COTTA, Giambattista
Nacque a Tenda nello Stato sabaudo (ora Tende nel dipart. francese Alpes-Maritimes) il 20 febbr. 1668, da Giovan Battista e Giulia Chianea. A diciassette anni vestì l'abito dell'Ordine eremitano di S. Agostino nel convento del SS. Crocifisso a Genova dove l'anno seguente professò i voti. Ordinato sacerdote nel 1691, completò gli studi filosofici e teologici nei collegi di Parma, Verona e Padova. Ancora studente di filosofia a Parma, aveva pubblicato un Epitalamio in lode dei serenissimi sposi Edoardo Farnese e Dorotea Sofia di Neoburgo... (Piacenza 1690), confermando la sua capacità innata di comporre versi, rivelatasi già nell'adolescenza quando con estrema naturalezza improvvisava versi in italiano e in latino.
Nominato lettore di logica a Firenze, influirono notevolmente sulla sua formazione culturale i frequenti contatti con i più famosi letterati fiorentini: l'Accolti, il Filicaia, il Coltellini, il Fagiuoli ed altri, la cui attenzione aveva attirato componendo in brevissimo tempo l'orazione funebre in onore del padre A. Benfatti, teologo del granduca Cosimo III, dal C. recitata nella chiesa di S. Spirito. Nello stesso anno del suo arrivo a Firenze, 1693, fu iscritto all'Accademia degli Apatisti della quale divenne reggente. In questo periodo il C. tradusse le Cantiche di Salomone in centoventi sonetti che non furono mai editi a causa del severo giudizio che su di essi espresse l'amico A. M. Salvini. Alcuni di questi sonetti furono riportati dal Crescimbeni, Commentari, I, lib. VI, Roma 1702, pp. 362 s., altri furono inclusi nella raccolta: G.B. Cotta, Dio. Sonetti ed inni, Nizza 1783.
Volendo dedicare il proprio ingegno poetico all'esaltazione e alla celebrazione di Dio, unico soggetto degno di vera poesia, il C. cominciò a comporre la sua opera più significativa che intitolerà Dio come già aveva fatto il De Lemene. Ma, chiamato a Roma al collegio di S. Agostino, dovette interrompere ben presto il suo lavoro che verrà pubblicato solo alcuni anni più tardi.A Roma il C. conobbe e frequentò il Gravina, il Guidi, il Menzini, il Crescimbeni, che l'accolsero nell'Arcadia dove entrò il 17 marzo 1699 con il nome di Estrio Cauntino. In quegli anni, in cui la lirica italiana si liberava degli eccessi propri dell'età barocca, fu considerato il fondatore di una nuova scuola poetica che si ispirava direttamente al linguaggio biblico del quale riproduceva il tono alto e solenne. Mentre il C. riscuoteva con la sua produzione poetica il più ampio consenso, improvvisamente fu costretto ad abbandonare il collegio di S. Agostino per avere criticato con una battuta pungente un prelato romano di principesco lignaggio che, in riparazione dell'offesa ricevuta, pretese il suo immediato allontanamento dal collegio. Egli si ritirò allora nel convento di S. Giorgio in Velabro e compose un ciclo di prediche quaresimali con l'intenzione di propagandare la parola divina in varie città d'Italia. Si recò, infatti, a Siena, Viterbo, Genova, Napoli, mostrando come predicatore una grande abilità nel suscitare tra i fedeli una sincera e commossa adesione.
Al suo ritorno a Roma, fu tra i fondatori dell'Accademia d'istoria ecclesiastica istituita presso la chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Socio di varie accademie d'Italia, ottenne l'ambito riconoscimento di essere accolto nell'Accademia degli Intronati di Siena, contravvenendo alla regola che ammetteva tra i soci dell'Accademia solo gli appartenenti alla nobiltà. Nel frattempo la sua attività di studioso e predicatore l'aveva segnalato al punto che nel 1706 fu eletto dal capitolo di Genova vicario generale dell'Ordine. Come tale si adoperò con grande zelo a ristabilire la disciplina in numerosi conventi, favorì e incoraggiò gli studi, promuovendo importanti iniziative di carattere culturale. Fondò, infatti, un archivio generale nel convento Maggiore di Genova per conservare le bolle, i diplomi e i documenti da lui stesso raccolti nei vari conventi dell'Ordine e pubblicò a Genova nel 1708 in un solo volume le costituzioni ed i decreti della Congregazione agostiniana. Un anno più tardi dette alle stampe la prima parte, composta quasi tutta di sonetti, dell'opera Dio. Sonetti ed inni (Genova 1709).
