato Tasso tradûta da diversi in lengua Zeneize, in Zena 1755; L.A. Muratori, Annali d’Italia dal principio dell’era volgare all’anno MDCCXLIX, XVII, Milano 1820, pp. 389 s.; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, dalla sua origine sino al 1814, VIII, Genova 1838, p. 47; Omnibus. Almanacco ligure pel 1845, Genova, pp. 152 s.; Omnibus. Almanacco ligure pel 1846, Genova, pp. 11, 439; Le tre giornate di Genova o sia Narrazione dei luminosi avvenimenti del decembre 1746 tratte da una cronica contemporanea dedicata all’eroico popolo genovese in occasione del secolare anniversario, Palermo 1846; F. Donaver, Uomini e libri, Genova 1888, pp. 11-57; A. Neri, La cacciata dei tedeschi da Genova nella poesia contemporanea, in Giornale storico e letterario della Liguria, IX (1908), pp. 311-334; E. Pandiani, La cacciata degli austriaci da Genova nell’anno 1746, in Miscellanea di storia italiana, 1924, vol. 52; F. Ridella, G. P. soprannominato Balilla eroe popolare genovese identifìcato nella tradizione e nella storia con documenti editi ed inediti. Studio di critica storico-biografica, Genova 1933, pp. 290 s.; A. Agosto, Balilla-Perasso: analisi del problema, in Balilla: mito e realtà, Atti della accademia ligure di scienze e lettere, 1986, vol. 43; F. Venturi, Settecento riformatore, I, Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 198-200; L. Grasso, Storia biografica e politica della città di Genova nell’insurrezione di guerra del 1746-47: dal 5 dicembre di Portoria al 14 febbraio del Palazzetto Criminale, in Genova 1746: una città di antico regime tra guerra e rivolta, a cura di C. Bitossi - C. Paolocci, Genova 1998, pp. 127-182; G. Assereto, Il mal della pietra. L’insurrezione genovese del 1746 e la controversia sul Balilla, ibid., pp. 183-208.