La tendenza generale della lirica arcadica a una maggiore concisione, regolarità e misura del discorso poetico, lontana dall'enfasi barocca, diviene nei sonetti del C. ricerca di uno stile severo e grandioso che si adegui alla solennità dei temi trattati. Tuttavia il tentativo di tradurre poeticamente le proposizioni teologiche si risolve spesso in un'arida e astratta elencazione degli attributi divini, ravvivata solo dalle realistiche descrizioni dei terribili castighi che attendono i reprobi, o diluita in leziosi quadretti manieristici sull'infanzia di Gesù. La fama di cui godette l'opera del C. presso i suoi contemporanei è testimoniata anche dal positivo giudizio del Muratori che lo considerava "uno dei maggiori letterati del nostro secolo" (Gigli, p. 97).
Il C. scrisse pure un'apologia di s. Agostino contro le violente critiche che alla dottrina del santo aveva mosso il teologo Arminiano Le Clerc con lo pseudonimo di Ferepon. L'opera rimase inedita per l'eccessiva modestia dell'autore. Nel 1722 il C. venne insignito della laurea magistrale nella chiesa di S. Spirito a Firenze. Fu inviato successivamente come priore a Perugia ed in altri conventi, svolgendo sempre un'intensa attività che culminò in quel periodo nella composizione delle vite dei beati Andrea degli Artesi, Antonio Torriani e Antonio dell'Amandola. A Foligno nel 1733 fu pubblicata la seconda parte della raccolta Dio. Sonetti ed inni, corredata di erudite annotazioni ma meno ricca di fantasia poetica.
Il C. trascorse gli ultimi anni della vita a Tenda, dove morì il 31 maggio 1738.
Fonti e Bibl.: G. M. Crescimbeni, Commentari, I, lib. VI, Roma 1702, pp. 362 s.; G. Gigli, Vocab. cateriniano, Roma 1717, pp. 96 s.; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 340; J. F. Ossinger, Bibliotheca Augustiniana..., Ingolstadii et Augustae Vindelicorum 1776, p. 271; G. Della Torre, Elogio storico-critico di G. B. C., in G. B. Cotta, Dio. Sonetti ed inni, Nizza 1783, pp. 1-48; A. Varano, Discorso premesso alle Visioni sacre e morali, Milano 1827, p. 11; E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. illustri, V, Venezia 1837, pp. 74-85; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, Torino 1841, pp. 370-76, 462 s.; C. Cantù, Della lett. ital. esempi e giudizi, I, Napoli 1857, pp. 433-36; D. Carutti, Storia di Carlo Emanuele III, II, Torino 1853, p. 233; G. B. Toselli, Biographie Niçoise ancienne et moderne, I, Nizza 1860, pp. 218-23 ; F. De Sanctis, Saggi critici, III, Bari 1965, p. 132; M. L. Caire, G. B. C., in Fert, XIII (1924), pp. 67-97; Id., G. B. C., Torino 1925 (rec. in La Rassegna, XLIII [1925], pp. 236 s.); C. Pariset, Per un sonetto attribuito a G. Garibaldi, in Rass. stor. del Risorg., XV (1928), pp. 183 ss.; D. A. Perini, Bibliographia Augustiniana, I, Firenze 1929, pp. 266-69; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1955, pp. 228, 657, 748, 757; Storia della lett. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, VI, Milano 1970, p. 388; E. Bonora, Diz. d. lett. ital., I, Milano 1977, p. 135.